Il parere di Francesco Sciuto, neuropsichiatra infantile, difensore dei diritti del bambino del comune di Siracusa, sulla proposta di legge dell'Aibi sull'adozione internazionale.
Città Nuova - L'articolo di Aurelio Molè del 14 dicembre scorso, dal titolo "Mi adotti?", mette in evidenza un problema importante nella nostra società, riguardante i bambini in difficoltà che, per situazioni diverse, devono essere allontanati dalla famiglia di origine per essere adottati da una nuova famiglia. È noto che questi bambini, con procedure legislative attualmente in parte diverse, possono essere sia di nazionalità italiana che di altre nazionalità, provenienti da Paesi europei ed extraeuropei. È certo un tema difficile da affrontare perché più diritti devono essere rispettati. È questo un tema regolamentato da leggi nazionali, a volte con orientamenti diversi secondo le diverse sensibilità e culture, ma la Convenzione Onu sui diritti dei bambini, ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991, esprime con chiarezza, agli art. 20 e 21, la centralità dell'interesse del bambino e pone alcune precise condizioni affinché l'adozione, soprattutto quella internazionale, avvenga nel rispetto dei legami, della vita e dei bisogni del bambino.
Nel suo articolo Aurelio Molè pone una serie di elementi di problematicità, collocandoli in modo consequenziale. Partendo da alcuni dati statistici allarmanti, esprime la preoccupazione, sua e degli intervistati, riguardante la diminuzione delle domande di adozione e conclude affermando che una soluzione potrebbe essere quella di togliere ai Tribunali dei minori il compito della gestione di questa materia, fino a eliminare il decreto d'idoneità che i giudici minorili devono oggi esprimere su ogni coppia che avanza domanda di adozione, per passarla ad altre strutture genericamente individuate. È bene riflettere, intanto, sul fatto che negli ultimi anni si è dovuto affrontare il problema della crescita dei fallimenti adottivi e che molti bambini, soprattutto perché già grandi o con problemi di tipo fisico o psichico non hanno trovato adeguata collocazione in una famiglia, nonostante il decreto di adottabilità dei giudici minorili.
Che sia necessario un nuovo modello culturale e legislativo che regolamenti l'istituto dell'adozione, così come una riforma della giustizia minorile nel suo complesso, più confacente ai nostri tempi, siamo tutti d'accordo. Su questo nuovo modello, però, credo sia opportuno riflettere maggiormente, per evitare un eccesso di semplificazioni, e ritengo importante un maggiore ascolto di tutte le componenti del sistema, non solo l'opinione dell'AiBi, che non mi risulta essere condivisa da molti operatori del campo.
Non si possono risolvere i tanti limiti della legge e, spesso, quelli dovuti a una sua inesatta applicazione, semplificando con degli slogan – «dalla selezione all'accompagnamento», per esempio –, anche se mi rendo conto che in un articolo ciò è a volte necessario. Ritengo sia importante poter trovare un quadro di riferimento unitario tra gli Stati, cosa certo difficile, ma possibile partendo dalla Convenzione Onu ratificata da quasi tutti gli Stati a livello mondiale (solo la Somalia e gli Stati Uniti non l'hanno ancora ratificata). Partendo dalla Convenzione, che pone la centralità del diritto del bambino, è possibile ascoltare i tanti attori del sistema adottivo e cercare di dare una risposta equilibrata, realistica e non demagogica. L'esclusione del giudice minorile pone molti più problemi di quanti in apparenza ne risolva.
Se è drammatico pensare che un bambino possa vivere senza una famiglia, e se è triste negare un bambino a una famiglia che desidera dare "amore", è molto più drammatico e triste dare a un bambino una nuova famiglia non adeguata ad amarlo, nel rispetto della sua storia, e senza condizionamenti e vincoli. Certamente l'istituto dell'adozione va posto, come dice l'on. De Torre nell'articolo, all'interno di una nuova sensibilità e di un nuovo quadro culturale che prenda in considerazione, anche a livello legislativo tutta la vita del bambino, con una nuova politica della famiglia e garantendo bisogni educativi, sociali e sanitari ad ogni bambino. Francesco Sciuto, neuropsichiatra infantile, difensore dei diritti del bambino del comune di Siracusa
Città Nuova - L'articolo di Aurelio Molè del 14 dicembre scorso, dal titolo "Mi adotti?", mette in evidenza un problema importante nella nostra società, riguardante i bambini in difficoltà che, per situazioni diverse, devono essere allontanati dalla famiglia di origine per essere adottati da una nuova famiglia. È noto che questi bambini, con procedure legislative attualmente in parte diverse, possono essere sia di nazionalità italiana che di altre nazionalità, provenienti da Paesi europei ed extraeuropei. È certo un tema difficile da affrontare perché più diritti devono essere rispettati. È questo un tema regolamentato da leggi nazionali, a volte con orientamenti diversi secondo le diverse sensibilità e culture, ma la Convenzione Onu sui diritti dei bambini, ratificata in Italia con la legge n. 176 del 1991, esprime con chiarezza, agli art. 20 e 21, la centralità dell'interesse del bambino e pone alcune precise condizioni affinché l'adozione, soprattutto quella internazionale, avvenga nel rispetto dei legami, della vita e dei bisogni del bambino.
Nel suo articolo Aurelio Molè pone una serie di elementi di problematicità, collocandoli in modo consequenziale. Partendo da alcuni dati statistici allarmanti, esprime la preoccupazione, sua e degli intervistati, riguardante la diminuzione delle domande di adozione e conclude affermando che una soluzione potrebbe essere quella di togliere ai Tribunali dei minori il compito della gestione di questa materia, fino a eliminare il decreto d'idoneità che i giudici minorili devono oggi esprimere su ogni coppia che avanza domanda di adozione, per passarla ad altre strutture genericamente individuate. È bene riflettere, intanto, sul fatto che negli ultimi anni si è dovuto affrontare il problema della crescita dei fallimenti adottivi e che molti bambini, soprattutto perché già grandi o con problemi di tipo fisico o psichico non hanno trovato adeguata collocazione in una famiglia, nonostante il decreto di adottabilità dei giudici minorili.
Che sia necessario un nuovo modello culturale e legislativo che regolamenti l'istituto dell'adozione, così come una riforma della giustizia minorile nel suo complesso, più confacente ai nostri tempi, siamo tutti d'accordo. Su questo nuovo modello, però, credo sia opportuno riflettere maggiormente, per evitare un eccesso di semplificazioni, e ritengo importante un maggiore ascolto di tutte le componenti del sistema, non solo l'opinione dell'AiBi, che non mi risulta essere condivisa da molti operatori del campo.
Non si possono risolvere i tanti limiti della legge e, spesso, quelli dovuti a una sua inesatta applicazione, semplificando con degli slogan – «dalla selezione all'accompagnamento», per esempio –, anche se mi rendo conto che in un articolo ciò è a volte necessario. Ritengo sia importante poter trovare un quadro di riferimento unitario tra gli Stati, cosa certo difficile, ma possibile partendo dalla Convenzione Onu ratificata da quasi tutti gli Stati a livello mondiale (solo la Somalia e gli Stati Uniti non l'hanno ancora ratificata). Partendo dalla Convenzione, che pone la centralità del diritto del bambino, è possibile ascoltare i tanti attori del sistema adottivo e cercare di dare una risposta equilibrata, realistica e non demagogica. L'esclusione del giudice minorile pone molti più problemi di quanti in apparenza ne risolva.
Se è drammatico pensare che un bambino possa vivere senza una famiglia, e se è triste negare un bambino a una famiglia che desidera dare "amore", è molto più drammatico e triste dare a un bambino una nuova famiglia non adeguata ad amarlo, nel rispetto della sua storia, e senza condizionamenti e vincoli. Certamente l'istituto dell'adozione va posto, come dice l'on. De Torre nell'articolo, all'interno di una nuova sensibilità e di un nuovo quadro culturale che prenda in considerazione, anche a livello legislativo tutta la vita del bambino, con una nuova politica della famiglia e garantendo bisogni educativi, sociali e sanitari ad ogni bambino. Francesco Sciuto, neuropsichiatra infantile, difensore dei diritti del bambino del comune di Siracusa
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