A tre anni dal devastante sisma del 12 gennaio 2010, causa di decine di migliaia di morti e un milione e mezzo di sfollati, “la realtà non è cambiata per migliaia di giovani donne, giovani uomini, madri e neonati negli alloggi di fortuna”: lo scrive l’organo di informazione haitiano Alterpresse dipingendo uno scenario desolante nel paese più povero dell’America Latina.
Misna - Secondo cifre fornite dall’organizzazione sociale Frakka, nei campi per senza tetto abitano ancora in 400.000; un dato simile a quello fornito dalle Nazioni Unite e confermato amaramente dal coordinatore dell’ufficio per gli affari umanitari del Palazzo di Vetro, Nigel Fisher: “Non è cambiato davvero nulla – ha detto – nelle condizioni di vita della gente nei campi”. Il problema degli alloggi – a cui si aggiungono un sistema sanitario devastato e un’agricoltura in crisi dopo alluvioni alternatesi a periodi di siccità a causa delle tempeste tropicali Isaac e Sandy – resta fra le promesse mancate del governo. “I programmi di reinsediamento, organizzati dall’attuale amministrazione e le espulsioni forzate – afferma inoltre Radio Kiskeya – sono palesemente serviti solo a sgomberare le pubbliche piazze” dalle tendopoli improvvisate.
“Il processo di transizione è troppo lento. Questo accade perché le istituzioni haitiane sono deboli, i donatori non hanno mantenuto le loro promesse, i governi e la comunità internazionale hanno fallito nello stabilire delle priorità chiare” ha detto Joan Arnan, capo missione di Medici Senza Frontiere (Msf) ad Haiti.
Il paese fortemente segnato dal sisma, non ancora liberato dal colera e ulteriormente danneggiato dagli eventi ciclonici” documenta la Caritas Italiana nel rapporto «Haiti: un cammino condiviso».
“Per coloro che ancora piangono le vittime – aggiunge – non è di conforto la crisi di governabilità: solo il 5% delle macerie sgomberate e meno del 10% dei fondi della comunità internazionale (1,1 miliardi di dollari promessi) effettivamente versati, né la concorrenza agguerrita delle multinazionali canadesi, americane e francesi per il business della ricostruzione”.
Misna - Secondo cifre fornite dall’organizzazione sociale Frakka, nei campi per senza tetto abitano ancora in 400.000; un dato simile a quello fornito dalle Nazioni Unite e confermato amaramente dal coordinatore dell’ufficio per gli affari umanitari del Palazzo di Vetro, Nigel Fisher: “Non è cambiato davvero nulla – ha detto – nelle condizioni di vita della gente nei campi”. Il problema degli alloggi – a cui si aggiungono un sistema sanitario devastato e un’agricoltura in crisi dopo alluvioni alternatesi a periodi di siccità a causa delle tempeste tropicali Isaac e Sandy – resta fra le promesse mancate del governo. “I programmi di reinsediamento, organizzati dall’attuale amministrazione e le espulsioni forzate – afferma inoltre Radio Kiskeya – sono palesemente serviti solo a sgomberare le pubbliche piazze” dalle tendopoli improvvisate.
“Il processo di transizione è troppo lento. Questo accade perché le istituzioni haitiane sono deboli, i donatori non hanno mantenuto le loro promesse, i governi e la comunità internazionale hanno fallito nello stabilire delle priorità chiare” ha detto Joan Arnan, capo missione di Medici Senza Frontiere (Msf) ad Haiti.
Il paese fortemente segnato dal sisma, non ancora liberato dal colera e ulteriormente danneggiato dagli eventi ciclonici” documenta la Caritas Italiana nel rapporto «Haiti: un cammino condiviso».
“Per coloro che ancora piangono le vittime – aggiunge – non è di conforto la crisi di governabilità: solo il 5% delle macerie sgomberate e meno del 10% dei fondi della comunità internazionale (1,1 miliardi di dollari promessi) effettivamente versati, né la concorrenza agguerrita delle multinazionali canadesi, americane e francesi per il business della ricostruzione”.
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