Cronaca di un Palmarès annunciato. Il 63.mo Festival di Berlino si conclude con l’annuncio e la consegna dei premi, che quest’anno – stante il ridotto numero di opere di qualità in concorso – non ha fatto che fotografare l’esistente.
Radio Vaticana - I premi assegnati, sia quelli della giuria ecumenica o quelli della giuria internazionale, rispecchiano i giudizi della critica. Al di là di una valutazione che concerne la gerarchia dei premi, i film che hanno ottenuto dei riconoscimenti sono sicuramente i migliori di questa edizione. "Gloria" del cileno Sebastian Leilo, ritratto agrodolce di una cinquantenne separata in cerca d’amore, ha convinto i membri della giuria ecumenica che lo hanno premiato “per avere ricordato, in modo gradevole e contagioso, che la vita è una celebrazione cui tutti sono invitati, al di là della loro età o condizione sociale, e che la sua complessità è soltanto una sfida ulteriore a viverla pienamente". Ma anche la giuria internazionale ha voluto riconoscere i pregi di questo film assegnando alla sua protagonista, Paulina Garcia, il premio per la migliore attrice. Le strade delle due giurie si sono incrociate anche su un altro titolo del Concorso, "An episode in the life of an iron picker" del bosniaco Danis Tanovic, odissea disperata di una famiglia gitana alla ricerca di un’ospedale che salvi una vita. Gran premio della giuria internazionale e Premio per il miglior attore, il film ha ottenuto anche una menzione speciale dalla giuria ecumenica “per aver messo in luce persone spesso invisibili, descrivendo la loro dignità, la loro sopportazione, la loro invicibile volontà di vivere”.
Il Palmarès del Festival di Berlino è completato dal Premio Alfred Bauer a "Vic+Flo ont vu un ours" del canadese Denis Côté, dal premio per la miglior regia all’americano David Gordon Green, autore di "Prince Avalanche", e dal premio per la miglior sceneggiatura andato a Jafar Panahi, cineasta iraniano agli arresti domicilari nel suo Paese, per il film "Pardé". Ed è soprattutto completato dal suo premio principale, l’Orso d’oro andato a "Child’s pose" di Calin Peter Netzer, storia dello smisurato amore di una madre verso il proprio figlio e al contempo ritratto amaro e feroce dell’alta borghesia romena, un film che riflette lo spirito dei tempi e soprattutto riconferma la grande vitalità del cinema romeno contemporaneo. La fine di un festival è sempre triste. Le sale e le strade della Berlinale si svuotano, restano i sogni e i sentimenti, che i film, belli o brutti che siano, hanno dispensato per dieci giorni. La vita continua. Il cinema anche. (Da Berlino, Luciano Barisone) RealAudioMP3
Il Palmarès del Festival di Berlino è completato dal Premio Alfred Bauer a "Vic+Flo ont vu un ours" del canadese Denis Côté, dal premio per la miglior regia all’americano David Gordon Green, autore di "Prince Avalanche", e dal premio per la miglior sceneggiatura andato a Jafar Panahi, cineasta iraniano agli arresti domicilari nel suo Paese, per il film "Pardé". Ed è soprattutto completato dal suo premio principale, l’Orso d’oro andato a "Child’s pose" di Calin Peter Netzer, storia dello smisurato amore di una madre verso il proprio figlio e al contempo ritratto amaro e feroce dell’alta borghesia romena, un film che riflette lo spirito dei tempi e soprattutto riconferma la grande vitalità del cinema romeno contemporaneo. La fine di un festival è sempre triste. Le sale e le strade della Berlinale si svuotano, restano i sogni e i sentimenti, che i film, belli o brutti che siano, hanno dispensato per dieci giorni. La vita continua. Il cinema anche. (Da Berlino, Luciano Barisone) RealAudioMP3
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