mercoledì, gennaio 23, 2013
Sono in 20 mila, forse ancor di più, a chiedere di poter votare alle prossime politiche. 

Radio Vaticana - Sono i "barboni" italiani che, per il fatto di essere senza fissa dimora e senza documenti validi, sono esclusi dalle liste elettorali. Un appello alla politica perché “esca dai Palazzi e scenda in strada a guardare la realtà” è stato lanciato da Wainer Molteni, fondatore dei primo sindacato dei senza fissa dimora “Clochard alla riscossa”, e lui stesso per diversi anni barbone per le vie di Milano. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato: ascolta

R. – Quando perdi la residenza, quindi vieni sfrattato, perdi ogni tipo di diritto, perché la residenza viene congelata nonostante, secondo la Costituzione, i sentatetto non dovrebbero esistere. Invece, i senzatetto ci sono e si vedono negati tutti i diritti fondamentali della Costituzione, a partire da quello alla salute, a quello anche solo di entrare nelle liste per l’assistenza sociale nazionale, al diritto di voto. Quindi, il vero “nessuno” è il senzatetto.

D. – Per quanto riguarda il voto, questa da parte vostra vuole essere una provocazione?

R. – Se la Costituzione italiana mi dà diritto ad avere una residenza, ad avere un lavoro, ad avere una casa, ad esprimere il mio diritto al voto, non vedo perché un Stato, che dovrebbe essere garante della Costituzione, mi vieta - soltanto perché io sto affrontando un momento di difficoltà - tutti questi diritti. È un paradosso, non dovrebbe essere così. Io chiedo il rispetto della Costituzione italiana.

D. – Il profilo dei senzatetto, delle persone in seria difficoltà, come sta cambiando?

R. – E’ cambiato soprattutto negli ultimi anni. Togliamo lo stereotipo del vecchio “avvinazzato” sulla panchina, che aspetta il passaggio del cittadino che allunga qualche euro. Il clochard d’oggi non è una scelta di libertà, ma è una condizione, uno status sociale, in cui sempre più persone si vanno a ritrovare. La figura del clochard è cambiata: dal vagabondo con lo zaino sulle spalle e la chitarra, si è passati all’anziano che non ce la fa neanche ad arrivare non dico alla quarta settimana, ma alla seconda. Oppure, c’è il padre separato, che deve versare il 90% di alimenti dal proprio stipendio e – nonostante faccia due lavori – continua a dormire in macchina o in rifugi di fortuna, della Caritas o altri di enti. Questi sono i nuovi poveri: persone acculturate, che hanno bisogno di un appiglio con cui potersi tirar fuori da soli. Questi sono i nuovi poveri.

D. – Ci sono associazioni che da sempre si battono perché queste persone godano dei diritti a tutto tondo. In questa battaglia per il voto – che però è semplicemente un grimaldello per l’accesso a tutto il resto – siete sostenuti?

R. – Siamo sostenuti da tanta brava gente, indipendentemente dall’associazione a cui fanno riferimento, o dal partito politico da cui provengono. Noi cerchiamo di far capire che un nuovo modo di fare sociale è l’autodeterminazione: non più il classico assistenzialismo basato su un piatto di pasta, o una carezza e un sorriso. Il cittadino in difficoltà chiede un appiglio e questo deve essere garantito dalle istituzioni.

D. – Negli altri Paesi europei, ad esempio in caso di elezioni, cosa accade?

R. – Accade che il cittadino senza dimora può votare, ha diritto a votare. Io faccio riferimento alla Francia, ma sono molti altri i Paesi europei – praticamente tutti – a garantire questo diritto. In Francia, esiste una via che sulla toponomastica non esiste – e questo succede anche in alcuni comuni in Italia, faccio prima di tutto riferimento a Bologna – che garantisce il diritto ad “esistere”, perché fornisce una residenza, perché garantisce un diritto fondamentale, ovvero quello all’esistenza.


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