martedì, gennaio 29, 2013
La notizia della ripresa dell’attività al tubificio Erw, nell’area a freddo dell’acciaieria Ilva di Taranto è una nota positiva per i sindacati. Meno di un centinaio di lavoratori riprenderanno il lavoro, una goccia nel grande mare della cassa integrazione, che potrebbe interessare 7-8 mila persone, fra Taranto, Genova e Novi Ligure.

Youreporternews - E tutti i nodi restano. E’ grande l’attesa per la decisioni della Consulta, dai magistrati interpellata per pronunciarsi sulla legittimità della legge 231, “salva Ilva”, voluta dal governo Monti per non fermare l’acciaieria. Con l’impegno a realizzare le bonifiche e le ristrutturazioni necessarie, per riportare i valori dell’inquinamento in linea con parametri accettabili per la salute delle persone e l’ambiente circostante. Ma il governo, secondo il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, non ha un’alternativa al decreto “salva Ilva”. Se la consulta dovesse pronunciarsi negativamente in merito, seguendo la linea dei giudici e guardando ai dati sull’inquinamento, sempre gli stessi da anni, l’Ilva potrebbe non avere un futuro davanti.

La copertura dei parchi minerali è rimasta lettera morta. Che da quell’area provengano i fattori inquinanti più pericolosi per la salute dell’uomo è un dato di fatto per gli esperti. Eppure a distanza di 10 anni, una delle più urgenti bonifiche per scongiurare il pericolo di malattie cancerogene specie per gli abitanti del vicino Rione Tamburi, non è stata indicata nell’Aia. Grazie alla connivenza fra l’azienda e i poteri corrotti, disponibili ad “addolcire” i risultati dei controlli e bypassare interventi importanti. La “regola” del profitto prima di tutto, fa ritenere ai magistrati che ora sia troppo tardi per aggiustare il tiro.

E che qualsiasi impegno dell’azienda a rivedere radicalmente il modo di produrre acciaio a Taranto, potrebbe non essere più una garanzia sufficiente.

“La chiusura dell’altoforno e della cokeria è una questione urgente. Sul piano dei danni ambientali, dell’inquinamento e della salute dei cittadini siamo già in ritardo”, sono le parole del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini.

Non è vero, aveva spiegato il ministro, che non ci sono alternative al piano “salva Ilva” del governo, ma per attuarle bisognerebbe come minimo tagliare le spese militari, “ritirare il contingente dall’Afghanistan” e spostare le risorse.

E sul piano delle tecnologie e delle emissioni inquinanti, anche se i rapporti presentati dal gruppo dirigente Ilva hanno sempre detto il contrario, secondo gli esperti non è cambiato nulla. I valori dell’inquinamento restano al di sopra di quelli consentiti.

Una cokeria non è in grado di abbassare la concentrazione di benzo(a)pirene (inquinante cancerogeno e genotossico) nel raggio di 1700 metri, come ha documentato PeaceLink nelle proprie osservazioni presentate per l’Aia. Un valore che equivale per un bambino a inalare il fumo di 700 sigarette all’anno.

L’Arpa negli ultimi mesi ha rilevato una riduzione di polveri e benzo(a)pirene, ma questo è stato possibile in condizioni di stretta sorveglianza, da parte dei custodi giudiziari.

La magistratura non farà un passo indietro, rispetto a quanto già stabilito sul dissequestro di lamiere e coils, rimasti immobili nei piazzali dell’acciaieria. Perché equivarrebbe a smentire l’allarme finora lanciato, sui pericoli di una continuazione della produzione in queste condizioni.

Gli interventi da realizzare richiedono processi lunghi e costosi. Come cambiare le tecnologie e spostare l’area a caldo.

Ma che se messi in atto potrebbero ridurre le emissioni, fino a portarle a livelli bassissimi, risparmiando agli abitanti del quartiere Tamburi l’invasione di sostanze tossiche cui ogni giorno sono sottoposti, con conseguenze disastrose per la salute.


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