giovedì, febbraio 28, 2013
Il Movimento 5 Stelle rappresenta una novità nell’arena politica ed elettorale italiana, ma anche un fenomeno di indubbio interesse sul piano dell’analisi sociale.

Radio Vaticana - Così il Censis, nei giorni scorsi, aveva spiegato l’indagine realizzata su un campione di partecipanti alla manifestazione conclusiva della campagna elettorale di Grillo, in piazza San Giovanni a Roma, il 22 febbraio scorso. Ne era emerso soprattutto che la maggior parte dei partecipanti alla manifestazione fosse intenzionata a votare M5S. I risultati lo hanno poi dimostrato: sono 162, tra deputati e senatori, i ‘grillini’ che entrano in Parlamento, molti under 30, provenienti dalla provincia, e senza essere politici di professione. Francesca Sabatinelli ha intervistato Giuseppe Roma, direttore generale del Censis: ascolta


R. - Certamente è un personale politico molto particolare: è più da associazione volontaria che non da organizzazione politica. Sono persone che vengono dalla vita comune, sono ceti medi, che hanno fatto la loro esperienza politica più in rete che non nell’attività ordinaria di relazione, di intervento nelle istituzioni locali e così via. Quindi, è una novità assoluta: è una specie di catapulta, che ha portato sotto i riflettori della vita politica nazionale, un personale assolutamente nuovo. Fra l’altro, il leader non è con loro e in parlamento si dovrà poi capire a chi far riferimento, perché è chiaro che il parlamento poi per funzionare ha bisogno anche di mediazioni, di gruppi, di organizzazione. Quindi è un’esperienza completamente nuova non soltanto sul piano politico - e sappiamo le difficoltà che ci sono a creare una maggioranza - ma io direi anche sul piano quasi antropologico di rapporto tra le persone.

D. - E’ chiaro che il voto ha manifestato una forte insofferenza nei confronti della politica: di fatto gli italiani erano stanchi, stanchi soprattutto anche del discutibile trascorso politico dei rappresentanti dei cittadini. Ci saranno dei rischi legati anche al fatto che c’è tutta questa nuova classe politica totalmente inesperta…

R. - Certo. Le istituzioni, per quanto possono anche essere criticabili o non funzionali al massimo, hanno però una loro dignità e anche una loro consistenza, che si fonda sulla Carta Costituzionale, sulle regole parlamentari. Quindi, per quanto sia giusta io credo la protesta dei cittadini nei confronti della politica, credo anche che le istituzioni debbano mantenere anche una loro formalità. Si parla molto, soprattutto nel Movimento 5 Stelle, di trasparenza: questa la trova una cosa straordinaria e una cosa giusta. Il vero problema, però, è che il parlamento ha dimostrato di poter fare alcuni provvedimenti a tambur battente - ha persino cambiato la Costituzione, mettendo il fiscal compact in poco tempo - ma non è riuscito a fare, invece, cose molto banali, come ridurre lo stipendio dei parlamentari o il loro numero. Questo ha naturalmente provocato una reazione. Oggi, però, direi che la campagna elettorale è finita, che la dimensione di opinione pubblica ormai ha dato il suo responso: adesso ci troviamo, però, un po’ in mezzo ai guai, perché - come sempre - dove casca l’asino della democrazia italiana è nel gestirla, è nel governarla, è nel dare una risposta attraverso provvedimenti concreti. E’ lì che si dovrà misurare anche questa corrente e questo cambiamento: se poi non fossero in grado anche coloro che oggi risultano vincenti di modificare le cose, è chiaro che passeremmo dalla protesta e dalla rabbia ad una situazione di caos veramente preoccupante! Siamo al momento in cui servono le azioni vere e concrete e questo su tutto: sulla politica, ma sappiamo anche molto di più sulle condizioni del Paese. Io penso che fra breve si spegneranno le luci dal palcoscenico e si starà tutti in camerino a cercare di dare soluzioni concrete a problemi concreti. Bisogna far uscire l’Italia dalla palude! Questo è il punto in cui siamo oggi: quindi bene quello che è stato, la denuncia a tutti i livelli, però adesso ognuno deve prrendersi un po’ di responsabilità, altrimenti il gioco non funziona. La critica è indispensabile: la discontinuità c’è stata, ma adesso è il momento della responsabilità! Bisogna avere capacità, competenza e in questo modo l’Italia potrà uscirne.

D. - Competenza: questa, forse, al parlamento nuovo mancherà?

R. - Sì, il parlamento dovrà rapidamente dismettere le brutte pratiche del passato, ma imparare anche un mestiere, che non è un mestiere semplice. Speriamo che ci sia una guida che possa essere complementare alla passione di tanti giovani, che oggi arrivano al massimo livello della rappresentanza democratica.

Ma come avevano votato nel 2008 gli attuali elettori del M5S? Qual è l’origine partitica di questo voto? L’Istituto Cattaneo di Bologna ha elaborato uno studio condotto in nove città italiane, da Torino a Catania, proprio sui cosiddetti “flussi elettorali”. Francesca Sabatinelli ha intervistato Piergiorgio Corbetta, direttore di ricerca dell’Istituto Cataneo e docente di sociologia generale all’Università di Bologna: ascolta


R. – Il principale tributario del Movimento 5 stelle è stato il partito democratico, il secondo contributo più importante è venuto dalla Lega, specialmente nelle regioni cosiddette “bianche” del Veneto. Il terzo partito a contribuire è stato l’Italia dei Valori. Allora, su Lega e Italia dei Valori si può capire, nel senso che sono due partiti che hanno sempre un po’ cavalcato l’onda della protesta anti-establishment politico: questo era nel dna iniziale della Lega, la Lega della “Roma ladrona”, era nel dna iniziale di Di Pietro, tangentopoli. Questo elettorato, allora insoddisfatto nei confronti del sistema partitico, adesso è confluito nella protesta più organizzata e più strutturata, antipartitica, che è quella del Movimento 5 stelle. Il discorso è più complicato se si va ai due movimenti principali, al Partito democratico e al Pdl. In effetti, dai nostri dati risulta che il Partito democratico ha contribuito in maniera notevole, ha avuto una emorragia di voti verso il Movimento 5 stelle; mentre invece il Pdl è stato molto meno svantaggiato da questa nuova formazione politica. Il Movimento 5 stelle ha inciso solo marginalmente sull’elettorato del Pdl.

D. – E i voti del tradizionale elettorato del Pdl dove sono confluiti?

R. – Il Pdl ha avuto una emorragia di voti molto superiore a quella del Pd perché il Pdl, come dimostrano i nostri studi, ha perso 6 milioni e trecentomila voti che aveva nel 2008, mentre il Pd, dei voti che aveva allora, ne ha persi la metà, ne ha persi tre milioni. Dove sono finiti i voti del Pdl? Sono in parte andati, specialmente nel centro-nord, verso la scelta civica di Monti. Può sembrare sorprendente perché quando Monti decise di scendere, o come lui disse, di “salire” in politica, furono molti i timori dentro al Pd, in quanto si temeva che avrebbe sottratto voti specialmente nell’elettorato cosiddetto “liberal”. Abbiamo tutti in mente, per esempio, la scelta di Pietro Ichino. Invece questo non è successo. Nel bacino elettorale, nel voto per Monti, sono finiti molti elettori che avevano votato Pdl. Il secondo ambito di perdita del Pdl è stato l’astensione, soprattutto nel sud. Questo è un discorso vecchio. Noi avevamo già fatto studi sulle elezioni europee del 2009 e sulle regionali del 2010, nel confronto con le politiche del 2008, e già allora emergeva questo problema di forte debolezza del Pdl nelle regioni del sud nei confronti dell’astensione.


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