Nella notte di Gesù Bambino, storia di una bimba nata in macchina: i momenti del parto e le dinamiche della Vita
di Gurraccha Eliseo Citton
In Etiopia il Natale si celebra il 7 gennaio di ogni anno, ossia il 29 di Tahisas, quarto mese dell’anno del calendario etiopico. Per la Chiesa cattolica etiopica il 25 dicembre 2012 è un martedì feriale della seconda settimana di Avvento. La sera del 24 dicembre, dopo la celebrazione vespertina della Messa avevo detto a Suor Gemma che se per caso nella notte ci fosse stata una emergenza-parto, io ero disponibile a farle da autista. In questo modo, da Dilla (dove c’è l’ospedale), avrei approfittato per spedire tutte le mie email di auguri proprio la notte di Natale; visto che in questa cittadina a circa 80 km da Haro Waato c’è la possibilità di usufruire di internet. Dopo cena stanco del lavoro della giornata (taglio di piante di eucalipto con la motosega per rifornire padri e suore di legna per la stufa), sono andato subito a letto. Appena coricato è arrivata suor Gemma a dirmi che c’è una donna che bisogna portare a Dilla perché è in travaglio dalla sera del giorno precedente e il bambino non nasce. Mi rivesto subito e mi preparo alla partenza. L’ambulanza in dotazione alla clinica è dal meccanico da più di una settimana perché si è rotto il cambio; bisogna utilizzare la Toyota ⑤ 01512AA 4WD della comunità delle suore, che però non ha la ruota di scorta: bucata proprio il giorno prima, la suora non ha potuto farla riparare perché è mancata l’elettricità per tutta la giornata. Non è prudente mettersi per strada in quelle condizioni, perciò decido di prendere la ruota di scorta del nostro Pick-up che è compatibile con la Toyota delle suore.
Suor Gemma fa sedere nel bagagliaio posteriore, dietro i sedili, proprio sopra la ruota di scorta, Abrami –fratello maggiore del marito- con in braccio la giovane in travaglio (Hanna); salgono in macchina anche Burtukan (suocera della partoriente), il marito (Petrosi figlio di Beqqele) e un cugino (Nuguse figlio di Beyyene). Alle 21:30 siamo già per strada, diretti a Dilla. Dopo una ventina di chilometri, non molto dopo il villaggio di Gadio, prima di Haro Harru, al crescere dei lamenti della donna accosto per permettere a Gemma di controllare la situazione; mentre accosto, la donna comincia a gridare. Una grande luna piena colora di luce il buio della notte: la creatura sta per nascere … ha già la testa fuori. Suocera e cugino vengono fatti scendere immediatamente per lasciare spazio. La partoriente seduta sulla ruota, in braccio ad Abrami e con a fianco il marito, grida e si lamenta. Gemma un po’ per la fretta, un po’ per la stanchezza e un po’ per chissà quale altra misteriosa ragione si è portata soltanto un paio di guanti. Adesso capisco meglio il senso del suo categorico rifiuto, quando siamo partiti, di far sdraiare la partoriente nel più comodo “sedile interno” alla macchina. Ora la posizione nella macchina non è certo delle migliori e lo spazio è piuttosto scomodo, ma il bagagliaio posteriore della Toyota con la ruota di scorta si dimostra comunque molto più adatto alla situazione del soffice (ma sicuramente fatale) sedile interno in cui sarebbe stato invece impossibile “manovrare” il parto. Suor Gemma è preoccupata: la creatura ha due giri di cordone ombelicale intorno al collo che complicano le cose. Bisogna far presto. Con una mano io tengo la pila, con l’altra le rimbocco le maniche cercando di dare il mio piccolo aiuto a quella Vita nascente. Suor Gemma “manovra” con saggia destrezza e grande esperienza e in pochi istanti ha già in mano una nuova Vita: è una bambina … una piccola “Gesù bambina”. La neonata è in forte sofferenza fetale … subito, Gemma, la prende per le gambe e a testa in giù la scuote animatamente con piccoli colpi sulla schiena, poi la adagia sopra un indumento sulla ruota di scorta e prendendo tra le sue grandi mani le due piccole braccia della neonata, le fa energici esercizi di rianimazione … la piccola comincia a respirare, è viva, ce l’ha fatta; è vestita soltanto del chiarore della luna che la avvolge col suo tenue manto … ora bisogna liberarla dal cordone ombelicale! Non abbiamo strumenti né per legarlo né per tagliare.
La suocera si strappa dei fili da un suo indumento e li porge alla suora che li utilizza per legare in due punti il cordone. Gemma mi chiede di vedere se nella “tasca” anteriore della macchina c’è qualche strumento … non c’è proprio niente! Non si sa cosa fare per tagliare il cordone. A Nuguse viene la buona idea di strappare da una vicina siepe una piccola stecca di bambù sufficientemente tagliente … e mettere in mano a suor Gemma lo strumento che le serve. Lei con una mano io con l’altra teniamo ben teso il cordone: in pochi secondi con un taglio un po’ grezzo tra i due punti legati, la bambina viene liberata da quel suo primo legame vitale. Nuovamente Gemma ripete le energiche manovre di rianimazione … questa volta la piccina apre gli occhi, non piange ma mi sembra arrabbiata, si sente che respira … si vede che è presente. La neonata viene consegnata immediatamente alla nonna che la riceve e se la infagotta con grande devozione. Mentre Burtukan se la avvolge nei suoi panni e fa un umile fagotto di quel piccolo fragile … prezioso tesoro, Gemma torna alla donna per liberare anche lei da ciò che rimane di quei nove mesi di creazione e grande lavoro. È di nuovo silenzio, un lungo istante di silenzio … che viene rotto da ripetuti trilli di gioia solo nel momento in cui suor Gemma riesce a liberare la neomamma dalla placenta. È in questo momento che i trilli di tutti i presenti aumentano: sono la celebrazione della avvenuta “liberazione” e l’inizio di una vera e propria festa! Nuguse, che poco prima con determinazione aveva procurato il rudimentale “coltello” di bambù; ora, tentennante, prende la placenta dalle mani di suor Gemma per gettala nella foresta (secondo l’antica tradizione di varie etnie etiopiche la placenta veniva seppellita nella capanna); poi torna con delle foglie di sarajji, un albero a fusto medio grande con foglie odorose, con le quali entrambi ci puliamo le mani dal sangue. Mentre mi pulisco le mani, la Provvidenza mi regala la visione di un miracolo rarissimo: il marito, ora anche lui seduto sulla ruota di scorta, amorevolmente avvicina alla sua guancia, la guancia della sua giovane sposa … con quell’affetto e tenerezza che devono aver presenziato alla creazione del mondo. In tutti questi anni di Etiopia è la mia prima volta che vedo un uomo “abbandonarsi” a questo tenero gesto.
Il fatto che al parto abbiamo assistito più uomini che donne, io l’ho letto come un emblematico “segno dei tempi”, specialmente in queste culture che considerano tabù la presenza di uomini a questo momento importante della Vita … anche se poi con la nascita della piccina, la Vita ci ha subito tenuto a segnare il goal del quattro a quattro, ripristinando così l’equilibrio vitale! In profondità, queste culture originarie hanno comunque preservato il senso della sacralità delle “dinamiche di Vita” e una chiara percezione della loro “distinzione” (femminile-maschile)! Il momento del parto è infatti percepito e vissuto come una dinamica totalmente femminile (gli uomini si tengono –si devono tenere- a distanza); mentre quello della sepoltura è percepito e vissuto come una dinamica totalmente maschile! E questo tra i Guji è chiarissimo: nei funerali le donne si tengono a debita distanza dalla fossa! “Hosemoti”, “non è buono”, dicono! “Seeramoti”, “non è regola” che la donna –il femminile- si avvicini alla fossa in cui viene deposto il cadavere! E dalla nascita alla morte si possono riconoscere tutta una serie di funzioni vitali organizzate con i parametri di questa dinamica fondamentale femminile-maschile. La nascita in macchina di questa Gesù bambina mi ha illuminato sul bisogno odierno di imparare ad armonizzare l’ordine e le gerarchie mentali con l’ordine e la gerarchia della Provvidenza! La nascita “fuori luogo” di questa bambina l’ho vissuta come una accorata preghiera, come un “richiamo” dello Spirito a “risintonizzare la organizzazione delle regole umane” alla luce delle esigenze vitali. Ho “imparato” sul campo che esigenze ideologiche, politiche, religiose o culturali non dovrebbero mai usurpare la primogenitura che spetta alle esigenze vitali! I primi devono farsi ultimi perché gli ultimi diventino primi (vivano e crescano)! Le esigenze “complesse” sono a servizio delle esigenze vitali: le devono servire e non da esse farsi servire! Dentro di me ho sentito un’esplosione di gratitudine per la Provvidenza: la bimba e la sua mamma sono vive! La Vita ha vinto!
Dentro di me anch’io, come Hanna, ho gridato … ho pregato per la gerarchia a cui appartengo. Ho invocato la Provvidenza affinché ci lasciamo battezzare dalle esigenze vitali, per consentire alla “buona notizia” di quel “Gesù bambino” in cui crediamo, di tornare a risplendere oggi: permettendo alle regole vitali, alle regole della Provvidenza, di “dare Vita nuova” a tutte le nostre regole e gerarchie! A questo punto la destinazione Dilla con tutte le email da spedire salta, la Provvidenza ha cambiato i programmi! Addio auguri di Natale! Giro la macchina … si torna ad Haro Waato! Mi è impossibile raccontare la gioia di questi “viandanti nella notte”: la festa di questi “pastori” durante tutto il tragitto di ritorno inonda il cuore e rianima le viscere. Non ci sono parole per descrivere questi tre uomini e la nonna che con canti e trilli non cessano di festeggiare battendo le mani e lodando Iddio per la nuova Vita e lo scampato pericolo. E anch’io col clacson della Toyota aggiungo una mono nota, anche se un po’ stonata, alla loro santa melodia. Arrivati ad Haro Waato, non vengono neppure in clinica, scendono riconoscenti dal nostro asinello a quattro ruote, anzi cinque con quella di scorta, che ha permesso loro di vedere la Vita “nascere” e di portarsela a casa “viva”!
Quando arriviamo a casa, in un altro mondo è l’ora in cui si sta celebrando la messa di mezzanotte. È notte fonda … mentre vado a letto una miriade di sentimenti, che la mente non riesce a contare, traboccano dal mio cuore e nelle mie viscere! Si muovono, corrono, si fermano, si abbracciano e danzano insieme la Vita! Fanno festa per Gesù bambina: anche questa volta ce l’ha fatta a venire al mondo! Anche questa volta ha voluto “nascere in viaggio”! Nei giorni successivi per ben tre volte sono stato costretto a rimandare il proposito di andare a visitare la piccina e la sua mamma che vivono proprio ad Haro Waato non molto lontano dalla missione. Quando il pomeriggio di sabato 5 gennaio 2013 sono riuscito a mettere in atto l’intento, per un altro misterioso intreccio della Provvidenza sono capitato nella loro casa assieme a Matteo Fabia e Andrea, tre amici italiani di Annette (infermiera filippina nella nostra clinica di Haro Waato), proprio nel pomeriggio del giorno in cui alla bambina doveva venire assegnato il nome. Da parte di padre, la famiglia appartiene al gruppo etnico dei Gedeo-Gobeyya, mentre la giovanissima mamma è una ragazza di origini Wolayta. Ho portato con me una piccola medaglia della madonna per regalarla alla bimba; ma sapendo che tutta la famiglia appartiene alla chiesa cristiana Qaliwot ho prima verificato se l’avessero gradita o se si sentivano offesi. Quando le viscere mi hanno dato il via libera, l’ho consegnata alla neomamma spiegandole la ragione intima di quel dono e dicendole che il nome di Maria in ebraico si pronuncia Miriam. A quel punto, il nonno paterno (Beqqele figlio di Dharro), che si stava orientando per chiamarla Bereketi (benedizione), ha preso al volo la mia spiegazione … e “Miriam” è diventato il nome scelto per la piccola. La giovane donna-mamma: Hanna, figlia di Magujje figlio di Fakko figlio di Tammu; tace, ascolta, sorride e partecipa … in silenzio … custodendo nel suo cuore tutte queste cose.
di Gurraccha Eliseo Citton
In Etiopia il Natale si celebra il 7 gennaio di ogni anno, ossia il 29 di Tahisas, quarto mese dell’anno del calendario etiopico. Per la Chiesa cattolica etiopica il 25 dicembre 2012 è un martedì feriale della seconda settimana di Avvento. La sera del 24 dicembre, dopo la celebrazione vespertina della Messa avevo detto a Suor Gemma che se per caso nella notte ci fosse stata una emergenza-parto, io ero disponibile a farle da autista. In questo modo, da Dilla (dove c’è l’ospedale), avrei approfittato per spedire tutte le mie email di auguri proprio la notte di Natale; visto che in questa cittadina a circa 80 km da Haro Waato c’è la possibilità di usufruire di internet. Dopo cena stanco del lavoro della giornata (taglio di piante di eucalipto con la motosega per rifornire padri e suore di legna per la stufa), sono andato subito a letto. Appena coricato è arrivata suor Gemma a dirmi che c’è una donna che bisogna portare a Dilla perché è in travaglio dalla sera del giorno precedente e il bambino non nasce. Mi rivesto subito e mi preparo alla partenza. L’ambulanza in dotazione alla clinica è dal meccanico da più di una settimana perché si è rotto il cambio; bisogna utilizzare la Toyota ⑤ 01512AA 4WD della comunità delle suore, che però non ha la ruota di scorta: bucata proprio il giorno prima, la suora non ha potuto farla riparare perché è mancata l’elettricità per tutta la giornata. Non è prudente mettersi per strada in quelle condizioni, perciò decido di prendere la ruota di scorta del nostro Pick-up che è compatibile con la Toyota delle suore.
Suor Gemma fa sedere nel bagagliaio posteriore, dietro i sedili, proprio sopra la ruota di scorta, Abrami –fratello maggiore del marito- con in braccio la giovane in travaglio (Hanna); salgono in macchina anche Burtukan (suocera della partoriente), il marito (Petrosi figlio di Beqqele) e un cugino (Nuguse figlio di Beyyene). Alle 21:30 siamo già per strada, diretti a Dilla. Dopo una ventina di chilometri, non molto dopo il villaggio di Gadio, prima di Haro Harru, al crescere dei lamenti della donna accosto per permettere a Gemma di controllare la situazione; mentre accosto, la donna comincia a gridare. Una grande luna piena colora di luce il buio della notte: la creatura sta per nascere … ha già la testa fuori. Suocera e cugino vengono fatti scendere immediatamente per lasciare spazio. La partoriente seduta sulla ruota, in braccio ad Abrami e con a fianco il marito, grida e si lamenta. Gemma un po’ per la fretta, un po’ per la stanchezza e un po’ per chissà quale altra misteriosa ragione si è portata soltanto un paio di guanti. Adesso capisco meglio il senso del suo categorico rifiuto, quando siamo partiti, di far sdraiare la partoriente nel più comodo “sedile interno” alla macchina. Ora la posizione nella macchina non è certo delle migliori e lo spazio è piuttosto scomodo, ma il bagagliaio posteriore della Toyota con la ruota di scorta si dimostra comunque molto più adatto alla situazione del soffice (ma sicuramente fatale) sedile interno in cui sarebbe stato invece impossibile “manovrare” il parto. Suor Gemma è preoccupata: la creatura ha due giri di cordone ombelicale intorno al collo che complicano le cose. Bisogna far presto. Con una mano io tengo la pila, con l’altra le rimbocco le maniche cercando di dare il mio piccolo aiuto a quella Vita nascente. Suor Gemma “manovra” con saggia destrezza e grande esperienza e in pochi istanti ha già in mano una nuova Vita: è una bambina … una piccola “Gesù bambina”. La neonata è in forte sofferenza fetale … subito, Gemma, la prende per le gambe e a testa in giù la scuote animatamente con piccoli colpi sulla schiena, poi la adagia sopra un indumento sulla ruota di scorta e prendendo tra le sue grandi mani le due piccole braccia della neonata, le fa energici esercizi di rianimazione … la piccola comincia a respirare, è viva, ce l’ha fatta; è vestita soltanto del chiarore della luna che la avvolge col suo tenue manto … ora bisogna liberarla dal cordone ombelicale! Non abbiamo strumenti né per legarlo né per tagliare.
La suocera si strappa dei fili da un suo indumento e li porge alla suora che li utilizza per legare in due punti il cordone. Gemma mi chiede di vedere se nella “tasca” anteriore della macchina c’è qualche strumento … non c’è proprio niente! Non si sa cosa fare per tagliare il cordone. A Nuguse viene la buona idea di strappare da una vicina siepe una piccola stecca di bambù sufficientemente tagliente … e mettere in mano a suor Gemma lo strumento che le serve. Lei con una mano io con l’altra teniamo ben teso il cordone: in pochi secondi con un taglio un po’ grezzo tra i due punti legati, la bambina viene liberata da quel suo primo legame vitale. Nuovamente Gemma ripete le energiche manovre di rianimazione … questa volta la piccina apre gli occhi, non piange ma mi sembra arrabbiata, si sente che respira … si vede che è presente. La neonata viene consegnata immediatamente alla nonna che la riceve e se la infagotta con grande devozione. Mentre Burtukan se la avvolge nei suoi panni e fa un umile fagotto di quel piccolo fragile … prezioso tesoro, Gemma torna alla donna per liberare anche lei da ciò che rimane di quei nove mesi di creazione e grande lavoro. È di nuovo silenzio, un lungo istante di silenzio … che viene rotto da ripetuti trilli di gioia solo nel momento in cui suor Gemma riesce a liberare la neomamma dalla placenta. È in questo momento che i trilli di tutti i presenti aumentano: sono la celebrazione della avvenuta “liberazione” e l’inizio di una vera e propria festa! Nuguse, che poco prima con determinazione aveva procurato il rudimentale “coltello” di bambù; ora, tentennante, prende la placenta dalle mani di suor Gemma per gettala nella foresta (secondo l’antica tradizione di varie etnie etiopiche la placenta veniva seppellita nella capanna); poi torna con delle foglie di sarajji, un albero a fusto medio grande con foglie odorose, con le quali entrambi ci puliamo le mani dal sangue. Mentre mi pulisco le mani, la Provvidenza mi regala la visione di un miracolo rarissimo: il marito, ora anche lui seduto sulla ruota di scorta, amorevolmente avvicina alla sua guancia, la guancia della sua giovane sposa … con quell’affetto e tenerezza che devono aver presenziato alla creazione del mondo. In tutti questi anni di Etiopia è la mia prima volta che vedo un uomo “abbandonarsi” a questo tenero gesto.
Il fatto che al parto abbiamo assistito più uomini che donne, io l’ho letto come un emblematico “segno dei tempi”, specialmente in queste culture che considerano tabù la presenza di uomini a questo momento importante della Vita … anche se poi con la nascita della piccina, la Vita ci ha subito tenuto a segnare il goal del quattro a quattro, ripristinando così l’equilibrio vitale! In profondità, queste culture originarie hanno comunque preservato il senso della sacralità delle “dinamiche di Vita” e una chiara percezione della loro “distinzione” (femminile-maschile)! Il momento del parto è infatti percepito e vissuto come una dinamica totalmente femminile (gli uomini si tengono –si devono tenere- a distanza); mentre quello della sepoltura è percepito e vissuto come una dinamica totalmente maschile! E questo tra i Guji è chiarissimo: nei funerali le donne si tengono a debita distanza dalla fossa! “Hosemoti”, “non è buono”, dicono! “Seeramoti”, “non è regola” che la donna –il femminile- si avvicini alla fossa in cui viene deposto il cadavere! E dalla nascita alla morte si possono riconoscere tutta una serie di funzioni vitali organizzate con i parametri di questa dinamica fondamentale femminile-maschile. La nascita in macchina di questa Gesù bambina mi ha illuminato sul bisogno odierno di imparare ad armonizzare l’ordine e le gerarchie mentali con l’ordine e la gerarchia della Provvidenza! La nascita “fuori luogo” di questa bambina l’ho vissuta come una accorata preghiera, come un “richiamo” dello Spirito a “risintonizzare la organizzazione delle regole umane” alla luce delle esigenze vitali. Ho “imparato” sul campo che esigenze ideologiche, politiche, religiose o culturali non dovrebbero mai usurpare la primogenitura che spetta alle esigenze vitali! I primi devono farsi ultimi perché gli ultimi diventino primi (vivano e crescano)! Le esigenze “complesse” sono a servizio delle esigenze vitali: le devono servire e non da esse farsi servire! Dentro di me ho sentito un’esplosione di gratitudine per la Provvidenza: la bimba e la sua mamma sono vive! La Vita ha vinto!
Dentro di me anch’io, come Hanna, ho gridato … ho pregato per la gerarchia a cui appartengo. Ho invocato la Provvidenza affinché ci lasciamo battezzare dalle esigenze vitali, per consentire alla “buona notizia” di quel “Gesù bambino” in cui crediamo, di tornare a risplendere oggi: permettendo alle regole vitali, alle regole della Provvidenza, di “dare Vita nuova” a tutte le nostre regole e gerarchie! A questo punto la destinazione Dilla con tutte le email da spedire salta, la Provvidenza ha cambiato i programmi! Addio auguri di Natale! Giro la macchina … si torna ad Haro Waato! Mi è impossibile raccontare la gioia di questi “viandanti nella notte”: la festa di questi “pastori” durante tutto il tragitto di ritorno inonda il cuore e rianima le viscere. Non ci sono parole per descrivere questi tre uomini e la nonna che con canti e trilli non cessano di festeggiare battendo le mani e lodando Iddio per la nuova Vita e lo scampato pericolo. E anch’io col clacson della Toyota aggiungo una mono nota, anche se un po’ stonata, alla loro santa melodia. Arrivati ad Haro Waato, non vengono neppure in clinica, scendono riconoscenti dal nostro asinello a quattro ruote, anzi cinque con quella di scorta, che ha permesso loro di vedere la Vita “nascere” e di portarsela a casa “viva”!
Quando arriviamo a casa, in un altro mondo è l’ora in cui si sta celebrando la messa di mezzanotte. È notte fonda … mentre vado a letto una miriade di sentimenti, che la mente non riesce a contare, traboccano dal mio cuore e nelle mie viscere! Si muovono, corrono, si fermano, si abbracciano e danzano insieme la Vita! Fanno festa per Gesù bambina: anche questa volta ce l’ha fatta a venire al mondo! Anche questa volta ha voluto “nascere in viaggio”! Nei giorni successivi per ben tre volte sono stato costretto a rimandare il proposito di andare a visitare la piccina e la sua mamma che vivono proprio ad Haro Waato non molto lontano dalla missione. Quando il pomeriggio di sabato 5 gennaio 2013 sono riuscito a mettere in atto l’intento, per un altro misterioso intreccio della Provvidenza sono capitato nella loro casa assieme a Matteo Fabia e Andrea, tre amici italiani di Annette (infermiera filippina nella nostra clinica di Haro Waato), proprio nel pomeriggio del giorno in cui alla bambina doveva venire assegnato il nome. Da parte di padre, la famiglia appartiene al gruppo etnico dei Gedeo-Gobeyya, mentre la giovanissima mamma è una ragazza di origini Wolayta. Ho portato con me una piccola medaglia della madonna per regalarla alla bimba; ma sapendo che tutta la famiglia appartiene alla chiesa cristiana Qaliwot ho prima verificato se l’avessero gradita o se si sentivano offesi. Quando le viscere mi hanno dato il via libera, l’ho consegnata alla neomamma spiegandole la ragione intima di quel dono e dicendole che il nome di Maria in ebraico si pronuncia Miriam. A quel punto, il nonno paterno (Beqqele figlio di Dharro), che si stava orientando per chiamarla Bereketi (benedizione), ha preso al volo la mia spiegazione … e “Miriam” è diventato il nome scelto per la piccola. La giovane donna-mamma: Hanna, figlia di Magujje figlio di Fakko figlio di Tammu; tace, ascolta, sorride e partecipa … in silenzio … custodendo nel suo cuore tutte queste cose.
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