Tar Puglia: ammissibile sanatoria per abusi minori anche in area a vincolo paesistico
Greenreport - Una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 6656, del 21/12/2012) demolisce le interpretazioni di comodo delle leggi vigenti da parte di tecnici e amministratori per perpetuare un ingiustificato consumo di suolo. Esultano quanti al momento delle osservazioni sugli strumenti urbanistici si sono sentiti troppo spesso rispondere che alcune previsioni di espansione non potevano essere tagliate perché presenti nei Piani regolatori precedenti e quindi diventati un "diritto acquisito" che, nel caso di una sua eliminazione, avrebbe portato le amministrazioni comunali ad esporsi a ricorsi con conseguenti pagamenti dei danni. La storia parte dall'approvazione da parte del comune di Monteroni di Lecce di un nuovo Piano regolatore che destina a verde privato un'area che i precedenti strumenti urbanistici definivano zona di completamento, il proprietario del terreno aveva fatto ricorso al Tar chiedendo l'annullamento degli atti e il ripristino della precedente destinazione. Il Tar aveva respinto il ricorso e il proprietario ha fatto appello al Consiglio di Stato che però ha confermato la sentenza Come spiega Lexambiente, «All'interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Infatti, l'urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione di futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio». Se Eddyburg l'urbanista Edoardo Salzano aggiunge altre due valutazioni positive della sentenza: 1 - Il Consiglio di stato afferma ( paragrafo 5.1) che la nozione di naturale vocazione edificatoria postula la preesistenza di una edificabilità di fatto, cioè può essere attribuita solo a un terreno già edificato. ed è quindi concetto impiegato propriamente nelle sole vicende espropriative, stante la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell'amministrazione Non ha quindi alcun senso parlare di "vocazione edificatoria" di un suolo riferendosi a precedenti previsioni urbanistiche legittimamente modificate, e nemmeno a situazioni di fatto diverse dalla già avvenuta edificazione. Possiamo dunque ritenere ulteriormente confermate le conclusioni alle quali eravamo da tempo arrivati sulla base dell'analisi della giurisprudenza: non esiste alcun fondamento giuridico sulla cui base il proprietario di un terreno possa rivendicare un "diritto edificatorio", o un malaccorto urbanista o amministratore possa motivare la decisione di rendere edificabili aree che attualmente non lo sono. 2 - La sentenza afferma ( paragrafo 2.1) che «L'urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima». D'altronde una precedente sentenza del Consiglio di Stato del 9 ottobre aveva già lanciato un forte ammonimento: il Paesaggio è una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento e «I principi generali in materia ambientale e paesaggistica non possono esser disgiunti, come ha insegnato la Corte Costituzionale, dagli artt. 9 e 117 della Costituzione, per cui deve essere data la prevalenza alla tutela del paesaggio non nel significato, meramente estetico, di "bellezza naturale", ma come complesso dei valori inerenti il territorio naturale (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379), che è un bene "primario" ed "assoluto" (Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183) e comunque una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento, tutto ciò, anche in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all'applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000». Edoardo Salzano scrive: Ho chiesto un parere al prof. Alberto Roccella, il quale conferma che la recente sentenza del Consiglio di Stato ribadisce la sentenza 2710, IV sez, del maggio 2012. la quale a sua volta conferma il giudizio espresso dal Tar veneto a proposito del Prg di Cortina. Roccella sottolinea che secondo massimo tribunale amministrativo che la legislazione vigente esclude l'edificabilità come caratteristica naturale dei suoli, ricavabile soltanto e direttamente dalla loro conformazione e ubicazione, mentre invece afferma vigorosamente la potestà pubblica di pianificazione urbanistica. Questa potestà deve essere esercitata in modo non arbitrario, ma non incontra limiti nelle precedenti decisioni di pianificazione». Rischia invece di andare in tutt'altra direzione (anche se con impatti certamente più limitati) la recente sentenza del Tar Puglia secondo la quale la realizzazione di volumi tecnici può ottenere l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria. Il Tar ha infatti accolto l'impugnativa di un diniego di permesso di costruire in sanatoria di un locale realizzato sulla copertura dell'edificio e destinato a ospitare impianti tecnologici che ricade un un'area a vincolo paesistico, il Comune, che riteneva sanabile l'abuso, si era dovuto adeguare al parere negativo della Soprintendenza. Secondo il Tar Puglia un vano tecnico può rientrare tra i cosiddetti abusi minori «Per i quali è ammissibile la sanatoria ai sensi del combinato disposto dell'articolo 146, comma 4 con gli articoli 167, comma 4 e 181, comma 1-ter del Dlgs 42/2004, che disciplinano, rispettivamente, le sanzioni amministrative e quelle penali. Ciò in quanto l'autorizzazione paesaggistica ex post costituisce atto presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli, compresi quelli in sanatoria». Un'analoga sentenza era già stata emessa il 29 gennaio dal Tar Umbria nella quale si legge: «Per costante orientamento giurisprudenziale il divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria non opera per i volumi tecnici e, quindi, con riferimento a interventi destinati a operare il solo adeguamento funzionale dell'edificio e, ciò, senza che vengano realizzati manufatti suscettibili di essere abitabili o di un'autonoma destinazione, non funzionale al complesso nell'ambito del quale incidono». Il Sole 24 Ore fa però notare che «Bisogna tuttavia attendere eventuali pronunce d'appello. Esiste infatti anche una difforme decisione del Consiglio di Stato (Sezione IV, 28 marzo 2011, n. 1879). Quest'ultimo, pure riferendosi ad un diverso e più significativo intervento edificatorio, ha affermato che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio precluderebbe qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che «sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, costituendo opera valutabile anche come aumento di volume la realizzazione di un garage interrato con accesso all'esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico».
Greenreport - Una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. IV n. 6656, del 21/12/2012) demolisce le interpretazioni di comodo delle leggi vigenti da parte di tecnici e amministratori per perpetuare un ingiustificato consumo di suolo. Esultano quanti al momento delle osservazioni sugli strumenti urbanistici si sono sentiti troppo spesso rispondere che alcune previsioni di espansione non potevano essere tagliate perché presenti nei Piani regolatori precedenti e quindi diventati un "diritto acquisito" che, nel caso di una sua eliminazione, avrebbe portato le amministrazioni comunali ad esporsi a ricorsi con conseguenti pagamenti dei danni. La storia parte dall'approvazione da parte del comune di Monteroni di Lecce di un nuovo Piano regolatore che destina a verde privato un'area che i precedenti strumenti urbanistici definivano zona di completamento, il proprietario del terreno aveva fatto ricorso al Tar chiedendo l'annullamento degli atti e il ripristino della precedente destinazione. Il Tar aveva respinto il ricorso e il proprietario ha fatto appello al Consiglio di Stato che però ha confermato la sentenza Come spiega Lexambiente, «All'interno della pianificazione urbanistica possano trovare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed ecologica, tra le quali spicca la necessità di evitare l'ulteriore edificazione e di mantenere un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi. Infatti, l'urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione di futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima, con le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio». Se Eddyburg l'urbanista Edoardo Salzano aggiunge altre due valutazioni positive della sentenza: 1 - Il Consiglio di stato afferma ( paragrafo 5.1) che la nozione di naturale vocazione edificatoria postula la preesistenza di una edificabilità di fatto, cioè può essere attribuita solo a un terreno già edificato. ed è quindi concetto impiegato propriamente nelle sole vicende espropriative, stante la sottoposizione di ogni attività edilizia alle scelte pianificatorie dell'amministrazione Non ha quindi alcun senso parlare di "vocazione edificatoria" di un suolo riferendosi a precedenti previsioni urbanistiche legittimamente modificate, e nemmeno a situazioni di fatto diverse dalla già avvenuta edificazione. Possiamo dunque ritenere ulteriormente confermate le conclusioni alle quali eravamo da tempo arrivati sulla base dell'analisi della giurisprudenza: non esiste alcun fondamento giuridico sulla cui base il proprietario di un terreno possa rivendicare un "diritto edificatorio", o un malaccorto urbanista o amministratore possa motivare la decisione di rendere edificabili aree che attualmente non lo sono. 2 - La sentenza afferma ( paragrafo 2.1) che «L'urbanistica e il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo e armonico del medesimo; uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli, non in astratto, ma in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia dei valori ambientali e paesaggistici, delle esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che s'intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta per autorappresentazione ed autodeterminazione dalla comunità medesima». D'altronde una precedente sentenza del Consiglio di Stato del 9 ottobre aveva già lanciato un forte ammonimento: il Paesaggio è una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento e «I principi generali in materia ambientale e paesaggistica non possono esser disgiunti, come ha insegnato la Corte Costituzionale, dagli artt. 9 e 117 della Costituzione, per cui deve essere data la prevalenza alla tutela del paesaggio non nel significato, meramente estetico, di "bellezza naturale", ma come complesso dei valori inerenti il territorio naturale (cfr. Corte Cost., 7 novembre 1994, n. 379), che è un bene "primario" ed "assoluto" (Corte cost., 5 maggio 2006, nn. 182, 183) e comunque una risorsa assolutamente limitata ed in via di esaurimento, tutto ciò, anche in conformità ai principi costituzionali e con riguardo all'applicazione della Convenzione europea sul paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000». Edoardo Salzano scrive: Ho chiesto un parere al prof. Alberto Roccella, il quale conferma che la recente sentenza del Consiglio di Stato ribadisce la sentenza 2710, IV sez, del maggio 2012. la quale a sua volta conferma il giudizio espresso dal Tar veneto a proposito del Prg di Cortina. Roccella sottolinea che secondo massimo tribunale amministrativo che la legislazione vigente esclude l'edificabilità come caratteristica naturale dei suoli, ricavabile soltanto e direttamente dalla loro conformazione e ubicazione, mentre invece afferma vigorosamente la potestà pubblica di pianificazione urbanistica. Questa potestà deve essere esercitata in modo non arbitrario, ma non incontra limiti nelle precedenti decisioni di pianificazione». Rischia invece di andare in tutt'altra direzione (anche se con impatti certamente più limitati) la recente sentenza del Tar Puglia secondo la quale la realizzazione di volumi tecnici può ottenere l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria. Il Tar ha infatti accolto l'impugnativa di un diniego di permesso di costruire in sanatoria di un locale realizzato sulla copertura dell'edificio e destinato a ospitare impianti tecnologici che ricade un un'area a vincolo paesistico, il Comune, che riteneva sanabile l'abuso, si era dovuto adeguare al parere negativo della Soprintendenza. Secondo il Tar Puglia un vano tecnico può rientrare tra i cosiddetti abusi minori «Per i quali è ammissibile la sanatoria ai sensi del combinato disposto dell'articolo 146, comma 4 con gli articoli 167, comma 4 e 181, comma 1-ter del Dlgs 42/2004, che disciplinano, rispettivamente, le sanzioni amministrative e quelle penali. Ciò in quanto l'autorizzazione paesaggistica ex post costituisce atto presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli, compresi quelli in sanatoria». Un'analoga sentenza era già stata emessa il 29 gennaio dal Tar Umbria nella quale si legge: «Per costante orientamento giurisprudenziale il divieto di autorizzazione paesaggistica in sanatoria non opera per i volumi tecnici e, quindi, con riferimento a interventi destinati a operare il solo adeguamento funzionale dell'edificio e, ciò, senza che vengano realizzati manufatti suscettibili di essere abitabili o di un'autonoma destinazione, non funzionale al complesso nell'ambito del quale incidono». Il Sole 24 Ore fa però notare che «Bisogna tuttavia attendere eventuali pronunce d'appello. Esiste infatti anche una difforme decisione del Consiglio di Stato (Sezione IV, 28 marzo 2011, n. 1879). Quest'ultimo, pure riferendosi ad un diverso e più significativo intervento edificatorio, ha affermato che il divieto di incremento dei volumi esistenti, imposto ai fini di tutela del paesaggio precluderebbe qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che «sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume, costituendo opera valutabile anche come aumento di volume la realizzazione di un garage interrato con accesso all'esterno tramite rampa in zona sottoposta a vincolo paesaggistico».
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