venerdì, febbraio 22, 2013
Come la Banca Centrale Europea ha lavorato dietro le quinte per salvare l’economia italiana 

di Paolo Di Mizio

Tutti gli euroscettici, e coloro che vorrebbero l’Italia fuori dall’euro, dovrebbero sapere come e quanto l’Europa ha lavorato, dietro le quinte, per evitare la catastrofe economica del nostro Paese. Cifre alla mano.
Tra il 2011 e il 2012 la Banca Centrale Europea (BCE) ha acquistato, sul mercato secondario, BOT italiani per 102,8 miliardi di euro, facendo del nostro Paese il massimo beneficiario degli acquisti. Seguono a grande distanza la Spagna (con 44,3 miliardi di titoli di Stato acquistati dalle BCE), la Grecia (33,9 miliardi), il Portogallo (22,8 miliardi) e l’Irlanda (14,2 miliardi).

Non è stato un regalo dell’italiano Mario Draghi, governatore della BCE. La banca centrale, infatti, non avrebbe potuto decidere gli acquisti senza il consenso di tutti o quanto meno della maggioranza dei Paesi dell’eurozona, i quali hanno i loro rappresentanti nel consiglio di amministrazione della BCE. Sono noti i mal di pancia del governatore della Banca centrale tedesca a questo proposito, ma è noto anche che il governo tedesco, in aperto contrasto con la Bundesbank, ha avallato la politica degli acquisti di titoli di Stato italiani.

Il motivo del massiccio acquisto di nostri titoli, è evidente, nasceva dalla necessità di abbassare il nostro spread, cioè il differenziale tra i titoli decennali italiani e gli equivalenti tioli tedeschi. La riduzione dello spread (poi effettivamente sceso dai drammatici 550 punti del 2011 ai 270-290 punti di questi giorni) ha permesso di evitare che l’Italia subisse l’onta, e la tragedia, della bancarotta.

La BCE naturalmente non ha agito per beneficienza, ma nell’interesse di tutti i Paesi dell’eurozona, perché il default dell’Italia avrebbe travolto l’intera Europa e il terremoto avrebbe sollevato, come uno tsunami, onde distruttive sull’intera economia del pianeta, di cui una grande parte è dipendente dalle esportazioni verso il Vecchio Continente.

Questa stessa considerazione ci deve indurre all’ottimismo sulla reale esistenza di una “solidarietà” europea, che spesso appare inesistente, nascosta com’è dietro gli interessi nazionali. Una solidarietà dettata, si badi bene, non da intenti caritatevoli ma da un’effettiva e ormai inestricabile unione tra i destini di tutti i Paesi della zona euro. D’altra parte questo è il senso più logico – e anche più sano – da dare al concetto di solidarietà tra Paesi.

Per tornare all’imponente operazione di acquisto di titoli italiani, essa ha prodotto una serie di benefici all’intera eurozona. In primo luogo, come s è detto, ha evitato lo tsunami che sarebbe derivato dal fallimento dello Stato italiano. In secondo luogo, essendo i titoli italiani gravati da tassi d’interesse molto alti a causa appunto dello spread elevato, l’acquisto ha generato a favore della BCE un surplus di 2,164 miliardi, contro il surplus di 1,894 miliardi del solo 2011. L’utile netto a favore della BCE è stato di 998 milioni nel 2012 contro i 728 milioni del 2011. La BCE – ed ecco un terzo beneficio “solidale”, cioè positivo per tutti – ha dichiarato che, dopo aver trasferito metà del surplus al fondo rischi, restituirà l’altra metà o poco meno (423 milioni) alle banche centrali nazionali, tra le quali naturalmente anche quella italiana. Il nostro Paese, quindi, ne trarrà, anche per questa via, un beneficio.

Tutto ciò con buona pace degli euroscettici, che vorrebbero l’uscita dell’Italia dall’euro. Il ritorno alla lira comporterebbe la svalutazione immediata della nostra valuta nazionale, svalutazione che quasi nessuno immagina inferiore al 40%. Ma ci conviene una moneta così svalutata e inoltre isolata e soggetta a nuovi attacchi della speculazione internazionale?

La risposta più sensata è no. Di una svalutazione si avvantaggerebbero, sicuramente, le imprese italiane che esportano. Ma nello stesso tempo sarebbe un disastro per tutte le altre imprese italiane, quelle che non vivono di esportazioni e sono concentrate principalmente o unicamente sul mercato domestico. Queste ultime vedrebbero aumentare enormemente i costi di approvvigionamento delle materie prime (da acquistare con una moneta svalutata) e una crescita stratosferica dei costi energetici (petrolio e gas, anch’essi da acquistare con una moneta svalutata).

Per non parlare infine dei normali cittadini, in particolare quelli a reddito fisso, come operai, impiegati, insegnanti, pensionati: per loro la fortissima svalutazione comporterebbe una altrettanto fortissima – e in molti casi drammatica – diminuzione della loro capacità d’acquisto.


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