Domenica prossima, si celebra la Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato: alcuni giorni fa è stato pubblicato il Messaggio che Benedetto XVI ha dedicato a questo appuntamento.
Radio Vaticana - “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza” recita il titolo del Messaggio: un augurio che il Papa rivolge a tutti coloro che cambiano Paese in cerca di migliori condizioni, ma anche alle nazioni di approdo perché aprano le porte in segno di solidarietà. Alessandro De Carolis ripropone alcune considerazioni di Benedetto XVI su questo tema: ascolta
Come si accoglie un immigrato? Con il massimo dell’indifferenza, o il minimo di considerazione: per la sua persona, la sua famiglia, per i fantasmi che si porta dentro... Sono molto diffusi questi due sentimenti. Ha visto la morte in faccia rimbalzando di notte su uno scafo a pelo d’acqua? È arrivato in un container rovente a 50 gradi, con i figli morti accanto? Questo ha importanza per chi – forze dell’ordine, medici, infermieri, volontari – prova a restituire un brandello di dignità a chi ha negli occhi i riflessi dell’inferno che ha appena vissuto. Ma un senso di inerzia e di generale fastidio – che talvolta si spinge fino a ciechi rigurgiti di odio – distingue la reazione di tanta gente, che con più o meno volontà fa il deserto intorno a sventurati che forse lo hanno appena attraversato. Per voi però, ha detto mille volte Benedetto XVI ai cristiani, non sia così:
“Nella sua azione di accoglienza e di dialogo con i migranti e gli itineranti, la comunità cristiana ha, come punto di riferimento costante, la persona di Cristo nostro Signore. Egli ha lasciato ai suoi discepoli una regola d’oro secondo cui impostare la propria vita: il comandamento nuovo dell’amore”. (Udienza al Pontificio Consiglio dei Migranti, 15 maggio 2008).
Perché allora nel bagaglio di coloro che emigrano da situazioni difficili non vi sia solo un calvario assicurato dal viaggio e un futuro indecifrabile ma “fede e speranza” – come auspica il Papa nel Messaggio per la Giornata dei Migranti – bisogna compiere un netto salto di civiltà. E il cristianesimo aiuta a cambiare visione:
“Le migrazioni invitano a mettere in luce l’unità della famiglia umana, il valore dell’accoglienza, dell’ospitalità e dell’amore per il prossimo. Ciò va però tradotto in gesti quotidiani di condivisione, di compartecipazione e di sollecitudine verso gli altri, specialmente verso i bisognosi (...) Ecco perché la Chiesa invita i fedeli ad aprire il cuore ai migranti e alle loro famiglie, sapendo che essi non sono solo un ‘problema’, ma costituiscono una ‘risorsa’”. (Congresso mondiale dei migranti, 9 novembre 2009).
Risorsa perché per la Chiesa – e Benedetto XVI lo ribadisce anche nel Messaggio di quest’anno – “migranti e rifugiati possono contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze”. E se il diritto a emigrare è uno di quei pilastri fondamentali della libertà individuale, lo è anche – scrive il Papa nel Messaggio – quello dello Stato “di regolare i flussi migratori”.
“L’emergenza in cui si è trasformata nei nostri tempi (...) ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone, nello stesso tempo, efficaci risposte politiche (...) Senso di responsabilità devono mostrare anche i Paesi di origine, non solo perché si tratta di loro concittadini, ma anche per rimuovere le cause di migrazione irregolare, come pure per stroncare, alle radici, tutte le forme di criminalità ad essa collegate”.
Radio Vaticana - “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza” recita il titolo del Messaggio: un augurio che il Papa rivolge a tutti coloro che cambiano Paese in cerca di migliori condizioni, ma anche alle nazioni di approdo perché aprano le porte in segno di solidarietà. Alessandro De Carolis ripropone alcune considerazioni di Benedetto XVI su questo tema: ascolta
Come si accoglie un immigrato? Con il massimo dell’indifferenza, o il minimo di considerazione: per la sua persona, la sua famiglia, per i fantasmi che si porta dentro... Sono molto diffusi questi due sentimenti. Ha visto la morte in faccia rimbalzando di notte su uno scafo a pelo d’acqua? È arrivato in un container rovente a 50 gradi, con i figli morti accanto? Questo ha importanza per chi – forze dell’ordine, medici, infermieri, volontari – prova a restituire un brandello di dignità a chi ha negli occhi i riflessi dell’inferno che ha appena vissuto. Ma un senso di inerzia e di generale fastidio – che talvolta si spinge fino a ciechi rigurgiti di odio – distingue la reazione di tanta gente, che con più o meno volontà fa il deserto intorno a sventurati che forse lo hanno appena attraversato. Per voi però, ha detto mille volte Benedetto XVI ai cristiani, non sia così:
“Nella sua azione di accoglienza e di dialogo con i migranti e gli itineranti, la comunità cristiana ha, come punto di riferimento costante, la persona di Cristo nostro Signore. Egli ha lasciato ai suoi discepoli una regola d’oro secondo cui impostare la propria vita: il comandamento nuovo dell’amore”. (Udienza al Pontificio Consiglio dei Migranti, 15 maggio 2008).
Perché allora nel bagaglio di coloro che emigrano da situazioni difficili non vi sia solo un calvario assicurato dal viaggio e un futuro indecifrabile ma “fede e speranza” – come auspica il Papa nel Messaggio per la Giornata dei Migranti – bisogna compiere un netto salto di civiltà. E il cristianesimo aiuta a cambiare visione:
“Le migrazioni invitano a mettere in luce l’unità della famiglia umana, il valore dell’accoglienza, dell’ospitalità e dell’amore per il prossimo. Ciò va però tradotto in gesti quotidiani di condivisione, di compartecipazione e di sollecitudine verso gli altri, specialmente verso i bisognosi (...) Ecco perché la Chiesa invita i fedeli ad aprire il cuore ai migranti e alle loro famiglie, sapendo che essi non sono solo un ‘problema’, ma costituiscono una ‘risorsa’”. (Congresso mondiale dei migranti, 9 novembre 2009).
Risorsa perché per la Chiesa – e Benedetto XVI lo ribadisce anche nel Messaggio di quest’anno – “migranti e rifugiati possono contribuire al benessere dei Paesi di arrivo con le loro competenze”. E se il diritto a emigrare è uno di quei pilastri fondamentali della libertà individuale, lo è anche – scrive il Papa nel Messaggio – quello dello Stato “di regolare i flussi migratori”.
“L’emergenza in cui si è trasformata nei nostri tempi (...) ci interpella e, mentre sollecita la nostra solidarietà, impone, nello stesso tempo, efficaci risposte politiche (...) Senso di responsabilità devono mostrare anche i Paesi di origine, non solo perché si tratta di loro concittadini, ma anche per rimuovere le cause di migrazione irregolare, come pure per stroncare, alle radici, tutte le forme di criminalità ad essa collegate”.
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