Schiaffo del comico a Bersani: “È un morto che parla”. Bersani: “Venga a insultarmi in Parlamento”
di Paolo Di Mizio
“Bersani è un morto che parla” è stata l’irridente reazione di Grillo all’offerta di dialogo che il leader del PD aveva rivolto martedì, nella sua prima conferenza stampa dopo il voto, al comico genovese divenuto “garante politico” di 8 milioni di italiani. “Bersani è uno stalker politico, da giorni sta importunando il Movimento 5 Stelle” rincara la dose Grillo sul suo blog, incurante del fatto che molti grillini sullo stesso blog protestino per quello schiaffo in faccia al leader del PD, un gesto deciso senza consultare nessuno, tantomeno i suoi eletti alla Camera e al Senato: una decisione – come dice un grillino – che rischia di “riconsegnare il Paese a Berlusconi e al Bunga Bunga”. Un altro grillino scrive: “Bersani ha fatto bene a reagire agli insulti, questi toni non ci porteranno da nessuna parte”.
Bersani infatti aveva replicato con un breve comunicato: “Quel che Grillo ha da dirmi, insulti compresi, lo voglio sentire in Parlamento. E lì ciascuno si assumerà le sue responsabilità”. Frasi che nascondono un pizzico di veleno: fanno notare, senza dirlo, che in Parlamento Grillo non ci sarà (non era candidato) e quindi lascia intravedere una seppur lontana ipotesi di divaricazione tra la linea del Grillo-blog e la linea del Grillo-partito, che potrebbe essere decisa dalla numerosa pattuglia di senatori e deputati delle 5 Stelle con parziale indipendenza dai voleri del comico.
Ma al di là di queste considerazioni, del tutto premature e sulle quali non si può certo far conto allo stato delle cose, si può tuttavia osservare che le dichiarazioni di Grillo sembrano già tradire un leader in preda al delirio di onnipotenza. È la tipica sindrome da successo plebiscitario. C’è da augurarsi che gli passi presto, come un raffreddore momentaneo. E che la concretezza e la ragionevolezza prevalgano.
Il primo dato che Grillo dovrebbe esaminare – e siamo sicuri che l’abbia già fatto, ma non siamo sicuri che ne abbia capito la portata – è che nel nuovo Parlamento il PD ha una grande maggioranza di seggi alla Camera ma non l’ha al Senato, se non coalizzando le forze o con Grillo o con Berlusconi. Questa seconda ipotesi è molto remota, perché, se il PD scendesse a patti con Berlusconi rischierebbe di liquefarsi completamente alle prossime elezioni. Rimane la prima ipotesi, che finisce per concedere a Grillo potere d’interdizione su tutte le leggi e i provvedimenti del parlamento, in quanto, per la nostra architettura costituzionale, le leggi devono essere approvate sia dalla Camera sia dal Senato.
A questo punto il comico-che-volle-farsi-politico ha oggi due strade davanti a sé. La prima: può appoggiare, insieme al PD, poche e fondamentali riforme, attese da tutto il popolo italiano. In primis le riforme contro "la casta": vale a dire, riduzione dei deputati e dei senatori, riduzione dei loro compensi, riduzione o abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, abolizione dell'immunità parlamentare, legge sul conflitto d'interessi, ecc. Ma anche riforme economiche, per esempio in materia di pensioni, tasse e cuneo fiscale per aziende e lavoratori, oltre che provvedimenti per mantenere la spesa e il debito pubblico in linea con gli accordi europei.
Oppure – questa la seconda via di Grillo – può sbarrare la strada a tutte le proposte, rendere l'Italia ingovernabile e trascinare rapidamente il Paese alla rovina.
Nel primo caso sarà ricordato come un eroe, come l'uomo che rinnovò la politica e lo Stato, in definitiva come il padre della Terza Repubblica. Nel secondo caso sarà ricordato solo come un tragico clown, un populista e un demagogo che ha ingannato otto milioni di italiani con una beffa di cui non si era mai visto l'eguale nemmeno nei Paesi dell'America latina.
Potremmo dire, imitando il suo linguaggio da avanspettacolo: “Vieni avanti, Grillo, facci vedere che sai fare”.
di Paolo Di Mizio
“Bersani è un morto che parla” è stata l’irridente reazione di Grillo all’offerta di dialogo che il leader del PD aveva rivolto martedì, nella sua prima conferenza stampa dopo il voto, al comico genovese divenuto “garante politico” di 8 milioni di italiani. “Bersani è uno stalker politico, da giorni sta importunando il Movimento 5 Stelle” rincara la dose Grillo sul suo blog, incurante del fatto che molti grillini sullo stesso blog protestino per quello schiaffo in faccia al leader del PD, un gesto deciso senza consultare nessuno, tantomeno i suoi eletti alla Camera e al Senato: una decisione – come dice un grillino – che rischia di “riconsegnare il Paese a Berlusconi e al Bunga Bunga”. Un altro grillino scrive: “Bersani ha fatto bene a reagire agli insulti, questi toni non ci porteranno da nessuna parte”.
Bersani infatti aveva replicato con un breve comunicato: “Quel che Grillo ha da dirmi, insulti compresi, lo voglio sentire in Parlamento. E lì ciascuno si assumerà le sue responsabilità”. Frasi che nascondono un pizzico di veleno: fanno notare, senza dirlo, che in Parlamento Grillo non ci sarà (non era candidato) e quindi lascia intravedere una seppur lontana ipotesi di divaricazione tra la linea del Grillo-blog e la linea del Grillo-partito, che potrebbe essere decisa dalla numerosa pattuglia di senatori e deputati delle 5 Stelle con parziale indipendenza dai voleri del comico.
Ma al di là di queste considerazioni, del tutto premature e sulle quali non si può certo far conto allo stato delle cose, si può tuttavia osservare che le dichiarazioni di Grillo sembrano già tradire un leader in preda al delirio di onnipotenza. È la tipica sindrome da successo plebiscitario. C’è da augurarsi che gli passi presto, come un raffreddore momentaneo. E che la concretezza e la ragionevolezza prevalgano.
Il primo dato che Grillo dovrebbe esaminare – e siamo sicuri che l’abbia già fatto, ma non siamo sicuri che ne abbia capito la portata – è che nel nuovo Parlamento il PD ha una grande maggioranza di seggi alla Camera ma non l’ha al Senato, se non coalizzando le forze o con Grillo o con Berlusconi. Questa seconda ipotesi è molto remota, perché, se il PD scendesse a patti con Berlusconi rischierebbe di liquefarsi completamente alle prossime elezioni. Rimane la prima ipotesi, che finisce per concedere a Grillo potere d’interdizione su tutte le leggi e i provvedimenti del parlamento, in quanto, per la nostra architettura costituzionale, le leggi devono essere approvate sia dalla Camera sia dal Senato.
A questo punto il comico-che-volle-farsi-politico ha oggi due strade davanti a sé. La prima: può appoggiare, insieme al PD, poche e fondamentali riforme, attese da tutto il popolo italiano. In primis le riforme contro "la casta": vale a dire, riduzione dei deputati e dei senatori, riduzione dei loro compensi, riduzione o abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, abolizione dell'immunità parlamentare, legge sul conflitto d'interessi, ecc. Ma anche riforme economiche, per esempio in materia di pensioni, tasse e cuneo fiscale per aziende e lavoratori, oltre che provvedimenti per mantenere la spesa e il debito pubblico in linea con gli accordi europei.
Oppure – questa la seconda via di Grillo – può sbarrare la strada a tutte le proposte, rendere l'Italia ingovernabile e trascinare rapidamente il Paese alla rovina.
Nel primo caso sarà ricordato come un eroe, come l'uomo che rinnovò la politica e lo Stato, in definitiva come il padre della Terza Repubblica. Nel secondo caso sarà ricordato solo come un tragico clown, un populista e un demagogo che ha ingannato otto milioni di italiani con una beffa di cui non si era mai visto l'eguale nemmeno nei Paesi dell'America latina.
Potremmo dire, imitando il suo linguaggio da avanspettacolo: “Vieni avanti, Grillo, facci vedere che sai fare”.
Tweet |
È presente 1 commento
Speriamo prevalga la prima ipotesi.
Inserisci un commento
Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.