Il cronista ucciso 34 anni fa dai boss di Cosa nostra a Palermo
Liberainformazione - Era un cronista di razza, Mario Francese. Uno che non si fermava davanti alle carte giudiziarie per scrivere un articolo. Parlava con la gente, cercava di capire e ascoltare "la pancia" della città per raccontarla. In quegli anni Francese scriveva di una mafia che stava diventando imprenditrice e che non era più soltanto a Palermo. Per questo il 26 gennaio del 1979 i capi di Cosa nostra, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano, decisero la sua morte. Nella sentenza d’appello i giudici scrissero che: «Il movente dell' omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70». 34 anni dopo, la morte di Francese è una ferita aperta per la categoria, per la città, per la storia della lotta alle mafie. "Il ricordo di Mario Francese è sempre vivo e lo resterà per sempre. E non soltanto nel cuore dei palermitani ma di tutti gli italiani - ha detto Leone Zingales, presidente dell'Unci Sicilia - era un cronista di razza che svolgeva il suo lavoro con passione, con la 'schiena dritta'". Anche il presidente nazionale dell'Unci, Guido Columba, ha ricordato Mario Francese, "giornalista attento, scrupoloso, coraggioso La sua figura sia da esempio per i giovani cronisti e le giovani generazioni in generale". Ma la storia dei giornalisti uccisi dalle mafie in Sicilia come nel resto del Paese e del mondo deve spingerci oltre il ricordo e farci “esercitare” la memoria.
L’imbarazzo e il silenzio. Una sorta di “rimozione” collettiva dentro la categoria aveva separato la memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie, per alcuni decenni, dalla quotidianità di questo lavoro: eppure sono stati il prezzo più alto pagato in nome di questo mestiere. Poi il silenzio misto all'imbarazzo è stato violato e con l’impegno di tanti, negli anni (dall’Unione cronisti, al sindacato, all’Odg) è nata anche una giornata nazionale che li ricorda, ci sono percorsi condivisi e un rinnovato impegno contro le mafie. E la nascita dell’Osservatorio Ossigeno per l’informazione, che saputo collegare la memoria dei giornalisti uccisi e l’impegno per tutti quelli vivi. Negli ultimi sei anni – dai dati ufficiali dell’Osservatorio diretto da Alberto Spampinato – sono stati minacciati in Italia 1200 giornalisti. Trecento solo nell'ultimo anno. E’ una minaccia continua, latente, condotta dai boss e dai loro fiancheggiatori non soltanto con minacce fisiche e avvertimenti concreti ma anche attraverso querele temerarie che chiedono risarcimenti milionari per mettere a tacere giornalisti precari con il vizio della notizia e del racconto.
Come ricordare, 34 anni dopo, Mario Francese e i tutti i cronisti uccisi mentre svolgevano il loro lavoro in terra di mafia? Facendo onestamente il proprio lavoro, con rigore e serietà, ma soprattutto rimanendo saldamente al fianco dei giornalisti vivi. Quelli che oggi spesso senza sceglierlo si trovano a fare una informazione che dà fastidio ai boss. Raccontano di una vetrina rotta nel centro storico della città nel sud del Paese come di una impresa che investe nel settore dell’edilizia e dei rifiuti attraverso un prestanome nulla tenente e rischiano di trovarsi l’auto in fiamme, i proiettili in redazione, le minacce contro i propri familiari. La mafia del nuovo millennio non ha più la coppola e la lupara (non solo) la trovi in Borsa a Milano, in un Cafè in pieno centro a Roma, la trovi dove una volta c’erano imprenditoria e politica: oggi convivono spesso scambiandosi favori, altre volte facendo affari. Solo tre giorni fa abbiamo ascoltato un imprenditore e un boss che in Emilia Romagna meditano di far fuori un giornalista per aver scritto del loro investimento nel settore dei video giochi in quella regione. Quelle minacce costringono da un anno sotto scorta un giornalista molto giovane che si chiama Giovanni Tizian. Giovanni oggi non è solo perché questi ultimi anni di impegno dell’Osservatorio Ossigeno e di molte associazioni impegnate per una informazione libera e contro mafie e corruzione hanno scelto di non lasciare solo Giovanni e gli altri colleghi minacciati. Una nuova sensibilità si sta diffondendo nel Paese perché – come ha dichiarato il direttore di Ossigeno, Alberto Spampinato in una intervista rilasciata a Libera Informazione “Quello dei cronisti minacciati è un problema che può sembrare solo del giornalismo e solo dei giornalisti ma riguarda tutti e soprattutto i lettori. Siamo indietro in questa percezione della gravità del fenomeno. Servirebbe in Italia un movimento d’opinione simile a quello che decenni fa si mise in moto per le tematiche ambientali una coscienza collettiva di rispetto dell'ambiente e della salute”.
Francese, Impastato, Rostagno, Alfano, De Mauro, Siani sono morti anche perché non siamo stati abbastanza vivi. Oggi abbiamo la possibilità di fare la nostra parte, a partire dal sostegno concreto a chi fa giornalismo nel nostro Paese.
Liberainformazione - Era un cronista di razza, Mario Francese. Uno che non si fermava davanti alle carte giudiziarie per scrivere un articolo. Parlava con la gente, cercava di capire e ascoltare "la pancia" della città per raccontarla. In quegli anni Francese scriveva di una mafia che stava diventando imprenditrice e che non era più soltanto a Palermo. Per questo il 26 gennaio del 1979 i capi di Cosa nostra, Totò Riina, Leoluca Bagarella, Raffaele Ganci, Francesco Madonia, Michele Greco e Bernardo Provenzano, decisero la sua morte. Nella sentenza d’appello i giudici scrissero che: «Il movente dell' omicidio Francese è sicuramente ricollegabile allo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un'approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni '70». 34 anni dopo, la morte di Francese è una ferita aperta per la categoria, per la città, per la storia della lotta alle mafie. "Il ricordo di Mario Francese è sempre vivo e lo resterà per sempre. E non soltanto nel cuore dei palermitani ma di tutti gli italiani - ha detto Leone Zingales, presidente dell'Unci Sicilia - era un cronista di razza che svolgeva il suo lavoro con passione, con la 'schiena dritta'". Anche il presidente nazionale dell'Unci, Guido Columba, ha ricordato Mario Francese, "giornalista attento, scrupoloso, coraggioso La sua figura sia da esempio per i giovani cronisti e le giovani generazioni in generale". Ma la storia dei giornalisti uccisi dalle mafie in Sicilia come nel resto del Paese e del mondo deve spingerci oltre il ricordo e farci “esercitare” la memoria.
L’imbarazzo e il silenzio. Una sorta di “rimozione” collettiva dentro la categoria aveva separato la memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie, per alcuni decenni, dalla quotidianità di questo lavoro: eppure sono stati il prezzo più alto pagato in nome di questo mestiere. Poi il silenzio misto all'imbarazzo è stato violato e con l’impegno di tanti, negli anni (dall’Unione cronisti, al sindacato, all’Odg) è nata anche una giornata nazionale che li ricorda, ci sono percorsi condivisi e un rinnovato impegno contro le mafie. E la nascita dell’Osservatorio Ossigeno per l’informazione, che saputo collegare la memoria dei giornalisti uccisi e l’impegno per tutti quelli vivi. Negli ultimi sei anni – dai dati ufficiali dell’Osservatorio diretto da Alberto Spampinato – sono stati minacciati in Italia 1200 giornalisti. Trecento solo nell'ultimo anno. E’ una minaccia continua, latente, condotta dai boss e dai loro fiancheggiatori non soltanto con minacce fisiche e avvertimenti concreti ma anche attraverso querele temerarie che chiedono risarcimenti milionari per mettere a tacere giornalisti precari con il vizio della notizia e del racconto.
Come ricordare, 34 anni dopo, Mario Francese e i tutti i cronisti uccisi mentre svolgevano il loro lavoro in terra di mafia? Facendo onestamente il proprio lavoro, con rigore e serietà, ma soprattutto rimanendo saldamente al fianco dei giornalisti vivi. Quelli che oggi spesso senza sceglierlo si trovano a fare una informazione che dà fastidio ai boss. Raccontano di una vetrina rotta nel centro storico della città nel sud del Paese come di una impresa che investe nel settore dell’edilizia e dei rifiuti attraverso un prestanome nulla tenente e rischiano di trovarsi l’auto in fiamme, i proiettili in redazione, le minacce contro i propri familiari. La mafia del nuovo millennio non ha più la coppola e la lupara (non solo) la trovi in Borsa a Milano, in un Cafè in pieno centro a Roma, la trovi dove una volta c’erano imprenditoria e politica: oggi convivono spesso scambiandosi favori, altre volte facendo affari. Solo tre giorni fa abbiamo ascoltato un imprenditore e un boss che in Emilia Romagna meditano di far fuori un giornalista per aver scritto del loro investimento nel settore dei video giochi in quella regione. Quelle minacce costringono da un anno sotto scorta un giornalista molto giovane che si chiama Giovanni Tizian. Giovanni oggi non è solo perché questi ultimi anni di impegno dell’Osservatorio Ossigeno e di molte associazioni impegnate per una informazione libera e contro mafie e corruzione hanno scelto di non lasciare solo Giovanni e gli altri colleghi minacciati. Una nuova sensibilità si sta diffondendo nel Paese perché – come ha dichiarato il direttore di Ossigeno, Alberto Spampinato in una intervista rilasciata a Libera Informazione “Quello dei cronisti minacciati è un problema che può sembrare solo del giornalismo e solo dei giornalisti ma riguarda tutti e soprattutto i lettori. Siamo indietro in questa percezione della gravità del fenomeno. Servirebbe in Italia un movimento d’opinione simile a quello che decenni fa si mise in moto per le tematiche ambientali una coscienza collettiva di rispetto dell'ambiente e della salute”.
Francese, Impastato, Rostagno, Alfano, De Mauro, Siani sono morti anche perché non siamo stati abbastanza vivi. Oggi abbiamo la possibilità di fare la nostra parte, a partire dal sostegno concreto a chi fa giornalismo nel nostro Paese.
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