venerdì, gennaio 11, 2013
A Catania indagati dipendenti Aimeri ed enti pubblici  
 
Liberainformazione - C’è la mafia dietro il servizio di raccolta e gestione dei rifiuti nell’area ionico etnea. Nelle mani di Cosa nostra sarebbe finito un ramo della ditta milanese Aimeri Ambiente, aggiudicatrice dell’appalto per i quattordici Comuni dell’Ato 1 Joniambiente, grazie alla collaborazione e all’inerzia degli amministratori pubblici. È scattato stamattina all’alba il blitz della Direzione investigativa antimafia che ha coinvolto 250 uomini delle forze dell’ordine per l’arresto di 27 persone, tra cui sei dipendenti (ex e attuali) dell’Aimeri e due della discarica del Val Dittaino, gestita dalla Sicilia ambiente s.p.a di Enna. Mentre sono 16 gli altri indagati nei confronti dei quali si sta procedendo a perquisizioni e sequestri. Tra questi, sottolinea il procuratore capo Giovanni Salvi, anche «importanti amministratori pubblici» di alcuni Comuni della fascia ionica, in particolare Mascali e Giarre. In tutte le 14 amministrazioni dell’Ato 1 Catania gli inquirenti hanno comunque acquisito atti e documenti. L’operazione denominata Nuova Ionia ha portato alla custodia cautelare in carcere di 22 soggetti, per altri cinque sono scattati gli arresti domiciliari. Le accuse, a vario titolo, sono traffico illecito di rifiuti, associazione a delinquere semplice e di stampo mafioso, reati legati al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e alterazioni di armi da fuoco, furto, truffa aggravata e continuata. Al centro delle indagini della Dia è finita l’azienda milanese del gruppo Biancamano. L’ex direttore della Sicilia Orientale, Alfio Agrifoglio, classe 1954, è accusato di traffico illecito di rifiuti, associazione a delinquere semplice e truffa aggravata. L’inchiesta colpisce dunque i vertici locali della ditta, ma anche dipendenti. Gli stessi reati sono contestati ad Alfio Aquino (1954) e Francesco Caruso (1965), mentre Maurizio Vecchio (1973), pregiudicato e anche lui dipendente Aimeri è accusato di furto aggravato in concorso. A fare da collegamento tra la ditta e Cosa Nostra locale, secondo gli investigatori, sono Roberto Russo (1975), arrestato nel maggio scorso, e Gianluca Spinella (1973), pure lui già ai domiciliari. Entrambi sono ritenuti esponenti di spicco del clan Cintorino di Calatabiano, correlato ai Cursoti, a loro volta affiliati al clan Cappello-Bonaccorsi di Catania. Pezzi da novanta, tanto che Russo faceva parte del direttorio del clan. E tutti e due avevano un ruolo nella ditta milanese. Russo era il coordinatore del personale e responsabile tecnico operativo a Giarre, Spinella era sorvegliante dell’Aimeri a Calatabiano. Per loro le accuse sono di associazione a delinquere di stampo mafioso e semplice, truffa aggravata e continuata. Per Russo si aggiungono anche traffico illecito di rifiuti e di sostanze stupefacenti, detenzione illecita e alterazione di armi da fuoco aggravata dal metodo mafioso. Due giorni dopo l’arresto di Russo, avvenuto l’8 maggio scorso, un incendio doloso distrugge il deposito dei mezzi dell’Aimeri a Giarre di cui Russo era custode. Segue un escalation di violenze a cui i cittadini giarresi reagiscono con una fiaccolata antimafia per le strade della cittadina. «Da quel momento – spiega Salvi – si sono rotti alcuni equilibri ma non sappiamo ancora se le intimidazioni sono venute dallo stesso clan o da gruppi rivali». L’attività investigativa, durante la quale sono state effettuate intercettazioni ambientali e telefoniche, ha permesso di ipotizzare l’infiltrazione della potente cosca locale dei Cintorino nella gestione dei rifiuti dell’Aimeri, «voluta e agevolata – scrivono gli investigatori – sia dai dirigenti dell’impresa, sia da funzionari e amministratori della stessa Joniambiente». Sono state accertate gravi irregolarità nella raccolta e nel conferimento in discarica dei rifiuti, come la falsificazione dei formulari. Ad arricchire l’organizzazione criminale, inoltre, contribuiva il frequente ricorso a procedure di emergenza volute dalle amministrazioni comunali al fine di eliminare le microdiscariche, pulire le caditoie otturate o i margini delle strade. Tutte attività che, nonostante facessero parte del capitolato d’appalto dell’Aimeri, venivano assegnate a ditte riconducibili a Cosa Nostra. Tra queste, secondo gli inquirenti, c’è l’Alkantara 2001, cooperativa sociale di Calatabiano, che avrebbe svolto questi servizi facendo addirittura ricorso a mezzi e a personale della stessa Aimeri Ambiente. Tutto questo, secondo gli investigatori, accadeva nell’inerzia dei Comuni e della società d’ambito Joniambiente, le cui condotte sono ancora oggetto d’indagine. Gli inquirenti ipotizzano che gli amministratori pubblici abbiano omesso i controlli e, nei casi in cui venivano svolti, questi avvenivano con largo preavviso. Anche quando venivano accertate delle irregolarità, inoltre, le autorità competenti non avrebbero contestato gli addebiti alle ditte, ma si sarebbero rivolti a Russo, nel doppio ruolo di responsabile Aimeri e esponente dei Cintorino. In cambio, gli amministratori pubblici conniventi avrebbero segnalato amici e parenti da assumere a tempo determinato nell’Aimeri, che si sarebbe dimostrata peraltro disponibile. La ditta milanese non verrà sequestrata né confiscata, perché le indagini hanno riguardato solo un ramo dell’azienda. «Faremo ricorso a un nuovo strumento nazionale – spiega il procuratore capo Salvi – che permette, nel caso in cui le infiltrazioni non riguardino l’intera azienda, di evitare confisca e sequestro. Non impediremo l’attività lavorativa dell’Aimeri, ma la ditta verrà controllata da un amministratore giudiziario». La proprietà rimarrà dunque del gruppo Biancamano. Insieme a Russo nel maggio scorso vengono arrestati altre venti persone. Tra queste c’è Alfio Tancona (1960), che oggi torna all’attenzione degli inquirenti. Tancona e il fratello Salvatore (1966) sono ritenuti elementi di spicco del clan Cintorino e, insieme a Russo, parte del direttorio del gruppo criminale. I tre erano infatti in contatto diretto con i vertici del clan dei Cursoti, cioè Giuseppe Garozzo, detto Pippu u maritatu e il cognato di quest’ultimo Nicola Lo Faro, ucciso a Catania nel maggio del 2009. Per Salvatore Tancona, commerciante di Fiumefreddo, l’accusa è di associazione mafiosa, detenzione illecita di armi da fuoco e traffico illecito di sostanze stupefacenti. Quest’ultimo reato è l’unico al momento contestato anche al fratello più grande, Alfio Tancona. Ai loro ordini agiva un gruppo formato per lo più da giovani dedito al traffico di sostanze stupefacenti. «Nulla a che vedere con la Aimeri e i rifiuti – sottolinea Salvi – Ma si tratta di attività illecite venute fuori durante le indagini». Traffico di droga che, insieme alle estorsioni, continua a rappresentare il principale business e fonte di sostentamento per la mafia. «A queste – sottolinea Arturo De Felice, direttore nazionale della Dia presente stamani a Catania per la conferenza stampa – negli ultimi anni si sono aggiunte nuove specializzazioni come il traffico di rifiuti. Una ricchezza che Cosa nostra vuole assolutamente sfruttare».

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