martedì, gennaio 15, 2013
“Vorremmo poter agire in modo ancora più efficace per prevenire e contrastare le violenze sulle donne e per combattere il fenomeno della tratta, lavorando in rete con altri gruppi, enti e associazioni sia in Italia che all’estero. Di qui, il nome in inglese. Proprio perché ci inseriamo, sin da subito, in una dimensione internazionale. Quello del traffico di esseri umani si configura, infatti, come un fenomeno che tocca diversi Paesi di origine, transito e destinazione con cui vorremmo intensificare contatti e collaborazioni”. 

Misna - Suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata da 20 anni impegnata nella lotta al traffico di esseri umani e nella salvaguardia delle vittime, spiega così la nuova iniziativa di cui è una delle artefici insieme a religiosi e laici. Si chiama “Slave no more” onlus (Mai più schiave), è un’associazione con sede legale presso la casa di accoglienza per donne e bambini “Maria Maddalena” di Nettuno (Roma) nata per combattere la tratta degli esseri umani, in particolar modo per lo sfruttamento sessuale, una schiavitù contemporanea che riguarda milioni di donne in tutto il mondo. Un’associazione fondata lo scorso 29 dicembre a Roma, simbolicamente presso le suore di San Pietro Claver, il santo che lottò contro la tratta di schiavi verso le Americhe, che intende lottare anche contro ogni forma di violenza, abuso e discriminazione di cui sono vittime le donne, di cui suor Eugenia, eletta sua presidente, si occupa da tempo come ha raccontato anche nei libri Schiave (San Paolo 2010) e Spezzare le catene (Rizzoli 2012).

L’obiettivo di “Slave no more” è la promozione sociale, umana, civile, culturale e interculturale di donne e minori in situazioni di vulnerabilità e difficoltà, vittime di violenze, abusi, tratta e riduzione in schiavitù. Ha inoltre tra i suoi scopi principali “la formazione, l’informazione e la prevenzione, la liberazione e la promozione della donna emarginata e vittima di situazioni che la privano della sua dignità e legalità. Ma anche il sostegno e la reintegrazione socio-lavorativa attraverso la realizzazione di progetti personalizzati sia in Italia che nei paesi di provenienza delle donne immigrate. Questo – spiega la missionaria – perché vorremmo potere restituire un futuro a giovani donne a cui è stata tolta qualsiasi prospettiva di vita dignitosa”.

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