Il presidente dell'Ilva: senza il dissequestro dei materiali inevitabile la chiusura degli stabilimenti
La chiusura degli stabilimenti è uno “scenario inevitabile” senza il dissequestro dei prodotti bloccati, su ordine del Gip, dallo scorso 26 novembre. E’ quanto ha detto il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante, incontrando oggi a Roma i rappresentanti dei sindacati metalmeccanici. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Radio Vaticana - Nell’incontro di oggi, in attesa della pronuncia del Gip sul dissequestro dei materiali e del Consiglio dei ministri di domani, si è ribadito che il nodo da sciogliere è la questione del sequestro di un milione e 700 mila tonnellate di prodotto finito, per un valore di oltre un miliardo di euro. Il giornalista della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’, Fulvio Colucci, autore del libro “Invisibili. Vivere e morire all'Ilva di Taranto”:
“L’Ilva insiste su un punto: senza il dissequestro di certi prodotti e la loro commercializzazione, sono a rischio gli stipendi di febbraio ma è soprattutto a rischio la tenuta economica e occupazionale del gruppo. Ed è possibile ipotizzare la chiusura degli stabilimenti di Taranto, Novi e Cornigliano. Poi, è chiaro che l’incontro ha portato altri elementi di riflessione tra l’azienda e i sindacati: quelli della possibilità che l’Ilva, una specie di piano B, possa poi riprendere l’attività con un notevole ridimensionamento degli impianti a Taranto. Questo però porterebbe alla messa in cassa integrazione per un numero compreso tra le seimila e le ottomila unità. Il peso maggiore ricadrebbe ovviamente sullo stabilimento di Taranto”.
Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha dichiarato intanto che l’Ilva non deve invocare semplicemente il dissequestro dei prodotti finiti, ma deve chiedere invece che le merci siano vendute. Ancora Fulvio Colucci:
“Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha detto che una strada da percorrere poteva essere quella di una vendita controllata dei prodotti finiti e di un dirottamento delle risorse ricavate verso i lavori di ambientalizzazione, quelli previsti dall’autorizzazione integrata ambientale che è diventata legge a gennaio. L’Ilva ha mostrato un’apertura in questo senso e questo è il vero segnale di speranza. Certo è una situazione non facile perché Taranto ha ancora in piedi questo grande dilemma: la scelta tra salute e lavoro. Ed è una scelta da fare ancora in una situazione emergenziale, con l’inchiesta della magistratura per disastro ambientale e la dura risposta dell’azienda. Gli operai e la città si trovano in una situazione davvero difficile dal punto di vista sociale e la classe politica e i sindacati cercano soluzioni. Soluzioni difficili da trovare in questo clima di scontro”.
I sindacati al termine dell’incontro con i vertici dell’azienda hanno dichiarato che dall’Ilva non sono giunte risposte sufficienti. C'è bisogno di un intervento pubblico, ha detto Landini, segretario generale della Fiom. Il governo intervenga – ha aggiunto Palombella, segretario generale della Uilm – per supportare il processo di risanamento.
Radio Vaticana - Nell’incontro di oggi, in attesa della pronuncia del Gip sul dissequestro dei materiali e del Consiglio dei ministri di domani, si è ribadito che il nodo da sciogliere è la questione del sequestro di un milione e 700 mila tonnellate di prodotto finito, per un valore di oltre un miliardo di euro. Il giornalista della ‘Gazzetta del Mezzogiorno’, Fulvio Colucci, autore del libro “Invisibili. Vivere e morire all'Ilva di Taranto”:
“L’Ilva insiste su un punto: senza il dissequestro di certi prodotti e la loro commercializzazione, sono a rischio gli stipendi di febbraio ma è soprattutto a rischio la tenuta economica e occupazionale del gruppo. Ed è possibile ipotizzare la chiusura degli stabilimenti di Taranto, Novi e Cornigliano. Poi, è chiaro che l’incontro ha portato altri elementi di riflessione tra l’azienda e i sindacati: quelli della possibilità che l’Ilva, una specie di piano B, possa poi riprendere l’attività con un notevole ridimensionamento degli impianti a Taranto. Questo però porterebbe alla messa in cassa integrazione per un numero compreso tra le seimila e le ottomila unità. Il peso maggiore ricadrebbe ovviamente sullo stabilimento di Taranto”.
“Il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha detto che una strada da percorrere poteva essere quella di una vendita controllata dei prodotti finiti e di un dirottamento delle risorse ricavate verso i lavori di ambientalizzazione, quelli previsti dall’autorizzazione integrata ambientale che è diventata legge a gennaio. L’Ilva ha mostrato un’apertura in questo senso e questo è il vero segnale di speranza. Certo è una situazione non facile perché Taranto ha ancora in piedi questo grande dilemma: la scelta tra salute e lavoro. Ed è una scelta da fare ancora in una situazione emergenziale, con l’inchiesta della magistratura per disastro ambientale e la dura risposta dell’azienda. Gli operai e la città si trovano in una situazione davvero difficile dal punto di vista sociale e la classe politica e i sindacati cercano soluzioni. Soluzioni difficili da trovare in questo clima di scontro”.
I sindacati al termine dell’incontro con i vertici dell’azienda hanno dichiarato che dall’Ilva non sono giunte risposte sufficienti. C'è bisogno di un intervento pubblico, ha detto Landini, segretario generale della Fiom. Il governo intervenga – ha aggiunto Palombella, segretario generale della Uilm – per supportare il processo di risanamento.
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