I nuovi dati forniti al Senato nel corso di un convegno con il Procuratore antimafia Pietro Grasso
Liberainformazione - L'informazione in Italia è nel mirino dei boss. Da gennaio allo scorso 3 dicembre sono stati minacciati 301 giornalisti. I dati, allarmanti, sono stati presentati ieri da Ossigeno per l'informazione nel corso del convegno "Mafia e informazione: i giornalisti minacciati e le notizie oscurate", organizzato al Senato. Da nord a sud chi scrive di criminalità organizzata e dei rapporti con il mondo dei colletti bianchi e dei politici collusi diventa un "problema". Per ben 43 volte le minacce hanno riguardato intere redazioni. Intimidazioni, certo, ma non solo.
Una pratica utilizzata per "silenziare" l'informazione è quella delle liti temerarie: la richiesta di risarcimento danni in sede civile di somme spropositate per disincentivare le inchieste. Le vittime, la maggior parte delle volte, sono giovani giornalisti precari che guadagnano pochi euro a pezzo.
«Quattro anni fa - ha sottolineato Alberto Spampinato, presidente dell'Osservatorio Ossigeno - abbiamo iniziato a raccogliere un dossier sulle intimidazioni ai giornalisti, ma ancora oggi è difficile far capire la gravità della situazione. Bisognerebbe sempre tenere presente che non riusciamo ancora a sconfiggere la mafia perché non c’é, nell’opinione pubblica, la adeguata percezione culturale di questo fenomeno che ha, tra le sue attività prioritarie, quella di oscurare le informazioni che la riguardano». Sia con le minacce che con le querele temerarie. A spiegare bene questa spirale micidiale che colpisce il mondo dell'informazione italiana è Lirio Abbate, giornalista de L'Espresso da anni sotto scorta dopo aver scritto un libro sulla rete di protezione che ha favorito, per 43 anni, la latitanza di Bernardo Provenzano.
«Questi dati - ha spiegato Abbate - forniscono un quadro desolante, e non bisogna dimenticare il "peso" delle tante cause risarcitorie civili che vengono intentate soprattutto contro i piccoli gruppi editoriali che non hanno le risorse per farvi fronte». Il gruppo L'Espresso, cita come esempio Abbate, nell'ultimo anno ha subito 380 cause civili - le famose querele temerarie - vincendone 378. Azioni di questa natura servono soltanto a oscurare le notizie che cronisti coraggiosi riportano nelle loro testate. Notizie scomode che per molti non dovrebbero avere diritto di cittadinanza nel mondo dell'informazione.
Dello stesso avviso è anche Paolo Butturini, segretario dell'Assostampa romana, che evidenzia come le minacce con chi fa una libera informazione: «non sono solo un crimine perseguito dal codice penale, ma un attentato contro l’articolo 21 della Costituzione in quanto il condizionamento su chi fa inchieste che svelano gli "affari" di Cosa Nostra, è un modo di impedire ai cittadini di vivere appieno la vita del loro paese».
Al convegno è intervenuto anche il senatore Enrico Musso, responsabile del settore Scuola e legalità della Commissione parlamentare antimafia, che ha parlato del lavoro svolto dall'Antimafia in questa legislatura: «Abbiamo scoperto un "sottobosco" di fenomeni meno rilevanti delle minacce di morte ma che, ugualmente, colpiscono i giornalisti che fanno un certo tipo di informazione, ai quali viene intaccato il reddito, la qualità della vita e la reputazione». Infine, è intervenuto anche il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, ricordando il lavoro svolto dal cronista Mario Francese, ucciso nel gennaio 1979 per le sue inchieste sulle mani dei corleonesi sui grandi appalti in Sicilia. Nel suo intervento Grasso ha lanciato la proposta di: «Una legge, da studiare, che abbia l’obiettivo di sanzionare chi ostacola la libertà di informazione».
Liberainformazione - L'informazione in Italia è nel mirino dei boss. Da gennaio allo scorso 3 dicembre sono stati minacciati 301 giornalisti. I dati, allarmanti, sono stati presentati ieri da Ossigeno per l'informazione nel corso del convegno "Mafia e informazione: i giornalisti minacciati e le notizie oscurate", organizzato al Senato. Da nord a sud chi scrive di criminalità organizzata e dei rapporti con il mondo dei colletti bianchi e dei politici collusi diventa un "problema". Per ben 43 volte le minacce hanno riguardato intere redazioni. Intimidazioni, certo, ma non solo.
Una pratica utilizzata per "silenziare" l'informazione è quella delle liti temerarie: la richiesta di risarcimento danni in sede civile di somme spropositate per disincentivare le inchieste. Le vittime, la maggior parte delle volte, sono giovani giornalisti precari che guadagnano pochi euro a pezzo.
«Quattro anni fa - ha sottolineato Alberto Spampinato, presidente dell'Osservatorio Ossigeno - abbiamo iniziato a raccogliere un dossier sulle intimidazioni ai giornalisti, ma ancora oggi è difficile far capire la gravità della situazione. Bisognerebbe sempre tenere presente che non riusciamo ancora a sconfiggere la mafia perché non c’é, nell’opinione pubblica, la adeguata percezione culturale di questo fenomeno che ha, tra le sue attività prioritarie, quella di oscurare le informazioni che la riguardano». Sia con le minacce che con le querele temerarie. A spiegare bene questa spirale micidiale che colpisce il mondo dell'informazione italiana è Lirio Abbate, giornalista de L'Espresso da anni sotto scorta dopo aver scritto un libro sulla rete di protezione che ha favorito, per 43 anni, la latitanza di Bernardo Provenzano.
«Questi dati - ha spiegato Abbate - forniscono un quadro desolante, e non bisogna dimenticare il "peso" delle tante cause risarcitorie civili che vengono intentate soprattutto contro i piccoli gruppi editoriali che non hanno le risorse per farvi fronte». Il gruppo L'Espresso, cita come esempio Abbate, nell'ultimo anno ha subito 380 cause civili - le famose querele temerarie - vincendone 378. Azioni di questa natura servono soltanto a oscurare le notizie che cronisti coraggiosi riportano nelle loro testate. Notizie scomode che per molti non dovrebbero avere diritto di cittadinanza nel mondo dell'informazione.
Dello stesso avviso è anche Paolo Butturini, segretario dell'Assostampa romana, che evidenzia come le minacce con chi fa una libera informazione: «non sono solo un crimine perseguito dal codice penale, ma un attentato contro l’articolo 21 della Costituzione in quanto il condizionamento su chi fa inchieste che svelano gli "affari" di Cosa Nostra, è un modo di impedire ai cittadini di vivere appieno la vita del loro paese».
Al convegno è intervenuto anche il senatore Enrico Musso, responsabile del settore Scuola e legalità della Commissione parlamentare antimafia, che ha parlato del lavoro svolto dall'Antimafia in questa legislatura: «Abbiamo scoperto un "sottobosco" di fenomeni meno rilevanti delle minacce di morte ma che, ugualmente, colpiscono i giornalisti che fanno un certo tipo di informazione, ai quali viene intaccato il reddito, la qualità della vita e la reputazione». Infine, è intervenuto anche il Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, ricordando il lavoro svolto dal cronista Mario Francese, ucciso nel gennaio 1979 per le sue inchieste sulle mani dei corleonesi sui grandi appalti in Sicilia. Nel suo intervento Grasso ha lanciato la proposta di: «Una legge, da studiare, che abbia l’obiettivo di sanzionare chi ostacola la libertà di informazione».
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