Dicono i sondaggisti (adesso imbavagliati, per decreto) che ci sarebbe un 20 per cento di elettori che decide di votare nella settimana finale della campagna elettorale. Cioè proprio in questi ultimi giorni. Rispetto per la libertà di scelta in extremis e qualche spunto di riflessione: decidere, non da soli, in modo razionale.
Città Nuova - Primo. Decidere Il voto, per la nostra Costituzione (art. 48, comma primo), è anzitutto un diritto: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età». Un diritto che non sempre tutti i cittadini hanno potuto esercitare. Al momento dell'unità d'Italia, poteva votare soltanto chi possedeva un certo reddito (il 2 per cento della popolazione); poi vennero esclusi gli analfabeti. Dal 1919 il diritto di voto fu esteso a tutti gli uomini maggiorenni. Sotto il regime fascista questo diritto venne di fatto sospeso (perché non furono indette elezioni) e soltanto nel 1946 il diritto di voto fu esteso anche alle donne.
Un diritto che, come specifica il comma successivo dell’art. 48, non può essere delegato ad altri (è personale), vale indipendentemente da chi lo esprime (è uguale), è garantito da indebite pressioni o ritorsioni (è libero e segreto).
E – tiene a precisare – che è anche un dovere civico (rientrando in quel dovere di solidarietà politica di cui parla l'art. 2). Almeno lo era, fino al 1993, allorché due leggi (la 276 e la 277) hanno riconosciuto l'astensionismo come un comportamento legittimo del cittadino, ridefinendo l'espressione del voto solo come un diritto e non più anche come un dovere. Tant’è che, da allora, nessuna sanzione è più prevista per chi non va a votare.
L’analisi politologica offre valutazioni discordanti sul fenomeno del non-voto: secondo alcuni è il sintomo di una crescente sfiducia nei confronti della politica; per altri il calo dei votanti è semplicemente collegato ad una minore passionalità politica che contraddistingue le democrazie mature, e sarebbe significativo di una maggiore razionalizzazione dell'espressione del voto.
Quali che siano i punti di vista, le analisi statistiche ci consegnano comunque dati inquietanti: l’astensionismo è andato crescendo in Italia a partire dalla fine degli anni ’70 (quando il tasso era ancora inferiore al 7 per cento) per arrivare ai nostri giorni a superare il 25 per cento.
Un elettore su quattro, oggi, sceglie di non partecipare al voto. Legittimamente. Altri, bene o male, sceglieranno comunque anche per lui. Se non vogliamo occuparci della politica, la politica in ogni caso si occuperà della nostra vita, condizionandola. Per questa ragione, a nostro avviso, è preferibile partecipare.
Secondo. Decidere non da soli Una consultazione elettorale è lo strumento democratico di selezione della classe dirigente che s’ispira al principio dell’uguaglianza dei diritti politici. Le sfide che attendono la prossima classe dirigente che uscirà dalle urne sono di portata immane, dovendo governare nel modo migliore processi complessi, non sul breve ma sul medio-lungo periodo. Occorre, dunque, che sia adeguata e competente. Con idee e progetti chiari, e soprattutto votata al bene comune.
Decidere come e per chi votare è dunque davvero importante. Da soli? Insieme ad altri? “Una testa un voto”(voto personale, libero, segreto) rimane principio cardine. Ma non si può negare che più teste che si confrontano preventivamente fra loro, in piena libertà e nel rispetto reciproco, siano più facilitate a compiere una scelta che sia frutto di un discernimento comunitario. Per i cristiani è questo il metodo suggerito dalla Dottrina sociale della chiesa; è il cammino della comunità dei credenti nel vivere sociale, dentro la storia, in cui i credenti vivono non come etnia a parte, ma mischiati come sale e lievito accanto agli altri uomini.
Non sempre, da soli, è facile intravvedere con chiarezza nelle nebbie della storia. La libertà di coscienza dei fedeli laici è meglio orientata dal discernimento comunitario nella capacità di esprimere scelte meditate, più puntualmente e orientate al bene comune.
Terzo. Decidere con razionalità Il governo che andrà in carica dopo le prossime elezioni, quale che esso sia, sarà costretto a rimangiarsi tutte le promesse fatte in campagna elettorale (prima fra tutte la riduzione del carico fiscale), perché dovrà confrontarsi con i temi che sono sul tappeto e che pesano come macigni: fiscal compact, meccanismo europeo di stabilità, recessione, disoccupazione, austerità, rilancio dell’economia, sempre con la spada di Damocle che incombe della spirale del debito e degli interessi sugli interessi. Si dovrebbe poter contare in un governo di forte maggioranza in grado di esercitare la legislatura con il largo consenso che un momento del genere richiederebbe.
Sarà possibile? Naturalmente ce lo auguriamo tutti.
Le maggioranze non si creano per sorteggio, né in modo estemporaneo. Nascono dalla volontà dei partiti in competizione, che, in questi giorni conclusivi della campagna elettorale, scatenati in un tutti-contro-tutti, sembrano più interessati alla conquista di qualche punto percentuale, piuttosto che nella prefigurazione di una coalizione di governo successiva al voto. Alimentano così sconcerto e confusione nell’elettorato, che stenta a comprendere – con lucida razionalità – quale sia veramente il ‘voto utile’, da più parti invocato. Rimane, tuttavia, fondamentale partecipare. Per decidere. Non da soli. Con razionalità.
di Marco Fatuzzo
Città Nuova - Primo. Decidere Il voto, per la nostra Costituzione (art. 48, comma primo), è anzitutto un diritto: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età». Un diritto che non sempre tutti i cittadini hanno potuto esercitare. Al momento dell'unità d'Italia, poteva votare soltanto chi possedeva un certo reddito (il 2 per cento della popolazione); poi vennero esclusi gli analfabeti. Dal 1919 il diritto di voto fu esteso a tutti gli uomini maggiorenni. Sotto il regime fascista questo diritto venne di fatto sospeso (perché non furono indette elezioni) e soltanto nel 1946 il diritto di voto fu esteso anche alle donne.
Un diritto che, come specifica il comma successivo dell’art. 48, non può essere delegato ad altri (è personale), vale indipendentemente da chi lo esprime (è uguale), è garantito da indebite pressioni o ritorsioni (è libero e segreto).
E – tiene a precisare – che è anche un dovere civico (rientrando in quel dovere di solidarietà politica di cui parla l'art. 2). Almeno lo era, fino al 1993, allorché due leggi (la 276 e la 277) hanno riconosciuto l'astensionismo come un comportamento legittimo del cittadino, ridefinendo l'espressione del voto solo come un diritto e non più anche come un dovere. Tant’è che, da allora, nessuna sanzione è più prevista per chi non va a votare.
L’analisi politologica offre valutazioni discordanti sul fenomeno del non-voto: secondo alcuni è il sintomo di una crescente sfiducia nei confronti della politica; per altri il calo dei votanti è semplicemente collegato ad una minore passionalità politica che contraddistingue le democrazie mature, e sarebbe significativo di una maggiore razionalizzazione dell'espressione del voto.
Quali che siano i punti di vista, le analisi statistiche ci consegnano comunque dati inquietanti: l’astensionismo è andato crescendo in Italia a partire dalla fine degli anni ’70 (quando il tasso era ancora inferiore al 7 per cento) per arrivare ai nostri giorni a superare il 25 per cento.
Un elettore su quattro, oggi, sceglie di non partecipare al voto. Legittimamente. Altri, bene o male, sceglieranno comunque anche per lui. Se non vogliamo occuparci della politica, la politica in ogni caso si occuperà della nostra vita, condizionandola. Per questa ragione, a nostro avviso, è preferibile partecipare.
Secondo. Decidere non da soli Una consultazione elettorale è lo strumento democratico di selezione della classe dirigente che s’ispira al principio dell’uguaglianza dei diritti politici. Le sfide che attendono la prossima classe dirigente che uscirà dalle urne sono di portata immane, dovendo governare nel modo migliore processi complessi, non sul breve ma sul medio-lungo periodo. Occorre, dunque, che sia adeguata e competente. Con idee e progetti chiari, e soprattutto votata al bene comune.
Decidere come e per chi votare è dunque davvero importante. Da soli? Insieme ad altri? “Una testa un voto”(voto personale, libero, segreto) rimane principio cardine. Ma non si può negare che più teste che si confrontano preventivamente fra loro, in piena libertà e nel rispetto reciproco, siano più facilitate a compiere una scelta che sia frutto di un discernimento comunitario. Per i cristiani è questo il metodo suggerito dalla Dottrina sociale della chiesa; è il cammino della comunità dei credenti nel vivere sociale, dentro la storia, in cui i credenti vivono non come etnia a parte, ma mischiati come sale e lievito accanto agli altri uomini.
Non sempre, da soli, è facile intravvedere con chiarezza nelle nebbie della storia. La libertà di coscienza dei fedeli laici è meglio orientata dal discernimento comunitario nella capacità di esprimere scelte meditate, più puntualmente e orientate al bene comune.
Terzo. Decidere con razionalità Il governo che andrà in carica dopo le prossime elezioni, quale che esso sia, sarà costretto a rimangiarsi tutte le promesse fatte in campagna elettorale (prima fra tutte la riduzione del carico fiscale), perché dovrà confrontarsi con i temi che sono sul tappeto e che pesano come macigni: fiscal compact, meccanismo europeo di stabilità, recessione, disoccupazione, austerità, rilancio dell’economia, sempre con la spada di Damocle che incombe della spirale del debito e degli interessi sugli interessi. Si dovrebbe poter contare in un governo di forte maggioranza in grado di esercitare la legislatura con il largo consenso che un momento del genere richiederebbe.
Sarà possibile? Naturalmente ce lo auguriamo tutti.
Le maggioranze non si creano per sorteggio, né in modo estemporaneo. Nascono dalla volontà dei partiti in competizione, che, in questi giorni conclusivi della campagna elettorale, scatenati in un tutti-contro-tutti, sembrano più interessati alla conquista di qualche punto percentuale, piuttosto che nella prefigurazione di una coalizione di governo successiva al voto. Alimentano così sconcerto e confusione nell’elettorato, che stenta a comprendere – con lucida razionalità – quale sia veramente il ‘voto utile’, da più parti invocato. Rimane, tuttavia, fondamentale partecipare. Per decidere. Non da soli. Con razionalità.
di Marco Fatuzzo
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