giovedì, marzo 28, 2013
Convegno della Pastorale Migratoria nelle Grandi Città d'Europa.

Clandestini, illegali, undocumented, sans-papiers, indocumentados, irregolari: molti sono gli aggettivi che nelle varie lingue europee indicano gli immigrati senza permesso di soggiorno. Nei 27 paesi dell'Unione Europea si stima che la popolazione irregolare totale sia compresa tra i 2 e i 4 milioni di persone. Su questa problematica si è soffermato l’incontro annuale dei responsabili della Pastorale Migratoria nelle Grandi Città d’Europa: “Ero senza documenti e mi avete accolto. L’accompagnamento pastorale e la sensibilizzazione della comunità”, che si è svolto a Torino. Dal punto di vista politico, vi sono approcci diversi alle migrazioni irregolari: alcuni stati hanno fatto più volte ricorso a regolarizzazioni (Italia, Spagna), altri hanno cercato di ignorare il problema escludendo a priori forme collettive di sanatoria (Germania, Svizzera, Austria). Ovunque, tuttavia, emerge la tendenza ad una sempre maggiore chiusura e repressione. I migranti sono percepiti dall’opinione pubblica come un pericolo per la sicurezza e per il benessere delle popolazioni locali. Ciò è dovuto soprattutto al modo in cui i media e il dibattito politico li rappresentano, enfatizzando in maniera esagerata e unilaterale il tema della criminalità. L’antropologa culturale Cristina Molfetta e il giornalista Giorgio Morbello hanno descritto il “caso Italia”, in cui una politica migratoria quasi inesistente ha fatto sì che l'immigrazione sia stata negli ultimi decenni, in gran parte, immigrazione irregolare, "governata" praticamente solo dalle esigenze del mercato del lavoro più che da una gestione efficace e lungimirante del fenomeno. In anni recenti la presenza dei migranti è stata strumentalizzata politicamente per diffondere paure e raccogliere consensi elettorali, introducendo poi inutili misure punitive nei confronti degli irregolari – come il reato di clandestinità –, che di fatto si rivelano inadatte a risolvere la questione e, spesso, sono lesive della dignità umana. Sebbene l'Italia possa essere considerata un caso estremo, forme simili di "politica simbolica" si riscontrano anche in altri paesi europei.

Come hanno testimoniato i partecipanti all’incontro, già da decenni la chiesa cattolica in Europa accompagna il difficile cammino dei sans-papiers attraverso associazioni caritative, strutture ecclesiali, comunità cristiane, istituti religiosi. Pur riconoscendo la complessità dei fenomeni migratori e il diritto degli stati a controllare le loro frontiere, la chiesa afferma che i migranti irregolari godono dei diritti umani fondamentali. Il principio ispiratore dell’azione ecclesiale è il comandamento evangelico dell’amore al prossimo, che non conosce confini di nazionalità, lingua, religione, status giuridico. Nei diversi paesi europei la chiesa s'impegna anche sul fronte dell'assistenza giuridica così come nella sensibilizzazione delle autorità e delle popolazioni locali, ricordando che senza una politica internazionale efficace, volta a superare i conflitti armati e gli squilibri economici, vi sarà sempre emigrazione forzata e irregolare.

Di fronte ai volti e alle storie delle persone, i singoli cristiani e le comunità sono interpellate "all'accoglienza e oltre", come ha affermato il teologo Gioacchino Campese, missionario scalabriniano, intervenuto a Torino. Le strutture di assistenza potrebbero ridursi a luoghi in cui si offre un servizio ai migranti, ma non li si riconosce come persone, come "amici" con cui condividere anche un'esperienza di fede e di arricchimento reciproco. Campese sottolineava che fondamento di un'autentica accoglienza è la comprensione trinitaria di Dio: "La Trinità è comunione nella diversità, che si espande a tutta l’umanità ed è quindi comunione-in-missione". Tale missione consiste nell'accogliere l’umanità (e la chiesa) nella vita stessa di Dio e farla convivere nel mistero della sua bontà infinita: "La chiesa, nata e accolta nella Trinità, è chiamata a estendere questa accoglienza a tutto il creato".

Perciò, compito della chiesa è anche formare i cristiani ad una spiritualità di comunione: l'esperienza del Dio accogliente si trasforma nella pratica quotidiana dell’accoglienza degli altri secondo i diversi contesti in cui ci si trova a vivere. Il “fare per” i migranti deve essere conseguenza di un “essere con” che è primario e significa creare uguaglianza, relazioni, amicizia alla pari, in cui gli uni possono diventare maestri per gli altri, in uno scambio vicendevole.

Per contrastare il clima di paura e di rifiuto, fondamentale è la creazione di luoghi e di occasioni di incontro tra le diversità. In tal modo le nostre comunità possono diventare spazio dove si sperimenta la convivenza e ognuno può dare voce alla propria storia e originalità, facendosi dono per gli altri.

Luisa Deponti/CSERPE

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