mercoledì, febbraio 20, 2013
La Fede come adesione cosciente, libera e appassionata e l’incontro dell’uomo con il limite. Su questi due grandi temi si sono sviluppate le meditazioni di oggi del cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, incaricato di predicare gli Esercizi spirituali alla presenza del Papa e della Curia Romana. Ce ne parla Benedetta Capelli: ascolta

Radio Vaticana - E’ sul Salmo 30 che si concentra la prima meditazione del cardinale Gianfranco Ravasi. Salmo brevissimo, “una sorta di simbolo – precisa il porporato - di una spiritualità dell’infanzia” e nel quale trovare le peculiarità del credente, colui che “ha in pienezza la sua fedeltà a Dio”. Salmo però che si apre proprio con l’antipodo della fede:
“La superbia, l’orgoglio, l’autosufficienza assoluta, il collocarsi nella stessa posizione di Dio. È il peccato originale: ‘Sarete come Dio, conoscitori del bene e del male’, cioè arbitri della morale; ed è ciò che l’uomo nella sua libertà tenterà di fare”

Libertà, l’altra parola chiave per il cristiano. Ed è nell’immagine del “bambino svezzato”, tipica della simbologia orientale, che il salmista celebra una fede che è adesione e allo stesso tempo scelta. Un bimbo ormai già grande, non più imboccato dalla madre che lo nutre, ma staccato attraverso un atto di amore e libertà:

“La fede che è adesione, ma adesione cosciente, adesione libera, adesione intensa, appassionata. Indubbiamente, non per nulla, si ripete due volte ‘come un bimbo svezzato’ e l’ultimo versetto poi è l’invito a tutto Israele a sperare, quindi ad avere fiducia nel Signore. Dobbiamo imparare anche noi dalla grande storia della spiritualità, dobbiamo impararla soprattutto noi, quando siamo arrivati magari ad un livello di responsabilità, di dignità anche nell’interno della Chiesa, oppure a funzioni di un certo rilievo, da cui dipendono, tante volte, anche scelte che riguardano le persone. Probabilmente la tentazione si ramifica in noi, lieve e sottile, la tentazione di essere quelli che guardano dall’alto”.

Ed è nel restare bambini che si connota la fede: l’essere piccola di Santa Teresa di Lisieux – ricorda il cardinale Ravasi – ma è tutto l’insegnamento di Gesù che si sviluppa in questo senso. Bambini dai quali imparare sì la purezza ma soprattutto la fiducia:

“Loro mettono la mano con fiducia nell’adulto; è questo il grande dramma. La vergogna della pedofilia è anche lì, perché il bambino, di sua fiducia, spontaneamente si abbandona all’adulto, al padre. Spontaneamente mette la sua manina in quella dell’altro, ma è interessante anche scoprire proprio il suo perché. Lui ha una visione - come ben sappiamo - simbolica della realtà, non analitica, per cui riesce ad intuire di più certe verità. Ed è per questo che stare certe volte ad ascoltarli è veramente, anche per noi, una lezione perché ti riportano le cose essenziali, ti pongono quei famosi perché ai quali non sappiamo come rispondere e che pure sono perché importanti. Quindi anche dal punto di vista umano è importante scoprire, seguire, ascoltare questa infanzia, ma lo è soprattutto, dalla limpidità interiore della Fede, della fiducia, dell’abbandono”.

Nella seconda meditazione, il cardinale Ravasi si è soffermato sull’uomo creatura fragile, provato dal male di vivere, angosciato, che sperimenta il limite e la finitudine della sua persona. “Ombra”, “soffio” – si prega nel Salmo 39 - e grido per chiedere “la misura dei giorni”. Parole dure e di grande attualità in un mondo dove vige un’atmosfera superficiale, una sorta di “narcosi che elimina le grandi domande”:

“Pensiamo soltanto alla televisione, che è la vera e grande Moloch all’interno delle case. Ormai sappiamo tutto sulle mode, su ciò che dobbiamo mangiare, vestire, scegliere ecc, ma non abbiamo più - tante volte - una voce che ci indica la rotta e quindi il senso di questa vita soprattutto quando questa è così fragile, così misera. Ecco perché è importante ritornare ancora ai grandi temi. Avere il coraggio di proporre le grandi riflessioni, credo sia uno dei grandi problemi dei giovani di oggi che non riescono più a trovare risposte di senso e allora si abbandonano a questo flusso che è la deriva della società contemporanea”.

Dunque avere il senso del limite per superare la superficialità, ma il cardinale Ravasi sottolinea pure la necessità di tornare alla “preghiera povera, nuda, semplice” e invita ad interrogarsi sulla sofferenza con “parole non solo consolatorie, di seconda mano e fredde”. Colui che soffre, toccando da vicino il senso del limite, scopre di essere in crisi:

“Alcuni che non erano credenti, forse cominciano a lanciare un grido. Esiste, quindi, una sorta di ‘paideia’, anche di pedagogia che viene realizzata nel dolore. Però, ed è questo il tema sul quale poi dovremo ancora ritornare, alla fine il dolore è un elemento di crisi profonda: ci mette in crisi con il mondo e ci mette in crisi con Dio”.

Ma – conclude il porporato – nonostante le tenebre, l’esperienza cristiana apre sempre ad un orizzonte di luce per cui il buio non ha mai l’ultima parola.

Ieri la meditazione del cardinale Ravasi aveva riguardato l’uomo e lo sguardo di Dio su di lui. La creatura umana – aveva sottolineato il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura – diventa “il luogo in cui intercettare la presenza di Dio”, già nell’embrione Dio vede “gli splendori e le miserie”. Compito dell’uomo che ha “un’alleanza con Dio” è “rappresentare il suo Signore”.


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