mercoledì, gennaio 23, 2013
Alla Sala Giubileo dell’università Maria SS. Assunta (LUMSA), Giovanni Morzenti ha presentato il libro “Banca e impresa – Un nuovo rapporto per nuove sfide”. Un’occasione per ricostruire un rapporto lacerato dalla crisi finanziaria eppure cruciale per lo sviluppo del Paese. Che si può rinsaldare scoprendo i vantaggi del rapporto tra finanza ed etica.

Si è trasformato in un invito a riscoprire una rete di relazioni più sana, più solida e più densa di fiducia tra sistema bancario e tessuto industriale, la presentazione del libro “Banca e impresa – Un nuovo rapporto per nuove sfide”, che Giovanni Morzenti, già amministratore delegato di numerose società del settore finanziario e industriale e attualmente amministratore economico del Centro di Orientamento Pastorale (COP), ha pubblicato con Tangram Edizioni Scientifiche. Un percorso possibile ricominciando dal basso: “Per linee di credito più importanti si possono trovare accordi con i grandi istituti di credito, ma è la banca piccola del territorio, che ha un contatto diretto con le persone, ad avere un livello di rischiosità minore, può dare più credito alle imprese artigiane, agricole e piccole industrie senza dover dipendere da decisioni prese altrove”, spiega Giovanni Morzenti, davanti al pubblico presente nella Sala Giubileo dell’università Lumsa di Roma. “Le sofferenze di quelle realtà bancarie sono dieci volte inferiori rispetto agli istituti bancari maggiori. Questo la dice lunga sul perché per il futuro dobbiamo recuperare il rapporto diretto tra banche e imprese. Non è un caso che siano le banche di grandi dimensioni ad aver creato i grandi scandali che hanno affossato il sistema finanziario e industriale.”.

Costruire un sistema di credito più efficace per le imprese italiane significa quindi un ritorno alle origini. A un periodo in cui nessuno metteva in discussione il fatto che la finanza doveva essere al servizio delle imprese. Ne è convinto Maurizio Dallocchio, ordinario di Finanza aziendale all’università Bocconi. “Se si ritorna a questo tipo di finanza, riscopriamo i valori di equilibrio, sostenibilità, di equilibrio di lungo periodo. Riguadagnare questi valori non è facile ma è un’opera assolutamente meritoria”. Attività certamente necessaria ma, altrettanto sicuramente, non facile. I numeri lo dimostrano: “il Pil mondiale del 2010 – ricorda Dallocchio – è stato di 63mila miliardi di dollari. Il valore delle attività finanziaria è stato 7 volte maggiore. E il valore dei derivati superiore di 32 volte. Smontare questo castello di carta è difficile. “La banca però può dare un esempio importante facendo ciò per cui è nata. Ovvero tornando a dare fiducia e quindi prestiti a chi merita di vedersi concedere credito. Deve aiutare le imprese nel loro percorso di crescita. Perché se rimangono piccole sono esposte a qualsiasi momento di tensione economica e corrono il serio rischio di perdere la sfida con i concorrenti internazionali. Questo deve fare una banca. Anziché fare trading di titoli marci”.

Una ricetta economica con importanti risvolti etici. Rispondere all’esigenze morali più profonde della persona ha infatti anche importanti e benefiche ricadute sul piano concreto. “L’economia ha bisogno dell’etica. Un’etica amica della persona” osserva S.E. Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi, citando quanto scritto da Benedetto XVI nella Caritas in Veritate. “Se il sistema bancario si ponesse in mente la persona, ivi compresa la piccola impresa, che spesso coincide con il nucleo familiare, avrebbe un modo assolutamente diverso di gestione del credito. Facendo questo non deve rinunciare ai suoi profitti. Ma questi non possono essere la finalità ultima dell’attività bancaria, che invece nasce per promuovere lo sviluppo della persona, riconoscendole fiducia nella capacità di restituzione del credito. Nelle banche di un tempo c’era un rapporto diretto tra il direttore di ciascuna filiale e il correntista che chiedeva un finanziamento. È un principio che si è perso e che invece bisogna ritrovare perché è un elemento del rapporto interpersonale alla base di una comunità di persone”.

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