In Mali, le truppe francesi sono ferme a Kidal, terza città del Paese, a causa di una tempesta di sabbia. Parigi ha chiesto al governo di transizione di lavorare per il dialogo e per nuove elezioni mentre l’Onu sta pensando ad una forza di pace da inviare nel Paese. Benedetta Capelli: ascolta
Radio Vaticana - Dialogo con le popolazioni del nord del Paese, inclusi “i gruppi armati non terroristi – così li ha chiamati Parigi - che però riconoscono l’integrità del Mali”, e un rapido processo elettorale, forse prima del 31 luglio, data indicata dal presidente ad interim Traorè. Sono le due richieste venute ieri dalla Francia, le cui truppe sono ferme a Kida.Proprio a Kidal, i gruppi armati presenti non sarebbero legati ai jihadisti di Al Qaeda; il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla) e del Movimento islamico dell’Azawad (Mia) comunque si sono detti ostili ai soldati maliani, considerati responsabili di crimini contro arabi e tuareg. Bamako, già per il fatto di ricorrere alle armi, li considera comunque dei terroristi. Una situazione dunque unica rispetto alle altre città conquistate nel nord – Gao e Timbuctu - dove, appena arrivati i francesi, i jihadisti si sono dati alla fuga mettendo in allerta Algeria e Mauritania che rischiano di ritrovarsi in casa consistenti gruppi di terroristi. Mentre procede in modo spedito l’intervento francese, lo scenario per il futuro resta complesso e per questo l’Onu sta lavorando per creare una forza di pace da inviare in Mali. Nel Paese giungerà anche una missione dell’Unesco per salvaguardare lo straordinario patrimonio culturale maliano; salvi i manoscritti di Timbuctu, solo un 10% ha subito danni dopo il rogo appiccato dai jihadisti ad un enorme archivio.
Cresce poi la preoccupazione per la critica situazione umanitaria in Mali, Roberta Gisotti ha intervistato Federica Biondi, coordinatrice di Intersos, che si trova nella capitale Bamako: ascolta
R. – Noi di Intersos siamo presenti in Mali, nella regione di Mopti, che è la regione-tampone tra il Nord e il Sud, che accoglieva già all’inizio della crisi, nel Nord del Mali, nel gennaio 2012, più di 40 mila persone sfollate. Al momento, si registrano dei movimenti della popolazione di diversa natura. Da un lato, ci sono famiglie che si spostano di nuovo dalle zone dei combattimenti di guerra verso le zone sicure. Dall’altro, questo movimento di riconquista del Nord da parte dell’Esercito maliano e dell’esercito francese fa sì che le persone seguano gli eserciti per ritornare sin da subito, in maniera spontanea, nei loro Paesi di origine.
D. – L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ieri in un comunicato indicava 350 mila rifugiati, fuggiti dal Nord del Mali...
R. – Dal Nord del Mali c’è stato, sin dall’inizio della crisi, un afflusso continuo verso i Paesi limitrofi: in Mauritania, in Burkina Faso e in Niger. Noi, come Intersos, siamo presenti in Mauritania, nel campo di M'berra, dove i rifugiati al momento sono 65.210. Il numero sta crescendo vertiginosamente e ha superato il livello dei mille arrivi al giorno.
D. – Ancora peggiore è la situazione dei rifugiati all’interno del Paese, che forse mancano anche dei servizi primari?
R. – Sicuramente. La situazione degli sfollati interni al Mali è particolarmente preoccupante. Per prima cosa, al Nord non c’è accesso umanitario e quindi la prima questione da affrontare è quella di avere accesso ai luoghi dove assistere le persone rimaste in quell'area, probabilmente quelle più povere, che non potevano nemmeno pagarsi il trasporto per andare al Sud o nei Paesi limitrofi e, poi, assistere le persone sfollate. Oggi, l’equipe di Intersos, a Mopti, sta facendo una distribuzione di beni di prima necessità per le nuove famiglie, arrivate a seguito di questa crisi, determinata dall’intervento degli Esercito francese e maliano.
D. – Si parla già di organizzare il possibile ritorno di alcune di queste migliaia di sfollati...
R. – Assistiamo a un ritorno spontaneo. La comunità internazionale si sta interrogando su quale sia l’accompagnamento più corretto e consono da fare rispetto a questi ritorni: per il diritto internazionale deve essere volontario, e soprattutto deve essere garantita la sicurezza minima, per non trovarsi di fronte a movimenti di andata e ritorno, cioè di ritorno verso le zone di origine e poi di ulteriore sfollamento.
D. – Siamo quindi di fronte ad una situazione ancora molto fluida...
R. – Siamo di fronte ad una situazione molto fluida, alla quale stiamo cercando di dare risposta e per la quale abbiamo bisogno di avere i mezzi per rispondere. E’ una coincidenza particolare che ieri ci fosse sia la richiesta di fondi per finanziarie la campagna militare ad Addis Abeba e, nello stesso tempo, a Bamako il lancio della richiesta di fondi per gli aiuti umanitari. I fondi allocati allo sforzo bellico sono stati intensi: si parla di 445 milioni di dollari, già raccolti. Per quelli umanitari, invece, hanno chiesto 370 milioni di dollari per far fronte alla crisi del Mali nel 2013. Questa richiesta al momento è stata finanziata solo all’1%. Quindi, i bisogni ci sono e sono estremamente importanti. Bisogna poter mobilitare le risorse, per poter dare una risposta.
Radio Vaticana - Dialogo con le popolazioni del nord del Paese, inclusi “i gruppi armati non terroristi – così li ha chiamati Parigi - che però riconoscono l’integrità del Mali”, e un rapido processo elettorale, forse prima del 31 luglio, data indicata dal presidente ad interim Traorè. Sono le due richieste venute ieri dalla Francia, le cui truppe sono ferme a Kida.Proprio a Kidal, i gruppi armati presenti non sarebbero legati ai jihadisti di Al Qaeda; il Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad (Mnla) e del Movimento islamico dell’Azawad (Mia) comunque si sono detti ostili ai soldati maliani, considerati responsabili di crimini contro arabi e tuareg. Bamako, già per il fatto di ricorrere alle armi, li considera comunque dei terroristi. Una situazione dunque unica rispetto alle altre città conquistate nel nord – Gao e Timbuctu - dove, appena arrivati i francesi, i jihadisti si sono dati alla fuga mettendo in allerta Algeria e Mauritania che rischiano di ritrovarsi in casa consistenti gruppi di terroristi. Mentre procede in modo spedito l’intervento francese, lo scenario per il futuro resta complesso e per questo l’Onu sta lavorando per creare una forza di pace da inviare in Mali. Nel Paese giungerà anche una missione dell’Unesco per salvaguardare lo straordinario patrimonio culturale maliano; salvi i manoscritti di Timbuctu, solo un 10% ha subito danni dopo il rogo appiccato dai jihadisti ad un enorme archivio.
Cresce poi la preoccupazione per la critica situazione umanitaria in Mali, Roberta Gisotti ha intervistato Federica Biondi, coordinatrice di Intersos, che si trova nella capitale Bamako: ascolta
R. – Noi di Intersos siamo presenti in Mali, nella regione di Mopti, che è la regione-tampone tra il Nord e il Sud, che accoglieva già all’inizio della crisi, nel Nord del Mali, nel gennaio 2012, più di 40 mila persone sfollate. Al momento, si registrano dei movimenti della popolazione di diversa natura. Da un lato, ci sono famiglie che si spostano di nuovo dalle zone dei combattimenti di guerra verso le zone sicure. Dall’altro, questo movimento di riconquista del Nord da parte dell’Esercito maliano e dell’esercito francese fa sì che le persone seguano gli eserciti per ritornare sin da subito, in maniera spontanea, nei loro Paesi di origine.
D. – L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite ieri in un comunicato indicava 350 mila rifugiati, fuggiti dal Nord del Mali...
R. – Dal Nord del Mali c’è stato, sin dall’inizio della crisi, un afflusso continuo verso i Paesi limitrofi: in Mauritania, in Burkina Faso e in Niger. Noi, come Intersos, siamo presenti in Mauritania, nel campo di M'berra, dove i rifugiati al momento sono 65.210. Il numero sta crescendo vertiginosamente e ha superato il livello dei mille arrivi al giorno.
D. – Ancora peggiore è la situazione dei rifugiati all’interno del Paese, che forse mancano anche dei servizi primari?
R. – Sicuramente. La situazione degli sfollati interni al Mali è particolarmente preoccupante. Per prima cosa, al Nord non c’è accesso umanitario e quindi la prima questione da affrontare è quella di avere accesso ai luoghi dove assistere le persone rimaste in quell'area, probabilmente quelle più povere, che non potevano nemmeno pagarsi il trasporto per andare al Sud o nei Paesi limitrofi e, poi, assistere le persone sfollate. Oggi, l’equipe di Intersos, a Mopti, sta facendo una distribuzione di beni di prima necessità per le nuove famiglie, arrivate a seguito di questa crisi, determinata dall’intervento degli Esercito francese e maliano.
D. – Si parla già di organizzare il possibile ritorno di alcune di queste migliaia di sfollati...
R. – Assistiamo a un ritorno spontaneo. La comunità internazionale si sta interrogando su quale sia l’accompagnamento più corretto e consono da fare rispetto a questi ritorni: per il diritto internazionale deve essere volontario, e soprattutto deve essere garantita la sicurezza minima, per non trovarsi di fronte a movimenti di andata e ritorno, cioè di ritorno verso le zone di origine e poi di ulteriore sfollamento.
D. – Siamo quindi di fronte ad una situazione ancora molto fluida...
R. – Siamo di fronte ad una situazione molto fluida, alla quale stiamo cercando di dare risposta e per la quale abbiamo bisogno di avere i mezzi per rispondere. E’ una coincidenza particolare che ieri ci fosse sia la richiesta di fondi per finanziarie la campagna militare ad Addis Abeba e, nello stesso tempo, a Bamako il lancio della richiesta di fondi per gli aiuti umanitari. I fondi allocati allo sforzo bellico sono stati intensi: si parla di 445 milioni di dollari, già raccolti. Per quelli umanitari, invece, hanno chiesto 370 milioni di dollari per far fronte alla crisi del Mali nel 2013. Questa richiesta al momento è stata finanziata solo all’1%. Quindi, i bisogni ci sono e sono estremamente importanti. Bisogna poter mobilitare le risorse, per poter dare una risposta.
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