giovedì, gennaio 03, 2013
Intervista a Francesco D'Agostino, presidente dell'Unione giuristi cattolici  

Radio Vaticana - In questi giorni ferve il dibattito sui temi etici in vista della campagna elettorale. E in questo contesto si fa anche il bilancio di quanto fatto in questo campo nella passata legislatura: tra le leggi mancate quella sulle Dat, ovvero sul testamento biologico, arenatasi in Senato a un passo dal voto definitivo. Alessandro Guarasci ha sentito il presidente dell’Unione dei Giuristi Cattolici, Francesco D’Agostino: ascolta.

R. - Sminuire la valenza dei temi etici è un errore molto grave. Il Papa, nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace, il 1° gennaio, ha messo chiaramente in rilievo che il riferimento ai temi etici va inteso come un riferimento alla verità delle cose. Se non si bada alla verità, non si può costruire un bene comune, e non si può costruire una società degna dell’uomo. Ecco perché quando si discute dei temi etici, non si discute di visioni particolari del mondo, ma sul doveroso e necessario impegno di tutti gli uomini a confrontarsi con temi come la nascita, la morte, la malattia, la procreazione, che non sono temi privati, ma sono temi pubblici. 

D. - Lei in sostanza dice che non è necessario prendere subito posizione, ma quanto meno proporli nel dibattito? 

R. - Questi temi vanno assolutamente collocati all’interno di qualunque programma politico, e mi auguro che gli elettori quando decideranno come votare, andranno a verificare che rilievo i singoli partiti daranno ai temi etici, perché marginalizzarli, minimizzarli, rimandarli a scelte private di coscienza o dire: “Ne parleremo dopo quando avremo l’occasione per farlo”, è un errore politico fondamentale. 

D. - Però, su questi temi anche i cattolici spesso sono divisi. Vediamo la legge sul bio-testamento, la quale doveva fare l’ultima lettura al Senato ed invece si è arenata… Secondo lei, questi aspetti, dovranno essere affrontati nella prossima legislatura? 

R. - Assolutamente sì. Però, una cosa è ritenere che una determinata legge - nel nostro caso la cosiddetta Legge Sacconi - meritasse di essere rivista e corretta, in quanto sicuramente ogni legge può essere migliorata e perfezionata, altra cosa è ritenere che i temi di fine vita non meritino di essere regolamentati in modo pubblico. Su questo aspetto non mi pare che ci sia differenza di opinione tra i cattolici, ma più in generale tra tutti coloro che capiscono e danno il giusto rilievo ai temi etici. Credo che sulla necessità che la procreazione, la vita, la morte, e la malattia siano garantite pubblicamente dal diritto, non ci possa essere nessuna differenziazione. 

D. - Probabilmente si tornerà a parlare nella prossima legislatura di unioni di fatto. Un intervento su questo tema rischia in qualche modo di svilire la famiglia oppure la famiglia va tutelata anche sotto altri aspetti, come per esempio quello economico? 

R. - Sono convinto che il matrimonio è una realtà umana, antropologica, incancellabile. E quindi non c’è nulla da temere dal dilagare - per altro deplorevole - delle unioni di fatto. Quello che noi dobbiamo invece considerare è che proprio perché il matrimonio è una struttura antropologica fondamentale, questo deve essere sostenuto a livello pubblico. Se poi, in un contesto in cui il matrimonio è adeguatamente sostenuto si vogliono fare delle leggi per proteggere i partner deboli delle coppie di fatto, questo lo si può senz’altro fare ma deve essere molto chiara qual è la differenza fra le due situazioni. Si tratta di proteggere il partner debole di una coppia di fatto; quando invece proteggiamo il matrimonio non proteggiamo il coniuge debole, proteggiamo l’istituzione matrimoniale che sta alle fondamenta della famiglia.

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