Nella zona morta, nel raggio di 30 km dalla centrale, dove sarebbe proibito vivere
Greenreport - Arrivati a Minsk la capitale del Paese che ha subìto il 70 % del fallout radioattivo dopo l'incidente di Chernobil, tutto sembra normale: vetrine natalizie nei negozi pieni di gente, luci scintillanti, molte persone che passeggiano freneticamente in una città pulita e ordinata oltremisura con strade e marciapiedi innevati e un freddo polare. Ma dopo alcuni chilometri nella periferia della città e nelle campagne già si nota uno scenario diverso con baracche di legno ed evidente povertà. Il carissimo prezzo di una crisi economica gravissima, in un paese con un'inflazione crescente in modo vertiginoso, dove non vengono più assicurati i servizi primari, da quelli sociali a quelli sanitari. Dove l'alcolismo è sempre più dilagante e le fasce più deboli in gravissima difficoltà.
Questo quadro diventa quasi inverosimile nella sua desolazione quando arriviamo ad alcune centinaia di chilometri da Minsk nel sud del Paese, dove la contaminazione radioattiva ancora oggi è presente in modo diffuso e quasi indelebile. Anche se le carte ufficiali hanno abbassato i livelli di radioattività d'ufficio, la contaminazione è alta nella regione di Gomel e si passa da 5 a oltre 40 curie di cesio, 137 per kilometro quadrato ( per le autorità sanitarie internazionali 1 curie è considerato a rischio). Via, via che andiamo verso la centrale vicino al confine con l'Ucraina, la radioattività non la vedi e non la senti ma è presente in modo subdolo e toccante negli occhi e nei volti tristi e senza futuro delle persone costrette a vivere in questa terra della morte. Chi ha potuto, dopo l'incidente, è andato via, è scappato per sempre, ma chi non aveva soldi e possibilità, cioè la maggior parte delle persone, è stato costretto a rimanere a convivere con le radiazioni tutti i giorni.
Sono passati ormai 26 anni dall'incidente nucleare del 26 aprile del 1986, che ha minato la storia, la vita e soprattutto la salute di 5 milioni di persone con la sua nube carica di radioattività. La situazione che abbiamo visto con i nostri occhi è disperata e desolante, con la morte nucleare che mette a dura prova la dignità, oltre che la salute delle persone. La sensazione più chiara che si percepisce è il senso di abbandono, la desolazione, unita all'impotenza, l'amara evidenza di una vita senza futuro per sé e per i propri figli: moltissime famiglie con bambini sono infatti gli abitanti dei villaggi delle zone contaminate irreparabilmente da cesio 137, stronzio 90, plutonio, tutti radionuclidi che ingeriscono nella dieta quotidianamente attraverso i prodotti agricoli fortemente contaminati.
Nella sola Bielorussia vivono nelle zone contaminate 560.000 bambini, di cui 38.000 da 0 a 5 anni, per i quali il rischio è altissimo!!! Basta pensare ai 6.000 casi di tumore tiroideo, oltre all'aumento vertiginoso degli altri tipi di tumori, delle leucemie ed un forte calo demografico. Abbiamo visto tanta legna tagliata pronta a varcare i mercati nazionali ed internazionali, per divenire parquet o pellets o mobilio ed entrare nelle nostre case. Così come avviene in estate per i funghi presenti in quantità industriali dopo il riposo forzato dei boschi e per numerose derrate alimentari contaminate.
D'altra parte dopo alcuni anni in cui si cercava di correre ai ripari di fronte ad una problematica enorme e gravissima, con altissimi rischi sanitari, oggi si tende a dimenticare e minimizzare la gravita della situazione: le zone contaminate sono nuovamente coltivate, le case in un primo momento abbandonate per l'alto rischio atomico, riabitate sia da locali che da profughi ceceni e di altri Paesi dell'ex unione sovietica, i controlli sulla radioattività degli alimenti e quelli sanitari sulle persone fortemente diminuiti o inesistenti. Abbiamo visto il più grande kolchotz bielorusso che produce carne e latte, in un'area contaminatissima a venti chilometri da Chernobyl in provincia di Braghin nel sud della Bielorussia.
Poi abbiamo visitato il museo di Chernobyl che racconta il dramma di una popolazione senza futuro che lotta contro un nemico invisibile e dell'eroismo dei cosiddetti liquidatori che persero la vita per cercare di spegnere il reattore incendiato. Ho chiesto alla guida del museo, una ragazza di 24 anni, se non aveva paura a vivere in una zona così contaminata e mi ha risposto di no ma che è irritata dall'evidente razzismo con cui vengono trattati, perché contaminati, gli abitanti della sua città.
Siamo entrati con un permesso apposito nella zona cosiddetta morta nel raggio di 30 km dalla centrale dove sarebbe proibito vivere. Vi abbiamo trovato 250 persone, tra cui famiglie e bambini che vivono a Gden un piccolo villaggio abbandonato (senza lampioni ,senza ambulatorio sanitario, senza scuola), oltre i limiti della dignità umana, nelle baracche freddissime a -12° sottozero, bruciando il legno contaminato per scaldarsi, mangiando le patate e le rape coltivate nell'orto, vivendo a oltre 40 curie di cesio 137 per kilometro quadrato. Ho stampati negli occhi i bambini e le bambine che abbiamo incontrato, vittime innocenti del nucleare: per loro il rischio di contrarre patologie tumorali è infatti altissimo! Per chi è convinto come noi che ogni microdose di radioattività è un'overdose, questo scenario è raccapricciante e ingiusto al tempo stesso.
Ho chiesto al padre di 3 figli piccoli che vive in una stalla decrepita in condizioni igieniche precarissime, se sapeva a che andavano incontro e mi ha risposto con uno sguardo vuoto che eravamo a 10 km da Chernobyl, quindi era scontato e tangibile il pericolo ma che non poteva fare altrimenti: quello è stato il momento più drammatico del nostro viaggio dove abbiamo toccato con mano la nostra impotenza da una parte ma anche il menefreghismo della comunità internazionale che lascia colpevolmente che venga perpetuato questo crimine senza intervenire.
Ormai di Chernobyl non si parla più e la popolazione è abbandonata a se stessa, con il governo Bielorusso incapace di sostenere i presidi ed i servizi sociali e sanitari perché sempre più strangolato dalla crisi economica. E la popolazione è costretta a subire il cocktail esplosivo dato dalla somma di elevata contaminazione, alimentazione povera di nutrienti e radioattiva, condizioni igieniche inumane.Vivere in aree così radioattive mina inesorabilmente il sistema immunitario ed apre le porte ad una serie di patologie, ma chi paga più presentemente un prezzo elevatissimo sono i bambini che assorbono come una spugna l'atomo nel piatto oltre alle polveri radioattive. Questo è l'inferno di Chernobyl che continua a mietere vittime a 26 anni dal disastro nucleare.
Legambiente lancia un SOS affinché si rompa il muro di gomma dell'indifferenza non più sopportabile da parte della Comunità internazionale, della Commissione europea dei singoli Stati occidentali e si intervenga in modo efficace ed immediato, con la massima priorità prima che sia troppo tardi, oltre che per aiutare concretamente le popolazioni contaminate, almeno per trasferire le famiglie dai villaggi più contaminati nella zona proibita, garantendo loro una sussistenza quantomeno dignitosa: sarebbe senza dubbio un segnale seppur piccolissimo rispetto alla vastità della problematica, importante per non dimenticare queste popolazioni ormai sempre più sole e alla deriva.
Greenreport - Arrivati a Minsk la capitale del Paese che ha subìto il 70 % del fallout radioattivo dopo l'incidente di Chernobil, tutto sembra normale: vetrine natalizie nei negozi pieni di gente, luci scintillanti, molte persone che passeggiano freneticamente in una città pulita e ordinata oltremisura con strade e marciapiedi innevati e un freddo polare. Ma dopo alcuni chilometri nella periferia della città e nelle campagne già si nota uno scenario diverso con baracche di legno ed evidente povertà. Il carissimo prezzo di una crisi economica gravissima, in un paese con un'inflazione crescente in modo vertiginoso, dove non vengono più assicurati i servizi primari, da quelli sociali a quelli sanitari. Dove l'alcolismo è sempre più dilagante e le fasce più deboli in gravissima difficoltà.
Questo quadro diventa quasi inverosimile nella sua desolazione quando arriviamo ad alcune centinaia di chilometri da Minsk nel sud del Paese, dove la contaminazione radioattiva ancora oggi è presente in modo diffuso e quasi indelebile. Anche se le carte ufficiali hanno abbassato i livelli di radioattività d'ufficio, la contaminazione è alta nella regione di Gomel e si passa da 5 a oltre 40 curie di cesio, 137 per kilometro quadrato ( per le autorità sanitarie internazionali 1 curie è considerato a rischio). Via, via che andiamo verso la centrale vicino al confine con l'Ucraina, la radioattività non la vedi e non la senti ma è presente in modo subdolo e toccante negli occhi e nei volti tristi e senza futuro delle persone costrette a vivere in questa terra della morte. Chi ha potuto, dopo l'incidente, è andato via, è scappato per sempre, ma chi non aveva soldi e possibilità, cioè la maggior parte delle persone, è stato costretto a rimanere a convivere con le radiazioni tutti i giorni.
Sono passati ormai 26 anni dall'incidente nucleare del 26 aprile del 1986, che ha minato la storia, la vita e soprattutto la salute di 5 milioni di persone con la sua nube carica di radioattività. La situazione che abbiamo visto con i nostri occhi è disperata e desolante, con la morte nucleare che mette a dura prova la dignità, oltre che la salute delle persone. La sensazione più chiara che si percepisce è il senso di abbandono, la desolazione, unita all'impotenza, l'amara evidenza di una vita senza futuro per sé e per i propri figli: moltissime famiglie con bambini sono infatti gli abitanti dei villaggi delle zone contaminate irreparabilmente da cesio 137, stronzio 90, plutonio, tutti radionuclidi che ingeriscono nella dieta quotidianamente attraverso i prodotti agricoli fortemente contaminati.
Nella sola Bielorussia vivono nelle zone contaminate 560.000 bambini, di cui 38.000 da 0 a 5 anni, per i quali il rischio è altissimo!!! Basta pensare ai 6.000 casi di tumore tiroideo, oltre all'aumento vertiginoso degli altri tipi di tumori, delle leucemie ed un forte calo demografico. Abbiamo visto tanta legna tagliata pronta a varcare i mercati nazionali ed internazionali, per divenire parquet o pellets o mobilio ed entrare nelle nostre case. Così come avviene in estate per i funghi presenti in quantità industriali dopo il riposo forzato dei boschi e per numerose derrate alimentari contaminate.
D'altra parte dopo alcuni anni in cui si cercava di correre ai ripari di fronte ad una problematica enorme e gravissima, con altissimi rischi sanitari, oggi si tende a dimenticare e minimizzare la gravita della situazione: le zone contaminate sono nuovamente coltivate, le case in un primo momento abbandonate per l'alto rischio atomico, riabitate sia da locali che da profughi ceceni e di altri Paesi dell'ex unione sovietica, i controlli sulla radioattività degli alimenti e quelli sanitari sulle persone fortemente diminuiti o inesistenti. Abbiamo visto il più grande kolchotz bielorusso che produce carne e latte, in un'area contaminatissima a venti chilometri da Chernobyl in provincia di Braghin nel sud della Bielorussia.
Poi abbiamo visitato il museo di Chernobyl che racconta il dramma di una popolazione senza futuro che lotta contro un nemico invisibile e dell'eroismo dei cosiddetti liquidatori che persero la vita per cercare di spegnere il reattore incendiato. Ho chiesto alla guida del museo, una ragazza di 24 anni, se non aveva paura a vivere in una zona così contaminata e mi ha risposto di no ma che è irritata dall'evidente razzismo con cui vengono trattati, perché contaminati, gli abitanti della sua città.
Siamo entrati con un permesso apposito nella zona cosiddetta morta nel raggio di 30 km dalla centrale dove sarebbe proibito vivere. Vi abbiamo trovato 250 persone, tra cui famiglie e bambini che vivono a Gden un piccolo villaggio abbandonato (senza lampioni ,senza ambulatorio sanitario, senza scuola), oltre i limiti della dignità umana, nelle baracche freddissime a -12° sottozero, bruciando il legno contaminato per scaldarsi, mangiando le patate e le rape coltivate nell'orto, vivendo a oltre 40 curie di cesio 137 per kilometro quadrato. Ho stampati negli occhi i bambini e le bambine che abbiamo incontrato, vittime innocenti del nucleare: per loro il rischio di contrarre patologie tumorali è infatti altissimo! Per chi è convinto come noi che ogni microdose di radioattività è un'overdose, questo scenario è raccapricciante e ingiusto al tempo stesso.
Ho chiesto al padre di 3 figli piccoli che vive in una stalla decrepita in condizioni igieniche precarissime, se sapeva a che andavano incontro e mi ha risposto con uno sguardo vuoto che eravamo a 10 km da Chernobyl, quindi era scontato e tangibile il pericolo ma che non poteva fare altrimenti: quello è stato il momento più drammatico del nostro viaggio dove abbiamo toccato con mano la nostra impotenza da una parte ma anche il menefreghismo della comunità internazionale che lascia colpevolmente che venga perpetuato questo crimine senza intervenire.
Ormai di Chernobyl non si parla più e la popolazione è abbandonata a se stessa, con il governo Bielorusso incapace di sostenere i presidi ed i servizi sociali e sanitari perché sempre più strangolato dalla crisi economica. E la popolazione è costretta a subire il cocktail esplosivo dato dalla somma di elevata contaminazione, alimentazione povera di nutrienti e radioattiva, condizioni igieniche inumane.Vivere in aree così radioattive mina inesorabilmente il sistema immunitario ed apre le porte ad una serie di patologie, ma chi paga più presentemente un prezzo elevatissimo sono i bambini che assorbono come una spugna l'atomo nel piatto oltre alle polveri radioattive. Questo è l'inferno di Chernobyl che continua a mietere vittime a 26 anni dal disastro nucleare.
Legambiente lancia un SOS affinché si rompa il muro di gomma dell'indifferenza non più sopportabile da parte della Comunità internazionale, della Commissione europea dei singoli Stati occidentali e si intervenga in modo efficace ed immediato, con la massima priorità prima che sia troppo tardi, oltre che per aiutare concretamente le popolazioni contaminate, almeno per trasferire le famiglie dai villaggi più contaminati nella zona proibita, garantendo loro una sussistenza quantomeno dignitosa: sarebbe senza dubbio un segnale seppur piccolissimo rispetto alla vastità della problematica, importante per non dimenticare queste popolazioni ormai sempre più sole e alla deriva.
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