Nuovo regolamento Imu: sì della Commissione europea
alle esenzioni in favore degli enti non commerciali
alle esenzioni in favore degli enti non commerciali
Promosso il decreto Monti sulle esenzioni Imu per gli enti non commerciali, mentre le esenzioni Ici di cui hanno beneficiato gli enti non commerciali tra il 2006 e il 2011 sono illegittime (ma lo Stato italiano non dovrà provvedere al loro recupero). Viene così archiviata senza sanzioni e oneri per lo Stato la procedura di infrazione pendente sul nostro Paese.
Il 19 dicembre 2012 è stata resa nota la decisione della Commissione europea di chiudere definitivamente la procedura di infrazione aperta nei confronti del nostro Paese su denuncia dei Radicali italiani nell’ottobre del 2010 per la presunta violazione delle regole comunitarie sugli aiuti di Stato. Le esenzioni concesse agli enti non commerciali tra il 2006 e il 2011 in base alla vecchia disciplina dell’Ici sono state riconosciute illegittime, in quanto applicabili anche alle attività di rilevanza sociale svolte dai predetti enti con modalità commerciali (per una ricognizione sintetica della vecchia disciplina sulle esenzioni Ici vedi il mio “Ici e Chiesa: un privilegio mai esistito”). Tuttavia, la Commissione ha escluso che lo Stato italiano debba procedere al recupero del mancato gettito relativo agli anni passati, data l’impossibilità materiale per il fisco di determinare a posteriori quale porzione degli immobili di proprietà degli enti non commerciali sia stata utilizzata esclusivamente per lo svolgimento di attività commerciali.
Invece la Commissione ha promosso a pieni voti il nuovo decreto sulle esenzioni per gli enti non commerciali (D.M. n. 200/2012), approvato un mese fa dopo un primo iniziale parere negativo del Consiglio di Stato. La nuova normativa, infatti, secondo Bruxelles, “non comporta la concessione di aiuti di Stato, dal momento che le esenzioni si applicheranno solo agli immobili in cui si svolgono attività non economiche”. Rinviando ad un mio recentissimo articolo per l’illustrazione della nuova disciplina, basterà qui riepilogare succintamente i termini della questione. Il sistema delle esenzioni Ici (ed ora Imu) riguarda un insieme molto ampio e variegato di soggetti, pubblici e privati, certamente non riducibili agli enti della Chiesa cattolica, per cui è inesatto e fuorviante riferire l’intera problematica a questi ultimi, come con accenti più o meno polemici si è soliti fare. Inoltre, gli enti non commerciali (di cui gli enti ecclesiastici costituiscono solo una parte) beneficiano dell’esenzione solo in riferimento a talune attività riconosciute dal legislatore come di interesse generale (precisamente attività assistenziali, previdenziali, didattiche, ricettive, culturali, ricreative) a cui l’immobile sia esclusivamente dedicato. Col decreto-legge 24 gennaio 2012 si è attribuito rilevanza, per di più, oltre che al tipo, anche alle modalità di svolgimento delle predette attività, che devono essere rigorosamente non commerciali. Per beneficiare dell’esenzione adesso gli enti non commerciali (espressione legislativa talmente ampia da ricomprendere tutti i soggetti che operano nell’area del no profit e del sociale) dovranno garantire l’adempimento delle loro attività istituzionali con modalità non economiche, tali cioè da non entrare in concorrenza con gli altri operatori privati, che invece per legge sono tenuti a pagare l’Imu.
Il nuovo regolamento sulle esenzioni Imu non fa altro che specificare i requisiti in base ai quali le attività istituzionali degli enti non commerciali possano considerarsi esercitate con modalità non commerciali (o non economiche) nel senso sopra indicato. Per la quasi totalità delle attività che danno luogo ad esenzione, il criterio discretivo è quello che fa leva sull’assenza di relazione col costo e sul carattere gratuito o simbolico dei corrispettivi richiesti, i quali in ogni caso non dovranno essere superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. Da tale requisito si prescinde solo per gli enti che svolgono attività assistenziale e sanitaria in regime di accreditamento o convenzionamento con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nel qual caso l’attività si considera svolta con modalità non commerciale a condizione che essa abbia carattere complementare o integrativo rispetto al servizio pubblico e preveda a favore dell’utenza l’erogazione, secondo il diritto comunitario e nazionale, di servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa per la copertura del “servizio universale”. Invece, gli istituti scolastici e di educazione non statali potranno usufruire dell’esenzione solo se il servizio sia reso a titolo gratuito o dietro versamento di importi simbolici, tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio.
I requisiti introdotti dal nuovo Regolamento per distinguere, ai fini del pagamento dell’imposta, tra attività non economica (esente) e attività economica (non esente) soddisfano dunque appieno i parametri comunitari, ricevendo l’avallo dell’Unione europea. Si chiude, così, con esito fausto, una vertenza che ormai da tempo andava avanti a livello comunitario.
di Bartolo Salone
Il 19 dicembre 2012 è stata resa nota la decisione della Commissione europea di chiudere definitivamente la procedura di infrazione aperta nei confronti del nostro Paese su denuncia dei Radicali italiani nell’ottobre del 2010 per la presunta violazione delle regole comunitarie sugli aiuti di Stato. Le esenzioni concesse agli enti non commerciali tra il 2006 e il 2011 in base alla vecchia disciplina dell’Ici sono state riconosciute illegittime, in quanto applicabili anche alle attività di rilevanza sociale svolte dai predetti enti con modalità commerciali (per una ricognizione sintetica della vecchia disciplina sulle esenzioni Ici vedi il mio “Ici e Chiesa: un privilegio mai esistito”). Tuttavia, la Commissione ha escluso che lo Stato italiano debba procedere al recupero del mancato gettito relativo agli anni passati, data l’impossibilità materiale per il fisco di determinare a posteriori quale porzione degli immobili di proprietà degli enti non commerciali sia stata utilizzata esclusivamente per lo svolgimento di attività commerciali.
Invece la Commissione ha promosso a pieni voti il nuovo decreto sulle esenzioni per gli enti non commerciali (D.M. n. 200/2012), approvato un mese fa dopo un primo iniziale parere negativo del Consiglio di Stato. La nuova normativa, infatti, secondo Bruxelles, “non comporta la concessione di aiuti di Stato, dal momento che le esenzioni si applicheranno solo agli immobili in cui si svolgono attività non economiche”. Rinviando ad un mio recentissimo articolo per l’illustrazione della nuova disciplina, basterà qui riepilogare succintamente i termini della questione. Il sistema delle esenzioni Ici (ed ora Imu) riguarda un insieme molto ampio e variegato di soggetti, pubblici e privati, certamente non riducibili agli enti della Chiesa cattolica, per cui è inesatto e fuorviante riferire l’intera problematica a questi ultimi, come con accenti più o meno polemici si è soliti fare. Inoltre, gli enti non commerciali (di cui gli enti ecclesiastici costituiscono solo una parte) beneficiano dell’esenzione solo in riferimento a talune attività riconosciute dal legislatore come di interesse generale (precisamente attività assistenziali, previdenziali, didattiche, ricettive, culturali, ricreative) a cui l’immobile sia esclusivamente dedicato. Col decreto-legge 24 gennaio 2012 si è attribuito rilevanza, per di più, oltre che al tipo, anche alle modalità di svolgimento delle predette attività, che devono essere rigorosamente non commerciali. Per beneficiare dell’esenzione adesso gli enti non commerciali (espressione legislativa talmente ampia da ricomprendere tutti i soggetti che operano nell’area del no profit e del sociale) dovranno garantire l’adempimento delle loro attività istituzionali con modalità non economiche, tali cioè da non entrare in concorrenza con gli altri operatori privati, che invece per legge sono tenuti a pagare l’Imu.
Il nuovo regolamento sulle esenzioni Imu non fa altro che specificare i requisiti in base ai quali le attività istituzionali degli enti non commerciali possano considerarsi esercitate con modalità non commerciali (o non economiche) nel senso sopra indicato. Per la quasi totalità delle attività che danno luogo ad esenzione, il criterio discretivo è quello che fa leva sull’assenza di relazione col costo e sul carattere gratuito o simbolico dei corrispettivi richiesti, i quali in ogni caso non dovranno essere superiori alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale. Da tale requisito si prescinde solo per gli enti che svolgono attività assistenziale e sanitaria in regime di accreditamento o convenzionamento con lo Stato, le Regioni e gli enti locali, nel qual caso l’attività si considera svolta con modalità non commerciale a condizione che essa abbia carattere complementare o integrativo rispetto al servizio pubblico e preveda a favore dell’utenza l’erogazione, secondo il diritto comunitario e nazionale, di servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa per la copertura del “servizio universale”. Invece, gli istituti scolastici e di educazione non statali potranno usufruire dell’esenzione solo se il servizio sia reso a titolo gratuito o dietro versamento di importi simbolici, tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio.
I requisiti introdotti dal nuovo Regolamento per distinguere, ai fini del pagamento dell’imposta, tra attività non economica (esente) e attività economica (non esente) soddisfano dunque appieno i parametri comunitari, ricevendo l’avallo dell’Unione europea. Si chiude, così, con esito fausto, una vertenza che ormai da tempo andava avanti a livello comunitario.
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