venerdì, gennaio 04, 2013
A Washington, ieri è stata la giornata del giuramento dei parlamentari del nuovo Congresso degli Stati Uniti, il 113.mo della storia americana. Tante le novità per questo “specchio del Paese” sempre più multietnico e multireligioso. Per la prima volta, i deputati bianchi sono una minoranza nel gruppo dei Democratici alla Camera. Per la prima volta, inoltre, siederà a Capitol Hill un deputato induista e una senatrice buddista. Sul significato di questo cambiamento demografico e i suoi riflessi politici, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista dell’Università di Bologna, Tiziano Bonazzi.  

Radio Vaticana - R. – Un dato: ogni anno negli Stati Uniti entrano fra i 900 mila e un milione di immigrati legali, quindi, senza contare gli immigrati illegali, che pare siano fra i 12 e i 15 milioni. Se teniamo presente, dunque, un ingresso di un milione di persone nuove, provenienti – di massima – dall’America Latina e dall’Asia, ogni anno, è evidente che la vecchia componente etnica di matrice europea stia perdendo rapidamente posizione. Tant’è vero che ormai negli Stati Uniti non si parla più di italo-americani, tedesco-americani
, anglo-americani, ma in generale di europei come un unico gruppo etnico, distinto dai latini, dagli asiatici e così via. Questo ci dà idea di un mutamento continuo. Insomma, gli Stati Uniti sono ancora una frontiera: una frontiera demografica, una frontiera per quanto riguarda la giovinezza della popolazione e sono una frontiera per la capacità di amalgamare e continuare ad inserire culture diverse. D. – Accanto proprio a questo, all’amalgamare culture, religioni, etnie diverse, ci sono però anche problemi di tensione, a volte anche di scontro, soprattutto nelle grandi città, nelle grandi periferie. Questa può essere una sfida da affrontare in questi anni? R. – La sfida c’è ed è una sfida che riguarda soprattutto il crescente divario fra l’America urbana, sia sulla costa del Pacifico che sulla costa dell’Atlantico che anche nelle grandi città del Sud, lungo il Golfo del Messico, e l’immensa “provincia” americana. Ed ecco allora che proprio tutti i grandi Stati del centro, comunità del centro, in cui questa crescente differenza culturale, etnica e demografica si fa molto meno sentire, mantengono un peso sproporzionato a livello politico nel Congresso. In definitiva, nonostante tutto, il Congresso non rispecchia ancora quello che è il Paese e sicuramente questo darà luogo a scontri politici estremamente forti. Questa America della grandissima provincia, infatti, è molto più conservatrice, molto meno desiderosa di mutamenti, di quanto non sia invece l’America urbana delle coste e del Sud urbano.

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