domenica, gennaio 27, 2013
La posizione del primo ministro Cameron dipende dal dibattito politico interno, dai comportamenti degli altri stati e dalla burocrazia di Bruxelles. Dal nostro corrispondente a Londra.

Città Nuova - Da quando la Gan Bretagna si è unita a quella che era la Comunità Economica Europea (EEC) si è sempre lamentata. O almeno questo è il modo in cui molti dei nostri colleghi dell’Unione Europea vedono la situazione. Il recente discorso di Cameron sull’atteggiamento verso l’Europa ha decisamente rinforzato questa visione. Dunque: qual è il problema? È forse più complicato di quanto possiamo immaginare. In primis, e forse soprattutto, c’è l’agenda politica nazionale di David Cameron. Il Partito Indipendente della Gran Bretagna (UKIP) ha rapidamente guadagnato terreno sui Conservatori, rispetto al problema dell’adesione della Gran Bretagna all’Europa.

Il rischio è che, se il Partito Conservatore non mette in chiaro il fatto di lottare con le unghie e i denti per gli interessi britannici in Europa, potrebbe cedere all’UKIP seggi parlamentari. Infatti il discorso di Cameron è stato un misto di promesse e minacce. Ha minacciato di far uscire la Gran Bretagna dall’Europa se questa non concede quanto richiesto e ha promesso di indire un referendum sull’adesione della Gran Bretagna se i Conservatori vinceranno le prossime elezioni, ma non prima del 2018. D’Altra parte ha spesso affermato di credere che la permanenza della Gran Bretagna nell’Europa sia un vantaggio.

E se ci sarà un referendum, cosa decideranno gli elettori? L’UKIP sta guadagnando popolarità perché sostiene che la Gran Bretagna sta perdendo la propria autonomia rimanendo nell’Europa, poiché, sostiene ancora, troppe importanti decisioni sono prese dai burocrati senza volto di Bruxelles. È un messaggio semplice e chiaro, e per certi versi anche vero.

Le parti politiche che sostengono invece la permanenza nell’Europa usano l’argomento economico, sostenendo che la Gran Bretagna soffrirebbe economicamente se si ritirasse dall’EU. Il pragmatismo britannico semplicemente non riesce, almeno così sembra, a far fronte agli alti propositi che sottendono l’unione europea.

C’è anche un fattore culturale: il governo inglese, di qualunque colore, tende a guardare ogni singola virgola, ogni singola nota di ogni regola imposta dall’Europa, riscontrandovi potenziali problemi e sollevando obiezioni.

Le popolazioni più a sud nel continente, se arrivano a leggere l’intera pubblicazione, tendono in genere a sottoscriverla e fare poi come meglio credono. La Germania, con la sua grande popolazione e la forte economia, sente di non avere nulla da temere. La Francia, allineandosi sulle posizioni della Germania, non ha problemi a mettere in evidenza le regole europee che disattende, sapendo bene che non ci sarà alcuna punizione per questo.

I britannici devono essersi resi molto impopolari nei confronti dell’Europa e il linguaggio usato dal Primo Ministro britannico non è certo il modo migliore per conquistare amici e influenzare le persone.

Ad ogni modo l’Europa ha urgente bisogno di riforme. Enormi quantità di denaro sono sprecate per le sue strutture ingombranti e c’è bisogno di guardare con serietà ad un importante principio dell’insegnamento sociale cattolico: la solidarietà. Sarebbe meglio se i nostri politici ambissero a riforme per il beneficio di tutti e non con il solo pensiero della piccola Gran Bretagna.

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