sabato, gennaio 05, 2013
In Siria prosegue l’offensiva delle truppe di Assad contro i ribelli. L’osservatorio siriano per i diritti umani denuncia l’impiego dell’aviazione e parla di un centinaio di morti in diverse regioni. Intanto nella vicina Turchia sono arrivati i primi soldati USA per monitorare il dispiegamento delle batterie di missili NATO per proteggere il territorio da eventuali sconfinamenti siriani.

Radio Vaticana - Prende il via l’operazione NATO di dispiegamento dei missili Patriot in Turchia. I militari americani sono arrivati ieri nella base aerea di Icirlick proprio per rendere operazionali i missili. Nel prossimi giorni si aspettano altri 400 uomini per completare l’operazione. Nel frattempo sul terreno l’esercito è stato rafforzato alla periferia di Damasco e in particolare nei pressi di Daraya, una località che gli uomini di Assad cercano di riprendere da diverse settimane. Secondo l’Osservatorio Siriano per i diritti umani ieri sono morte un centinaio di persone in Siria. Tra di loro ci sarebbe anche Hossam Ghazaleh un membro della famiglia di Rustom Ghazaleh, il capo della sicurezza politica ed ex pezzo da novanta delle mukhabarràt, i servizi d’intelligence. Inoltre ieri è esplosa una bomba in un quartiere di Damasco dove vive un’importante comunità alawita. E’ una guerra che ha preso ormai apertamente la forma di un conflitto interconfessionale, come ha riconosciuto anche l’ultimo rapporto ONU. Proprio per questo testo, tuttavia, il regime ha accusato le Nazioni Unite di scarsa professionalità: secondo le autorità siriane rispecchierebbe troppo le idee politiche dei suoi avversari.

Intanto nel paese si fa sempre più drammatica la condizione di vita dei civili mentre cresce il numero dei profughi. Marie Duhamel ne ha parlato con Fabrice Weissman, del Centro di ricerca sull’azione umanitaria di Medici senza Frontiere:
R. - Il y a, si vous voulez, cet aide mis en place avec par le réseau des médecins… C’è una sorta di sostegno messo in opera dai medici siriani con un aiuto limitato dall’estero, che consente di offrire un minimo di servizi di assistenza sanitaria che però è ampiamente insufficiente rispetto alle esigenze. Nelle zone controllate dall’opposizione appare evidente la necessità di molti più aiuti, soprattutto in termini di medicinali e personale medico. Poi, c’è la necessità di alloggi, di cibo ed energia elettrica: ci sono infatti oltre due milioni di persone sfollate internamente, gran parte delle quali si è rifugiata nei villaggi più distanti dalle linee del fronte, nella zona “ribelle”. Le persone che sono fuggite dalle zone dei combattimenti vivono dai parenti in appartamenti sovraffollati, oppure nelle tende. Le loro condizioni di vita sono molto precarie, considerando anche l’inverno che in questa regione è molto rigido: spesso la notte porta il gelo. Oltre alla difficoltà di alloggiare queste persone, c’è anche la crisi energetica: diventa sempre più difficile trovare carburante nelle regioni controllate dall’opposizione armata. E’ noto che prima della guerra la benzina e gli altri aiuti erano sovvenzionati dal governo e che oggi, invece, non solo non c’è più sovvenzione ma nemmeno rifornimento dalle regioni controllate dal governo, e i Paesi limitrofi sono restii a fornire carburante ed energia. Nella regione di Aleppo, ad esempio, il prezzo della benzina è aumentato di 30 volte, e questo rende gli spostamenti estremamente difficili, fa aumentare il costo dei trasporti e quindi il prezzo del cibo, rende più difficile il riscaldamento delle case e spiega anche la mancanza di farina: i mulini non possono lavorare perché mancano il carburante o la corrente elettrica. Oggi registriamo carenza di pane nella maggior parte delle città, come ad Aleppo. Anche in questo caso, si può calcolare che nelle zone controllate dai ribelli servirebbe un aiuto alimentare molto più consistente, sotto forma di farina, di latte in polvere per i bambini.

D. – Arrivano gli aiuti umanitari internazionali?
R. - L'aide internationale est encore très limitée… L’aiuto internazionale è ancora molto limitato: si tratta sostanzialmente di aiuto medico fornito dalle reti di solidarietà siriane con il supporto dei Paesi vicini, mentre gli attori tradizionali dell’aiuto internazionale – sia le agenzie dell’Onu, sia le grandi Ong internazionali – sono poco presenti nella regione, a causa del mancato sostegno finanziario e diplomatico da parte della comunità internazionale, quindi dei Paesi occidentali, della Cina e della Russia. Bisogna dire che lavorare oggi nella zona controllata dai ribelli è possibile sia da un punto di vista logistico che di sicurezza, anche se ovviamente permane il rischio dei bombardamenti aerei; nonostante molti Paesi riconoscano l’opposizione siriana come l’unico legittimo rappresentante del popolo siriano, sono in pochi quelli disposti a finanziare le operazioni di soccorso umanitario nelle zone ribelli e a fornire garanzie politiche agli operatori delle Nazioni Unite che consentirebbero loro di entrare nelle zone in questione, sfuggendo al controllo di Damasco.

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