domenica, gennaio 27, 2013
L’Africa si sta “messicanizzando”! Così, poco più di due anni fa, titolava El Universal - il quotidiano messicano di maggiore diffusione - riferendosi ai carichi di cocaina che stavano interessando, ormai da un po’ di tempo, alcuni paesi africani.

Liberainformazione - I trafficanti di cocaina, è noto, modificano di continuo le rotte quando gli “affari” non vanno nel verso giusto perché, per esempio, sono aumentati i controlli di polizia in alcuni paesi e sono andati “perduti” ingenti quantitativi di droga. Grosso modo il 40% della produzione mondiale di cocaina va verso il mercato americano, un altro 40% verso l’Europa ed il restante 20% in Africa ( il volume dei sequestri di cocaina in Africa occidentale è passato dai 98 kg del 2002 alle 4,6 tonnellate del 2005, alle 2,3 tonnellate del 2008, alle 4 ton del 2011). L’Africa è diventata una sorta di grande magazzino per la successiva distribuzione, con le mafie italiane che hanno assunto posizioni rilevanti e consolidato basi logistiche strategiche. Diversi episodi degli ultimi anni, confermano questa ipotesi. Nell’ottobre 2009 a Conakry, capitale della Guinea, furono individuati sette laboratori destinati alla produzione di amfetamine e alla raffinazione della pasta base di cocaina per il crack. Due mesi dopo, nel deserto del Mali, esattamente a Tarkint, vengono trovati i resti di un Boeing 727 che aveva trasportato cocaina, diverse tonnellate, dal Venezuela, dopo aver fatto scalo in Guinea Bissau. L’atterraggio era avvenuto su una pista di fortuna in una zona sotto il rigido controllo dell’Akmi, formazione islamica di Al Quaeda nel Maghreb. In nome dei dollari gli uomini dell’Akmi assicurano protezione e scorta lungo il deserto durante la traversata del Sahel.

Ai primi di giugno del 2010, nel porto di Callao, in Perù, la polizia sequestra una tonnellata di cocaina in un container in fase di caricamento su una nave con destinazione finale Sudafrica. Negli stessi giorni, in Liberia, agenti della DEA portano a compimento una operazione antidroga con l’arresto di alcuni colombiani, nigeriani ed un russo che importavano 4 tonnellate di polvere bianca in partenza da Panama e Venezuela. Nell’indagine il ruolo importante avuto dal figlio del presidente della Liberia, Ellen Johnson Dirleaf, inserito nelle fila della organizzazione criminale come agente undercover per conto della DEA. E tuttavia, se diamo uno sguardo anche agli anni passati, ci si rende conto che la “pista africana” dei narcos ha già qualche …capello bianco. Nel giugno del 2001, in occasione della riunione a Botswana dei capi dei servizi antidroga dei paesi africani, era già emersa la gravità della situazione del transito (e stoccaggio) di droghe in Africa. La situazione era destinata ad aggravarsi negli anni seguenti perché, in quei paesi, è quasi impossibile attuare una qualche credibile azione di contrasto al traffico di droga, sia per la mancanza di mezzi ( sul piano finanziario e delle competenze), sia per la ben nota capacità delle organizzazioni criminali di condizionare governi, polizia, magistratura. Così nel 2006, in Ghana, a Piranpan , vennero sequestrati 1900 kg. di cocaina. Nel 2007, in Senegal, la Gendarmeria ne intercettò altri 2454 kg. e, in distinte attività di contrasto al narcotraffico, vengono sequestrati, in Guinea Bissau, 1300 kg di cocaina; in Venezuela, due tonnellate e mezzo in partenza per la Sierra Leone; 830 kg vengono intercettate al largo del Golfo di Guinea dalla polizia francese su una nave battente bandiera colombiana;a Milano, 250 kg provenienti dal Brasile via Dakar (Senegal) ed altri sequestri su voli charter provenienti da Capo Verde.

Nel luglio 2008, in Sierra Leone, la polizia sequestrava un Cessna con le insegne della Croce Rossa, utilizzato per un carico di cocaina e, nello stesso periodo, in Guinea Bissau, veniva bloccato un Gulfstream “affittato” dai narcos del cartello messicano del Sinaloa e pilotato dall’abile Carmelo Vasquez Guerra, protagonista di numerosi voli con aerei pieni di droga.

Ed ancora, agli inizi del 2009, a largo delle Azzorre, l’operazione della polizia spagnola e della squadra mobile di Genova, con il megasequestro di 5 tonnellate e mezzo di cocaina a bordo di un peschereccio colombiano proveniente dalle coste africane. Stando alle dichiarazioni -dicembre 2009- di Antonio Maria Costa, ex direttore esecutivo dell’UNODC, il traffico di cocaina verso il “continente nero” si aggirava già allora sulle 50-60 tonnellate l’anno.

Dalla Colombia, da almeno un paio di anni, la polizia antinarcotici, sosteneva che su tre kg di cocaina prodotta, uno aveva come destinazione la “rotta africana”, con particolare riferimento al Senegal, al Togo, a Capo Verde, alla Nigeria, a Guinea Bissau. La situazione odierna non è sostanzialmente mutata anche se altri paesi africani, quelli maggiormente inseriti nelle tratte aeree e marittime, sono entrati a far parte dell’eldorado dei narcos. Dall’America Latina sono diverse le navi porta container dirette nei principali porti commerciali africani; Dakar, Abidjan (Costa d’Avorio), Lomè (Togo), Cotonou (Benin), Tema e Takoradi (Ghana), Mauritania, Guinea, Liberia.

Gli allarmi sul problema della droga in Africa risalgono, in realtà, a molti anni fa e più volte sono stati diffusi (e poco ascoltati) nelle riunioni che si sono succedute nel tempo dei capi dei servizi antidroga nazionali (HONLEA Africa). I 300 chilogrammi di eroina provenienti dalla Tailandia e sequestrati in Nigeria nel lontano 1993, avrebbero dovuto far capire il cambiamento di ruolo che stava assumendo l’Africa (occidentale) nella distribuzione delle droghe. Da quegli anni in avanti si assiste ad una graduale e inarrestabile trasformazione di tanti piccoli contrabbandieri africani ( in prevalenza nigeriani), da semplici trasportatori per conto terzi a componenti organizzazioni criminali sempre più strutturate e ramificate a livello internazionale per i necessari contatti con i narcotrafficanti degli altri paesi. Otto anni dopo l’ingente sequestro di eroina, nel rapporto dell’ International Narcotics Control Board-2001, si parla di organizzazioni dell’Africa occidentale che “ grazie alla loro esperienza nel campo del traffico (in primis) di hashish (….) cercano nuovi contatti in America Latina per estendere il traffico di cocaina a tutta la regione dell’Africa sub-sahariana”. Pare che gli “affari”, oggi, vadano bene a giudicare dalle rotte, aeree e marittime,ormai “consolidate” che sono emerse dalle indagini di polizia e che interessano il mercato europeo e italiano: collegamenti aerei da Ghana (Accra) a Milano, dal Senegal (Dakar) e da Capo Verde a Milano Malpensa, Roma Fiumicino e Bergamo; container trasportati dalle navi della MSC, della Jolly Messina, Grimaldi Lines e Maerk Line, provenienti dal Sud America, in transito dal Togo, Costa d’Avorio, Gambia, Senegal, Nigeria, Ghana, diretti nei porti del nord Europa e in quelli italiani.

Le mafie italiane hanno aperto veri “uffici di rappresentanza” nel “continente nero”. Il livello di straordinaria e preoccupante diffusione in tale area geografica ci viene segnalato dai rapporti dell’intelligence americana, inglese, olandese, francese e italiana. Abbiamo, dunque, “agenzie” mafiose a Bissau (Guinea) con la presenza di Cosa Nostra con la famiglia dei Cuntrera Caruana; a Casablanca (Marocco), la camorra è presente con i clan di Marano, dei Casalesi e di Torre di Mondragone, mentre Cosa nostra gestisce basi con le famiglie di Porta Nuova, Brancaccio e della Noce e la ‘ndrangheta svolge intensa “attività” con le cosche Barbaro di Platì, Arena di Isola Capo Rizzuto, Di Giovine di Reggio Calabria, Sergi di Platì e Morabito di Africo. Le stesse famiglie ‘ndranghetiste le troviamo a Dakar (Senegal) e a Lomè (Togo), a cui si sono aggiunte quelle dei Mancuso di Limbaldi (Vivo Valentia) e Pesce di Rosarno (RC). Nelle città di Ensuru e Windohek (Namibia) e di Johannesburg e Città del Capo (Sud Africa), fanno affari, rispettivamente, esponenti delle famiglie mafiose di Partinico, Terrasini, Cinisi, San Lorenzo (Palermo) e di Vito Roberto Palazzolo,che ha vissuto per anni da latitante dopo la sua cattura, nell’estate 2012, in Tailandia e delle famiglie camorriste di Sarno, Di Lauro e Licciardi dell’Alleanza di Secondigliano. Ad Abidjan (Costa d’Avorio), Cosa nostra è presente con la famiglia Madonia di San Lorenzo mentre le altre due mafie sono presenti anche con il clan di Napoli ( presente anche a Lagos e Port Harcourt, in Nigeria) e i soliti Di Giovine e Morabito. Nel Ghana, ad Accra, oltre alla camorra si trovano esponenti delle ‘ndrine Pelle-Vottari di San Luca (RC) e dei Coco-Trovato. In Egitto e Tunisia stesse presenze cui si aggiunge (ad Alessandria) la famiglia Emanuello di Gela (Cl) specializzata nel traffico di esseri umani. Legittimo,dunque, parlare di una “colonizzazione” mafiosa italiana anche in Africa.

Nei trasferimenti di cocaina verso l’Africa non sono mancate, infine, “avventurose” trasvolate con piccoli aerei da turismo (Gulf Stream) decollati dal Venezuela, dal Brasile, dalla Colombia o dal Perù, e atterrati direttamente in zone “controllate” e “sicure” della Liberia, della Guinea Bissau, del Ghana e Gambia. Il sequestro in quest’ultimo paese, nel mese di giugno del 2010, di 2100 kg. di cocaina nascosta in un tunnel ricavato in un’azienda per la conservazione del pesce, conferma il ruolo di crocevia strategico assunto da alcuni paesi africani. Paesi che, secondo le valutazioni delle agenzie di sicurezza americane, stanno diventando veri narcoStati. L’inclusione, da parte americana, sin dal giugno del 2011, di due kenioti (John Harun Mwau e Naima Mohamed Nyakiniywa, alias “Mama Lela”), nella lista di “proscrizione” di sette narcotrafficanti a livello internazionale, costituisce un ulteriore segnale della rilevanza che hanno assunto i narcos africani nel panorama mondiale dei traffici illeciti di droghe.

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