Come in una parrocchia romana si è vissuta l’Epifania, cammino personale e comunitario verso Dio
di Renato Zilio
Domenica dell’Epifania. Verso la fine della Messa, dopo aver celebrato i tre Magi, viene annunciato sobriamente l’arrivo... del quarto. Suspense. Ecco allora avanzare tranquillamente dal fondo della chiesa il seminarista indonesiano Pius Bala Lerek, con i mostacchi tipici del popolo di Timor, e andare dritto al microfono. Intona assorto ed emozionato un’antica nenia a Maria, come si canta laggiù da loro. Dolcissima. In due parole, in perfetto italiano, ne spiega il senso: “È questo il nostro grazie a Maria, per aver detto ‘sì’ alla nascita di questo bambino, di Gesù”. Un applauso generale sale dall’assemblea, nella parrocchia romana dei Santi Marcellino e Pietro in via Casilina.
Anche il parroco don Edmilson, all’oscuro dell’improvvisata, apprezza visibilmente. Uscendo poi tutti incontrano ancora il giovane seminarista scalabriniano dietro una pila di libri, ne agita alcuni nelle mani. Li propone ad ognuno, per continuare il cammino di Epifania a casa come i Magi... “Dio attende alla frontiera” è il titolo ed è tutto un programma. E lui pazientemente vi spiega: “L'importanza dell'alterità, del vivere insieme con persone diverse, del rispetto e dell'accoglienza dell’altro sono i grandi valori che noi scalabriniani stiamo costruendo alla frontiera”. Così avviene in tutte le celebrazioni della giornata.
Tra una messa e l’altra, il giovane indonesiano ha poi giusto il tempo, in un bar centrale di Tor Pignattara, di meritarsi un cappuccino e una brioche. Ma, subito, riconosciuto... ne esce senza riuscire a pagare un centesimo! Non gli era mai capitato.
Alla fine, dopo la quarta celebrazione vi sa ripetere a memoria tutti i passaggi dell’omelia che l’autore stesso del libro propone durante l’eucarestia. Per strada ne cita dei pezzi automaticamente. Lo incanta dire quanto la vita di un migrante sia una lotta e una danza. Qualcosa di duro e di grande. Una sofferta e bella apertura al mondo. O sottolinea la doppia ricerca di ogni emigrante. Mentre cammina, vi spalanca con forza una mano dopo l’altra. Sì, chi emigra cerca sempre il pane, cerca altrettanto la dignità! Soprattutto apprezza il pellegrinaggio interreligioso proposto ogni anno ai figli di emigrati in quaresima. Fatto in un paese musulmano, fino ad arrivare in cammello in pieno Sahara. Tutto per far “cambiare mondo” a questi giovani. Far loro comprendere il “salto mortale” vissuto dai loro genitori, emigrando. Così, l’esercizio per loro è quello di saper entrare in un altro mondo in punta di piedi, senza calpestarne i valori, i limiti o l’originalità. Solo accogliendolo. “La verità sta nella reciproca ospitalità” ricorda bene qualcuno. In fondo, è capire meglio la nostra Europa stessa, dove l’Islam ne è ingrediente inevitabile.
Così, il lungo cammino dei Magi si ritrova per davvero nella parabola di un giovane indonesiano, studente di teologia. Venire da molto lontano, sentirsi sperduto, seguire una stella, un ideale, una grande causa, aprire i propri tesori, doti di intelligenza e di cuore per il carisma dei migranti e infine... incontrare Dio. Potergli dire, in fondo, il suo “sì” con l’entusiasmo di un giovane venuto da un’altra parte del mondo, dall’Oceano indiano e da una cultura quasi totalmente musulmana. Miracolo questo di un carisma particolare, ancora vivo ai nostri giorni.
A sera, in una pizzeria romana, il giovane indonesiano vorrebbe improvvisare un bel canto religioso della sua gente e forse, così, non pagare il conto... Lo tratteniamo in tempo: la fortuna non batte sempre alla stessa porta. Anche i Magi, di ritorno, cambiarono strada.
di Renato Zilio
Domenica dell’Epifania. Verso la fine della Messa, dopo aver celebrato i tre Magi, viene annunciato sobriamente l’arrivo... del quarto. Suspense. Ecco allora avanzare tranquillamente dal fondo della chiesa il seminarista indonesiano Pius Bala Lerek, con i mostacchi tipici del popolo di Timor, e andare dritto al microfono. Intona assorto ed emozionato un’antica nenia a Maria, come si canta laggiù da loro. Dolcissima. In due parole, in perfetto italiano, ne spiega il senso: “È questo il nostro grazie a Maria, per aver detto ‘sì’ alla nascita di questo bambino, di Gesù”. Un applauso generale sale dall’assemblea, nella parrocchia romana dei Santi Marcellino e Pietro in via Casilina.
Anche il parroco don Edmilson, all’oscuro dell’improvvisata, apprezza visibilmente. Uscendo poi tutti incontrano ancora il giovane seminarista scalabriniano dietro una pila di libri, ne agita alcuni nelle mani. Li propone ad ognuno, per continuare il cammino di Epifania a casa come i Magi... “Dio attende alla frontiera” è il titolo ed è tutto un programma. E lui pazientemente vi spiega: “L'importanza dell'alterità, del vivere insieme con persone diverse, del rispetto e dell'accoglienza dell’altro sono i grandi valori che noi scalabriniani stiamo costruendo alla frontiera”. Così avviene in tutte le celebrazioni della giornata.
Tra una messa e l’altra, il giovane indonesiano ha poi giusto il tempo, in un bar centrale di Tor Pignattara, di meritarsi un cappuccino e una brioche. Ma, subito, riconosciuto... ne esce senza riuscire a pagare un centesimo! Non gli era mai capitato.
Alla fine, dopo la quarta celebrazione vi sa ripetere a memoria tutti i passaggi dell’omelia che l’autore stesso del libro propone durante l’eucarestia. Per strada ne cita dei pezzi automaticamente. Lo incanta dire quanto la vita di un migrante sia una lotta e una danza. Qualcosa di duro e di grande. Una sofferta e bella apertura al mondo. O sottolinea la doppia ricerca di ogni emigrante. Mentre cammina, vi spalanca con forza una mano dopo l’altra. Sì, chi emigra cerca sempre il pane, cerca altrettanto la dignità! Soprattutto apprezza il pellegrinaggio interreligioso proposto ogni anno ai figli di emigrati in quaresima. Fatto in un paese musulmano, fino ad arrivare in cammello in pieno Sahara. Tutto per far “cambiare mondo” a questi giovani. Far loro comprendere il “salto mortale” vissuto dai loro genitori, emigrando. Così, l’esercizio per loro è quello di saper entrare in un altro mondo in punta di piedi, senza calpestarne i valori, i limiti o l’originalità. Solo accogliendolo. “La verità sta nella reciproca ospitalità” ricorda bene qualcuno. In fondo, è capire meglio la nostra Europa stessa, dove l’Islam ne è ingrediente inevitabile.
Così, il lungo cammino dei Magi si ritrova per davvero nella parabola di un giovane indonesiano, studente di teologia. Venire da molto lontano, sentirsi sperduto, seguire una stella, un ideale, una grande causa, aprire i propri tesori, doti di intelligenza e di cuore per il carisma dei migranti e infine... incontrare Dio. Potergli dire, in fondo, il suo “sì” con l’entusiasmo di un giovane venuto da un’altra parte del mondo, dall’Oceano indiano e da una cultura quasi totalmente musulmana. Miracolo questo di un carisma particolare, ancora vivo ai nostri giorni.
A sera, in una pizzeria romana, il giovane indonesiano vorrebbe improvvisare un bel canto religioso della sua gente e forse, così, non pagare il conto... Lo tratteniamo in tempo: la fortuna non batte sempre alla stessa porta. Anche i Magi, di ritorno, cambiarono strada.
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