mercoledì, febbraio 27, 2013
Altri due nuovi round negoziali a partire da metà marzo.

Radio Vaticana - Il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, si è detta fiduciosa di una “risposta positiva” da parte della Repubblica islamica che, dal canto suo, ha parlato di incontri “utili” in vista di “risultati tangibili”. Commenti lusinghieri anche da Russia e Cina. Gli Stati Uniti hanno smentito possibili attenuazioni delle sanzioni economiche. Il primo incontro, a carattere preparatorio, si terrà ad Istanbul, in Turchia. Il secondo, a livello diplomatico-politico, è in programma i primi di aprile in Kazakhstan. Ma qual è il valore del risultato odierno? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Riccardo Redaelli docente di Storia e Istituzioni del mondo islamico all’Università Cattolica di Milano:

R. – Il valore sta innanzitutto nel fatto che il processo continua, nel senso che non si interrompe, si decide di ritrovarsi, di sdoppiare – sia a livello tecnico, sia a livello politico – le discussioni. Temo, però, che l’interesse finisca qui, nel senso che negli ultimi dieci anni si sono tenuti un numero infinito di incontri, colloqui, negoziati politici, tecnici, misti e non si è mai arrivati ad un accordo. Si rischiava un’ulteriore interruzione che avrebbe favorito un’azione militare dura, magari da parte americana o da parte israeliana, e questo mantiene il filo dei negoziati e dei colloqui. Ormai, da quanto si capisce, le trattative vertono su punti ben chiari da entrambe le parti. E' evidente che prima o poi bisognerà trovare una soluzione o rinunciare a trovarla. 

D. – Cosa serve per sbloccare questa situazione? 

R. – Serve soprattutto che l’Iran accetti di sospendere l’arricchimento al 20% e chiarisca una volta per tutte cosa voglia farne con questo tipo di arricchimento. Da parte occidentale, servirebbe forse un po’ più di capacità di comprendere le percezioni dell’insicurezza iraniane, una maggiore flessibilità. In questi ultimi dieci anni di negoziati – sono iniziati nel 2003 – sono stati fatti errori da entrambe le parti. Ma è chiaro che ora, in questa situazione, sta all’Iran fare il primo passo e fare un passo che risulti concreto. Da parte nostra, dobbiamo mettere l’élite politica di Teheran in condizione di poterlo fare e non spingerla nell’angolo, continuare a minacciarla e continuare a chiedere sempre, aggiungere ulteriori richieste. 

D. – Basterebbe la promessa di attenuare le sanzioni da parte del 5+1? 

R. – Io credo di no e credo pure che occorrano delle rassicurazioni maggiori e ritengo che l’Iran voglia qualcosa di più. E’ certo che le sanzioni colpiscono anche se non in modo tale da distruggere il regime. Provocano però gravi disagi, conseguenze soprattutto alla popolazione e ai settori produttivi iraniani. Mi sembra che l’Iran, tutto sommato, voglia uscire da questa strettoia, da questo "cul de sac" in cui si è infilato da solo, ma non a tutti i costi: non a costo di "inginocchiarsi" di fronte alle potenze internazionali. Quello che serve, quindi, è far capire all’Iran, e farlo capire chiaramente, che noi non accettiamo soluzioni pasticciate, ma allo stesso tempo non vogliamo la distruzione della Repubblica islamica dell’Iran e non inseguiamo un regime change, cosa che invece soprattutto il Congresso americano continua a voler fare. 

D. – La Russia, in queste ore, ha definito positivamente il round negoziale. Quindi, come valutare questo atteggiamento da parte di Mosca? 

R. – La Russia s è mostrata conciliante verso l’Iran e cerca sempre di evitare che il filo delle trattative si spezzi, assieme alla Cina, anche. Il ruolo che può giocare la Russia è positivo ma, tutto sommato, limitato, nel senso che anche in passato non sono mai stati in grado di spingere Teheran ad un accordo, anche quando l’accordo sarebbe stato molto più favorevole. Non dimentichiamoci che Teheran, nel 2009, ha gettato al vento, ha rifiutato un accordo avanzato dall’Occidente che era estremamente più favorevole delle condizioni attuali. E gli errori – ahimé! – nella storia si pagano.

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