Michele Di Francesco, filosofo della scienza, ospite al Meeting filosofico di Rimini dello scorso agosto, asserisce che l’Infinito concretamente esiste, dato che, pur noi non vedendolo, la nostra mente sempre ne va alla ricerca.
Uccr - Il Meeting parlava dell’Io che è in rapporto con l’Infinito, e del fatto che, attraverso il contributo delle neuroscienze, possono essere aperti nuovi spazi di pensiero sul rapporto mente-Infinito. Che sia proprio l’Io l’anello di congiunzione tra la nostra mente finita e l’Infinito? E com’è possibile che la nostra mente, grazie al fatto di esprimersi con un Io definito, concepisca qualcosa come l’Infinito e lo ricerchi? La mente contiene l’Infinito, e lo manifesta attraverso l’arte e la scienza principalmente. Ma, aggiunge Di Francesco riferendosi a chi ha la fede, anche attraverso la carne, di per sé finita. Dio, infinito, si esprime e si contiene (“si svuota” direbbe San Paolo) facendosi uomo, in Cristo. Di certo, la mente non può parlare dell’Infinito con un unico discorso, che sia artistico, scientifico o religioso: nessuno di questi ambiti è sufficiente, né può escludere gli altri. Devono integrarsi insieme. Ma conciliare l’empirico con il razionale, l’esperienza con la verità, la teologia con la scienza, non è facile.
Se il punto d’arrivo dell’Io è l’Infinito, allora – si chiede Di Francesco – il punto di partenza dell’Io qual è? Bisogna vedere i costituenti dell’Io, e quindi della nostra mente e della nostra intelligenza – risponde. Ma sorgono altre domande. L’intelligenza è frutto solo dei suoi costituenti minimi? Non si perde, ritenendo così, l’unità della persona? Se una persona rimane la stessa nel tempo nonostante i suoi cambiamenti fisici e psicologici, si può mai teorizzare che l’unità della nostra mente sia un’illusione?
I dati della scienza possono essere usati per fare riduzionismo, o peggio ancora eliminativismo (forme di pensiero che ritengono che gli enti, le metodologie e i concetti di qualunque scienza debbano essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti e le teorie di tale scienza), quando invece bisogna conciliarli con una concezione ontologica dell’unità della persona. La mente è una – ci dice Di Francesco – ma può essere studiata a diversi livelli, ognuno solido e valido tanto quanto gli altri. E’ “cooperazione” – assicura – la parola-chiave per comprendere la complessità dell’Io nei suoi aspetti, quella complessità che ci fa aspirare all’Infinito. C’è cooperazione tra un “sé” e i diversi fattori biologici, nell’interazione tra diversi livelli (fisico, psicologico, spirituale), e tutto ciò avviene nell’unità ontologica di un “Io”.
Come fa il cervello biologico, limitato e limitante, attraverso estensioni quali la matematica e l’arte, la filosofia e il linguaggio, a pensare l’infinito? In questo le neuroscienze danno un contributo enorme, che teologi e filosofi non possono e non devono ignorare, se non vogliono commettere lo stesso errore dei riduzionisti e dei loro epigoni estremisti, gli eliminatisti. La filosofia non può arrivare a dare conclusioni a queste tematiche, che però non devono essere messe da parte. E qua entra in gioco la fede, che non è in conflitto ma interagisce con la razionalità. Il concetto di anima, e di divino, può spiegare l’unità dell’Io tra tutti questi elementi, senza però eliminare i contributi delle neuroscienze e delle altre discipline. Da Freud in poi nessuno ha più creduto che noi siamo in pieno possesso del nostro Io, o che il nostro Io sia perfettamente trasparente: questo induce a riflettere sulla nostra fallibilità e sul mistero che ancora si cela in noi.
Tra la fede e la ragione, Di Francesco vede un punto d’incontro molto semplice, essenziale: noi siamo persone tutte intere. Questi diversi territori sono gli spazi nei quali noi ci troviamo a vivere, spazi che ci spingono a guardare oltre l’orizzonte, verso l’Infinito. Un uomo razionale può anche essere di profonda fede, così come un matematico può essere pure un artista. La chiave del mistero sta nell’accettare gli uni le prerogative degli altri, consci dei nostri propri limiti, fiduciosi che la risposta c’è, esiste, ed è già dentro noi.
Uccr - Il Meeting parlava dell’Io che è in rapporto con l’Infinito, e del fatto che, attraverso il contributo delle neuroscienze, possono essere aperti nuovi spazi di pensiero sul rapporto mente-Infinito. Che sia proprio l’Io l’anello di congiunzione tra la nostra mente finita e l’Infinito? E com’è possibile che la nostra mente, grazie al fatto di esprimersi con un Io definito, concepisca qualcosa come l’Infinito e lo ricerchi? La mente contiene l’Infinito, e lo manifesta attraverso l’arte e la scienza principalmente. Ma, aggiunge Di Francesco riferendosi a chi ha la fede, anche attraverso la carne, di per sé finita. Dio, infinito, si esprime e si contiene (“si svuota” direbbe San Paolo) facendosi uomo, in Cristo. Di certo, la mente non può parlare dell’Infinito con un unico discorso, che sia artistico, scientifico o religioso: nessuno di questi ambiti è sufficiente, né può escludere gli altri. Devono integrarsi insieme. Ma conciliare l’empirico con il razionale, l’esperienza con la verità, la teologia con la scienza, non è facile.
Se il punto d’arrivo dell’Io è l’Infinito, allora – si chiede Di Francesco – il punto di partenza dell’Io qual è? Bisogna vedere i costituenti dell’Io, e quindi della nostra mente e della nostra intelligenza – risponde. Ma sorgono altre domande. L’intelligenza è frutto solo dei suoi costituenti minimi? Non si perde, ritenendo così, l’unità della persona? Se una persona rimane la stessa nel tempo nonostante i suoi cambiamenti fisici e psicologici, si può mai teorizzare che l’unità della nostra mente sia un’illusione?
I dati della scienza possono essere usati per fare riduzionismo, o peggio ancora eliminativismo (forme di pensiero che ritengono che gli enti, le metodologie e i concetti di qualunque scienza debbano essere ridotti al minimo sufficiente a spiegare i fatti e le teorie di tale scienza), quando invece bisogna conciliarli con una concezione ontologica dell’unità della persona. La mente è una – ci dice Di Francesco – ma può essere studiata a diversi livelli, ognuno solido e valido tanto quanto gli altri. E’ “cooperazione” – assicura – la parola-chiave per comprendere la complessità dell’Io nei suoi aspetti, quella complessità che ci fa aspirare all’Infinito. C’è cooperazione tra un “sé” e i diversi fattori biologici, nell’interazione tra diversi livelli (fisico, psicologico, spirituale), e tutto ciò avviene nell’unità ontologica di un “Io”.
Come fa il cervello biologico, limitato e limitante, attraverso estensioni quali la matematica e l’arte, la filosofia e il linguaggio, a pensare l’infinito? In questo le neuroscienze danno un contributo enorme, che teologi e filosofi non possono e non devono ignorare, se non vogliono commettere lo stesso errore dei riduzionisti e dei loro epigoni estremisti, gli eliminatisti. La filosofia non può arrivare a dare conclusioni a queste tematiche, che però non devono essere messe da parte. E qua entra in gioco la fede, che non è in conflitto ma interagisce con la razionalità. Il concetto di anima, e di divino, può spiegare l’unità dell’Io tra tutti questi elementi, senza però eliminare i contributi delle neuroscienze e delle altre discipline. Da Freud in poi nessuno ha più creduto che noi siamo in pieno possesso del nostro Io, o che il nostro Io sia perfettamente trasparente: questo induce a riflettere sulla nostra fallibilità e sul mistero che ancora si cela in noi.
Tra la fede e la ragione, Di Francesco vede un punto d’incontro molto semplice, essenziale: noi siamo persone tutte intere. Questi diversi territori sono gli spazi nei quali noi ci troviamo a vivere, spazi che ci spingono a guardare oltre l’orizzonte, verso l’Infinito. Un uomo razionale può anche essere di profonda fede, così come un matematico può essere pure un artista. La chiave del mistero sta nell’accettare gli uni le prerogative degli altri, consci dei nostri propri limiti, fiduciosi che la risposta c’è, esiste, ed è già dentro noi.
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