domenica, gennaio 20, 2013
Presentata la ricerca dell’Università Cattolica di Milano e di Transcrime

Liberainformazione - Chi, cosa e dove. Sono queste le tre domande alla base della ricerca, finanziata con i fondi del Pon Sicurezza 2007-2013 e realizzata da Transcrime e dall’Università Cattolica di Milano, sugli investimenti delle mafie in Italia. Quali organizzazioni mafiose investono, quanto e dove. I dati statistici presentati offrono lo spunto per ulteriori interrogativi sul giro d’affari che i boss hanno messo in piedi in Italia, e nei cinque continenti, sfruttando le opportunità offerte dalla globalizzazione. L’affresco dato è quello di mafie ricche e capaci di diversificare gli investimenti in attività imprenditoriali. Il boss, tuttavia, non è un buon imprenditore, come riporta lo studio, semplicemente perché non ha interesse a far fiorire le imprese sulle quali mette le mani, ma soltanto ad avere nuovi strumenti per ripulire i proventi illeciti.

Mafie Spa, una multinazionale che vale l’1,7% del Pil. Il fatturato annuo delle attività illegali in Italia, calcola Transcrime, si aggira tra un minimo di 17,7 miliardi di euro, a un massimo di 33,7 miliardi di euro. Numeri ben inferiori rispetto a quelli stimati dalla Dna e dalla Commissione antimafia, che di miliardi ne calcola, in difetto, 150 l’anno. Al di là delle differenze, resta il dato che i soldi sono tanti. La maggior parte dei profitti illeciti generati nello Stivale derivano dal traffico di droga (7,7 miliardi annui), dalle estorsioni (4,7), dallo sfruttamento sessuale (4,66), dalla contraffazione (4,54), dall’usura (2,24). Seguono poi il traffico di tabacchi (0,75), quello dei rifiuti (0,57), il gioco d’azzardo (0,42) e il traffico di armi (0,10). Un business che incide sull’1,7% del Pil italiano. Naturalmente, si sottolinea nella ricerca, non è tutto gestito esclusivamente dalle mafie, ci sono anche altri attori in gioco che non necessariamente fanno riferimento alle cosche. Queste guadagnano annualmente una cifra stimabile tra gli 8,3 e i 13 miliardi di euro. L’organizzazione che guadagna di più è la camorra (3,75 miliardi annui), seguita dalla ‘ndrangheta (3,49), Cosa nostra (1,87), dalle organizzazioni pugliesi (1,12) e dalle altre mafie – Stidda, basilischi, etc – (0,44). Se è vero che la maggior parte delle organizzazioni mafiose genera profitti illeciti prevalentemente nei territori dove sono nate (con un’incidenza del 50% sul totale), la ‘ndrangheta fa eccezione. Soltanto il 23% dei proventi è generato in Calabria, il 21% in Piemonte, il 16% in Lombardia e l’8% in Emilia-Romagna e nel Lazio. Anche in questo caso è utile riportare un dato presente relazione del 2008 della Dna, dove è evidente la differenza nella stima dei proventi illeciti dei boss. «Giova richiamare, in conclusione, i risultati della ricerca condotta da Eurispes Calabria per il 2007 e pubblicati nel maggio del 2008. Secondo la ricerca – si legge nella relazione del Procuratore Antonio Macrì - ammonta a quasi 44 miliardi di euro il giro d’affari della ‘ndrangheta per il 2007. Un fatturato pari al 2,9 per cento del prodotto interno lordo italiano che ammonta, per l’anno in esame, a 1.535 miliardi di euro».

Al di là dei numeri, comunque, il problema resta ed è allarmante. L’indice della presenza mafiosa. Altra interessante novità introdotta nello studio di Transcrime e dell’Università Cattolica, è rappresentata dall’indice di presenza mafiosa. L’Ipm è stato calcolato usando molteplici indicatori: il numero di omicidi o tentati omicidi (2004-2011, fonte Sdi); persone denunciate per reati associativi – 416 bis (2004-2011, fonte Sdi); Comuni e pubbliche amministrazioni sciolte per mafia (2000-2012, fonte ministero dell’Interno); beni confiscati (2000-2011, fonte Anbcs); relazioni della Dia e della Dna. Dall’indice è possibile rilevare che la presenza mafiosa è particolarmente elevata nelle regioni del sud, quelle dove tradizionalmente le mafie sono nate e si sono strutturate. A livello delle singole regioni, inoltre, è possibile identificare le aree dove le cosche sono più radicate. Ad esempio il palermitano per Cosa nostra, il reggino per la ‘ndrangheta e l’area tra Caserta e Napoli per la camorra. E’ la Campania la regione dove la presenza mafiosa incide di più, con un indice pari a 61,21, seguita dalla Calabria (41,76), dalla Sicilia (31,80) e dalla Puglia (17,84). Risultati preoccupanti registrano anche il Lazio (16,83), la Liguria (10,44) e il Piemonte (6,11). La Lombardia (4,17) si posiziona in nona posizione subito dopo la Basilicata (5,32). A livello provinciale svetta Napoli, seguita da Reggio Calabria, Vibo Valentia e Palermo. Roma è 13a, Genova 17a, Torino 20a, Milano 26a.

Beni confiscati, i boss preferiscono gli immobili. Analizzando le confische dei beni dal 1983 al 2011, lo studio fornisce delle dinamiche interessanti. Il 52,3% delle confische ha riguardato immobili, tra questi spiccano le abitazioni (42,4%), i terreni agricoli (25,6%), soprattutto nelle regioni a vocazione agricola del sud. Per quel che riguarda le aziende, il 46,6% sono srl, il 25,8% delle imprese individuali, il 14,5% società in accomandita semplice, l’8,8% società in nome collettivo. Le Spa sono presenti soltanto nel 2% dei casi. La scelta delle srl è dettata dalla semplicità che serve a costituirle. Camorra e ‘ndrangheta hanno la maggiore percentuale di immobili confiscati nelle regioni diverse da quelle di origine (10% del totale). Cosa nostra, invece, ha il maggior numero di aziende confiscate (39%), prevalentemente attive nel settore dell’edilizia in Sicilia.

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