La testimonianza di Isoke Aikpitany, che lotta ogni giorno contro la prostituzione: è descritta la terribile condizione delle donne nigeriane vittime di violenze che in alcuni casi sfociano in omicidi
Che succederebbe se le donne uccise in Italia non fossero 100 ma 4mila? E' un'ipotesi, una provocazione? No, è un calcolo proporzionale riferito alle nigeriane uccise in Italia... per non dire delle donne dell'est, dell'America Latina e tutte le altre straniere. Il numero di donne italiane uccise nel 2012 ha superato le 120 unità, un vero bollettino di guerra all'insegna del femminicidio. Nei giorni scorsi io ed alcune ragazze nigeriane che con me portano avanti l'associazione vittime ed ex vittime della tratta, dando accoglienza e sostegno a giovani vittime, ci siamo incontrate a Genova per decidere come operare nel 2013. Tira un'aria molto brutta per le nigeriane... eppure continuano ad arrivare in Europa e in Italia. Solo nel 2012 in Italia sono state assassinate dieci nigeriane. Dieci che rientrano nel numero delle donne vittime di femminicidio? Alcune sì, altre no, e comunque non esiste una lista del tutto attendibile sul numero complessivo delle donne uccise.
Ma anche quando avremo superato questo problema e tutte saranno sempre e comunque conteggiate e considerate, noi vittime della tratta faremo fatica a far capire che la percezione della morte e della violenza fra noi è molto più forte e drammatica che fra le donne italiane. Non è una questione banale: è che dieci nigeriane uccise su 15mila(tante sarebbero secondo alcune stime) sono un'enormità. Nell'indagine che proprio tre vittime della tratta hanno realizzato nel 2011, avvicinando mille ragazze nigeriane in Italia, è emerso che ciascuna di quelle mille ne conosce circa 10/15 altre: è come se attraverso loro mille, le avessimo avvicinate tutte e quindicimila. E quando una è uccisa, sicuramente o la conoscevamo di persona o la conoscevano altre a noi molto vicine. Questa prossimità umana, questa conoscenza diretta e personale rende più penoso il dramma e rende più grave il terrore di poter essere uccise.
Ho scritto nel mio primo libro che le ragazze che sono costrette ad andare in strada, ogni sera prima di uscire di casa, pregano Dio di non incontrare un balordo che le violenta e le uccide e di incontrare, invece, un uomo buono che le aiuta. La morte comunque è lì, brutale, non solo quando conosci personalmente la vittima, ma anche quando ricordi che tu stessa l'hai scampata bella. Io l'ho scampata bella! E tantissime hanno rischiato. Che 100 e passa donne italiane possano essere uccise è osceno, ma se le italiane fossero uccise con la stessa frequenza con la quale sono uccise le nigeriane, le donne uccise in Italia sarebbero 4mila all'anno! Per fortuna questa è solo una ipotesi, ma è solo considerandola che le donne italiane potranno capire cosa si agita nell'animo di tante altre donne straniere, o quantomeno nell'animo delle nigeriane... Se poi aggiungiamo la morte e la violenza che queste donne subiscono durante i loro viaggi, il quadro di insieme che ne esce diventerà insopportabile.
Ricordo, inoltre, quando mi intervistarono sugli stupri patiti dalle vittime della tratta un giorno sì e l'altro anche... Risposi che ogni africana violentata è una donna bianca che la scampa. Lo dissi intervenendo alla Casa Internazionale della donna, a Roma. Mi dicono sempre che è una frase terribile, ma è vera, perchè noi siamo lo "sfogatoio sessuale e di violenza" dei maschi in Italia, maschi non solo italiani, si badi. Questa nota ha lo scopo di evidenziare che contro il femminicidio bisogna mettere in campo molte energie, energie differenziate, ma che bisogna anche mettere in campo molte sensibilità diverse e bisogna avere la lucidità per conoscere il problema sotto tutti i suoi aspetti; il che vuol dire che la percezione della gravità del problema è diversa per le donne straniere e per le donne italiane, e vuol dire anche individuare che cosa bisogna fare per stroncare questo dramma.
Noi vittime ed ex vittime della tratta sappiamo, per esperienza, che i centri antiviolenza non sono operativi a nostro favore; non è una accusa o una critica. E' che i centri antiviolenza sono nati per una tipologia di attività rivolte soprattutto alle donne italiane; sono aperti anche alle straniere che, però, conoscono poco i servizi ai quali potrebbero rivolgersi per avere sostegno. Basterebbe analizzare i dati dei centri antiviolenza per scoprire che questo è vero e che quindi ci vorrebbero, tanto per cominciare, più attività di mediazione per far conoscere i servizi alle straniere e per accompagnarle ai servizi. In un conto generico del numero di donne vittime di femminicidio, una percentuale tra il 15 e il 25% è costituita da donne straniere, ma le donne straniere non sono il 15/25% della popolazione femminile, sono molte di meno, il che evidenza ancor più che, proporzionalmente, il numero delle straniere uccise è molto elevato.
A favore delle vittime della tratta sono previsti servizi diversi dai centri antiviolenza; ma se contro il femminicidio si chiede solo di rafforzare i centri antiviolenza, vuol dire che per le vittime della tratta si fa poco; i servizi antitratta sono quasi tutti a rischio di chiusura, sono privi di finanziamento, lo ha detto perfino don Gallo, alla Commenda, domenica 16 dicembre. Quindi contro il femminicidio bisognerebbe chiedere il rafforzamento dei centri antiviolenza e dei servizi antitratta. Altrimenti ad un problema gravissimo come il femminicidio, si rischia di rispondere con una proposta risolutiva che lo affronta solo in parte. Bisognerebbe anche mettere in campo la capacità di analizzare seriamente e serenamente cosa è stato fatto prima che i centri antiviolenza (e i servizi antitratta) perdessero la maggior parte delle risorse. Bisognerebbe guardare i risultati ottenuti e quelli non ottenuti e, magari, cambiare qualcosa.
Questo perchè se le lotte delle donne e, in particolare, di Snoq contribuiranno ad aumentare il numero delle donne impegnate in politica e nel governo, a me e a noi vittime ed ex vittime, nessuna donna che sta correndo in politica o che sostiene donne che correranno in politica, ha ancora detto che cosa farà per affrontare i problemi del femminicidio delle donne italiane e di quelle straniere: dobbiamo aspettare che siano elette per conoscere i loro programmi in merito? Tutte queste criticità alimentano un senso di isolamento delle vittime della tratta dal resto della società civile, il che vuol dire che non credono nella possibilità di uscire dalla tratta e di inseririsi normalmente nella società civile, quindi non credono nei servizi, non credono nelle persone che parlano di loro, di noi, senza dire esattamente che cosa intendono fare. Questo è un problema che riguarda le donne, perchè queste rassicurazioni, gli impegni conseguenti e le decisioni nuove che dovrebbero essere adottate, le donne italiane DEVONO renderli espliciti a tutte le donne, utilizzando soprattutto il canale e lo strumento di operatrici pari o di mediatrici che provengono dagli stessi paesi delle donne alle quali bisogna parlare.
Il numero di queste donne "operatrici" è molto basso; chiediamoci allora come mai apparentemente mentre a molte donne italiane e a molti uomini è stata offerta la possibilità di lavorare, con uno stipendio, nella realtà della tratta, pochissime vittime ed ex vittime hanno avuto questa opportunità, quando è chiaro che hanno la capacità spontanea di esser concrete; formare e valorizzare queste capacità spontanee sarebbe stato un investimento positivo, ma NON è stato fatto nulla in tale direzione. Le mediatrici poi non sono delle "pari", ma spesso sono semplicemente donne che provengono dallo stesso continente: è come se a sostenere una donna sarda che proviene dalla profonda Barbagia si impegnasse una finlandese, solo perchè sono entrambe europee. A stento riusciranno a parlarsi. Non aver favorito l'autorappresentatività delle vittime e delle ex vittime è un problema concreto: se lo proponeva tanti anni or sono Leopoldo Grosso, numero due del Gruppo Abele, e io gli ho dato ascolto fondando l'associazione vittime ed ex vittime della tratta, che però fatica a farsi ascoltare, perchè io fatico a rappresentarla operando in modo autogestito ed autofinanziato, e perchè non mi si riconosce - a me e alle altre che operano con me - l'autorevolezza di quel che diciamo.
Invece di ascoltarci le donne italiane preferiscono fare il possibile per rappresentarci loro, prendendosi tutto lo spazio, cercando di capire, intepretare e rappresentare noi che vorremmo farlo direttamente. In questo modo si creano difficoltà tali che molte rinunciano e molte si adattano: alcune si adattano a prostituirsi, anche se non volevano, altre si adattano a diventare operatrici in un sistema che fa quel che può, anche se sono consapevoli che si potrebbe fare molto di più. Il titolo di questo breve documento, spiega quale è la percezione del femminicidio e della violenza tra le donne vittime ed ex vittime della tratta e, in particolare, tra le nigeriane che hanno un minimo di organizzazione per rappresentarsi, per autorappresentarsi. Le nigeriane sono escluse dalla società bianca, vivono all'interno della loro comunità africana, percepiscono suoni esterni che, per loro, sono tutti suoni spaventosi... nessuno scende in piazza per questo e noi non possiamo farlo, perchè siamo sole.
Provate ad immaginare allora se non 100 ma 4mila donne italiane fossero uccise ogni anno; pensate a quale angoscia, a quale terrore si impadronirebbe delle donne se il dramma fosse questo. Beh, per noi vittime ed ex vittime la situazione è esattamente questa.
Che succederebbe se le donne uccise in Italia non fossero 100 ma 4mila? E' un'ipotesi, una provocazione? No, è un calcolo proporzionale riferito alle nigeriane uccise in Italia... per non dire delle donne dell'est, dell'America Latina e tutte le altre straniere. Il numero di donne italiane uccise nel 2012 ha superato le 120 unità, un vero bollettino di guerra all'insegna del femminicidio. Nei giorni scorsi io ed alcune ragazze nigeriane che con me portano avanti l'associazione vittime ed ex vittime della tratta, dando accoglienza e sostegno a giovani vittime, ci siamo incontrate a Genova per decidere come operare nel 2013. Tira un'aria molto brutta per le nigeriane... eppure continuano ad arrivare in Europa e in Italia. Solo nel 2012 in Italia sono state assassinate dieci nigeriane. Dieci che rientrano nel numero delle donne vittime di femminicidio? Alcune sì, altre no, e comunque non esiste una lista del tutto attendibile sul numero complessivo delle donne uccise.
Ma anche quando avremo superato questo problema e tutte saranno sempre e comunque conteggiate e considerate, noi vittime della tratta faremo fatica a far capire che la percezione della morte e della violenza fra noi è molto più forte e drammatica che fra le donne italiane. Non è una questione banale: è che dieci nigeriane uccise su 15mila(tante sarebbero secondo alcune stime) sono un'enormità. Nell'indagine che proprio tre vittime della tratta hanno realizzato nel 2011, avvicinando mille ragazze nigeriane in Italia, è emerso che ciascuna di quelle mille ne conosce circa 10/15 altre: è come se attraverso loro mille, le avessimo avvicinate tutte e quindicimila. E quando una è uccisa, sicuramente o la conoscevamo di persona o la conoscevano altre a noi molto vicine. Questa prossimità umana, questa conoscenza diretta e personale rende più penoso il dramma e rende più grave il terrore di poter essere uccise.
Ho scritto nel mio primo libro che le ragazze che sono costrette ad andare in strada, ogni sera prima di uscire di casa, pregano Dio di non incontrare un balordo che le violenta e le uccide e di incontrare, invece, un uomo buono che le aiuta. La morte comunque è lì, brutale, non solo quando conosci personalmente la vittima, ma anche quando ricordi che tu stessa l'hai scampata bella. Io l'ho scampata bella! E tantissime hanno rischiato. Che 100 e passa donne italiane possano essere uccise è osceno, ma se le italiane fossero uccise con la stessa frequenza con la quale sono uccise le nigeriane, le donne uccise in Italia sarebbero 4mila all'anno! Per fortuna questa è solo una ipotesi, ma è solo considerandola che le donne italiane potranno capire cosa si agita nell'animo di tante altre donne straniere, o quantomeno nell'animo delle nigeriane... Se poi aggiungiamo la morte e la violenza che queste donne subiscono durante i loro viaggi, il quadro di insieme che ne esce diventerà insopportabile.
Ricordo, inoltre, quando mi intervistarono sugli stupri patiti dalle vittime della tratta un giorno sì e l'altro anche... Risposi che ogni africana violentata è una donna bianca che la scampa. Lo dissi intervenendo alla Casa Internazionale della donna, a Roma. Mi dicono sempre che è una frase terribile, ma è vera, perchè noi siamo lo "sfogatoio sessuale e di violenza" dei maschi in Italia, maschi non solo italiani, si badi. Questa nota ha lo scopo di evidenziare che contro il femminicidio bisogna mettere in campo molte energie, energie differenziate, ma che bisogna anche mettere in campo molte sensibilità diverse e bisogna avere la lucidità per conoscere il problema sotto tutti i suoi aspetti; il che vuol dire che la percezione della gravità del problema è diversa per le donne straniere e per le donne italiane, e vuol dire anche individuare che cosa bisogna fare per stroncare questo dramma.
Noi vittime ed ex vittime della tratta sappiamo, per esperienza, che i centri antiviolenza non sono operativi a nostro favore; non è una accusa o una critica. E' che i centri antiviolenza sono nati per una tipologia di attività rivolte soprattutto alle donne italiane; sono aperti anche alle straniere che, però, conoscono poco i servizi ai quali potrebbero rivolgersi per avere sostegno. Basterebbe analizzare i dati dei centri antiviolenza per scoprire che questo è vero e che quindi ci vorrebbero, tanto per cominciare, più attività di mediazione per far conoscere i servizi alle straniere e per accompagnarle ai servizi. In un conto generico del numero di donne vittime di femminicidio, una percentuale tra il 15 e il 25% è costituita da donne straniere, ma le donne straniere non sono il 15/25% della popolazione femminile, sono molte di meno, il che evidenza ancor più che, proporzionalmente, il numero delle straniere uccise è molto elevato.
A favore delle vittime della tratta sono previsti servizi diversi dai centri antiviolenza; ma se contro il femminicidio si chiede solo di rafforzare i centri antiviolenza, vuol dire che per le vittime della tratta si fa poco; i servizi antitratta sono quasi tutti a rischio di chiusura, sono privi di finanziamento, lo ha detto perfino don Gallo, alla Commenda, domenica 16 dicembre. Quindi contro il femminicidio bisognerebbe chiedere il rafforzamento dei centri antiviolenza e dei servizi antitratta. Altrimenti ad un problema gravissimo come il femminicidio, si rischia di rispondere con una proposta risolutiva che lo affronta solo in parte. Bisognerebbe anche mettere in campo la capacità di analizzare seriamente e serenamente cosa è stato fatto prima che i centri antiviolenza (e i servizi antitratta) perdessero la maggior parte delle risorse. Bisognerebbe guardare i risultati ottenuti e quelli non ottenuti e, magari, cambiare qualcosa.
Questo perchè se le lotte delle donne e, in particolare, di Snoq contribuiranno ad aumentare il numero delle donne impegnate in politica e nel governo, a me e a noi vittime ed ex vittime, nessuna donna che sta correndo in politica o che sostiene donne che correranno in politica, ha ancora detto che cosa farà per affrontare i problemi del femminicidio delle donne italiane e di quelle straniere: dobbiamo aspettare che siano elette per conoscere i loro programmi in merito? Tutte queste criticità alimentano un senso di isolamento delle vittime della tratta dal resto della società civile, il che vuol dire che non credono nella possibilità di uscire dalla tratta e di inseririsi normalmente nella società civile, quindi non credono nei servizi, non credono nelle persone che parlano di loro, di noi, senza dire esattamente che cosa intendono fare. Questo è un problema che riguarda le donne, perchè queste rassicurazioni, gli impegni conseguenti e le decisioni nuove che dovrebbero essere adottate, le donne italiane DEVONO renderli espliciti a tutte le donne, utilizzando soprattutto il canale e lo strumento di operatrici pari o di mediatrici che provengono dagli stessi paesi delle donne alle quali bisogna parlare.
Il numero di queste donne "operatrici" è molto basso; chiediamoci allora come mai apparentemente mentre a molte donne italiane e a molti uomini è stata offerta la possibilità di lavorare, con uno stipendio, nella realtà della tratta, pochissime vittime ed ex vittime hanno avuto questa opportunità, quando è chiaro che hanno la capacità spontanea di esser concrete; formare e valorizzare queste capacità spontanee sarebbe stato un investimento positivo, ma NON è stato fatto nulla in tale direzione. Le mediatrici poi non sono delle "pari", ma spesso sono semplicemente donne che provengono dallo stesso continente: è come se a sostenere una donna sarda che proviene dalla profonda Barbagia si impegnasse una finlandese, solo perchè sono entrambe europee. A stento riusciranno a parlarsi. Non aver favorito l'autorappresentatività delle vittime e delle ex vittime è un problema concreto: se lo proponeva tanti anni or sono Leopoldo Grosso, numero due del Gruppo Abele, e io gli ho dato ascolto fondando l'associazione vittime ed ex vittime della tratta, che però fatica a farsi ascoltare, perchè io fatico a rappresentarla operando in modo autogestito ed autofinanziato, e perchè non mi si riconosce - a me e alle altre che operano con me - l'autorevolezza di quel che diciamo.
Invece di ascoltarci le donne italiane preferiscono fare il possibile per rappresentarci loro, prendendosi tutto lo spazio, cercando di capire, intepretare e rappresentare noi che vorremmo farlo direttamente. In questo modo si creano difficoltà tali che molte rinunciano e molte si adattano: alcune si adattano a prostituirsi, anche se non volevano, altre si adattano a diventare operatrici in un sistema che fa quel che può, anche se sono consapevoli che si potrebbe fare molto di più. Il titolo di questo breve documento, spiega quale è la percezione del femminicidio e della violenza tra le donne vittime ed ex vittime della tratta e, in particolare, tra le nigeriane che hanno un minimo di organizzazione per rappresentarsi, per autorappresentarsi. Le nigeriane sono escluse dalla società bianca, vivono all'interno della loro comunità africana, percepiscono suoni esterni che, per loro, sono tutti suoni spaventosi... nessuno scende in piazza per questo e noi non possiamo farlo, perchè siamo sole.
Provate ad immaginare allora se non 100 ma 4mila donne italiane fossero uccise ogni anno; pensate a quale angoscia, a quale terrore si impadronirebbe delle donne se il dramma fosse questo. Beh, per noi vittime ed ex vittime la situazione è esattamente questa.
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