martedì, marzo 05, 2013
In poche ore, questa notte, è andata in fumo la Città della Scienza a Napoli. Dodicimila metri quadrati dedicati alla comunicazione interattiva della scienza non ci sono più.  

GreenReport - Un patrimonio valutato intorno ai 100 milioni di euro in larga parte distrutto. Ma il fuoco, forse, non ha distrutto solo il più grande science centre d'Italia e uno dei musei scientifici di nuova generazione più grandi e prestigiosi d'Europa. Quelle fiamme hanno divorato l'unica impresa nata a Bagnoli dopo la dismissione dell'Ilva-Italsider. Uno dei pochissimi fiori nel deserto della de-industrializzazione della più grande città del Mezzogiorno d'Italia. Uno dei pochissimi progetti concreti che aveva tentato di ridare un'anima a una città stordita dalla modernità.

La Città della Scienza a Bagnoli, quartiere alla periferia di Napoli che affaccia sul Golfo di Pozzuoli, nasce tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 del secolo scorso proprio mentre l'Italsider tornata Ilva sta chiudendo. E con lei una piccola costellazione di fabbriche. Insieme, in maniera diretta o per indotto, davano lavoro a 15.000 operai.

In pochi anni, in pochi mesi un pezzo di economia, un pezzo di società, un pezzo di civiltà andarono perduti. Lasciando un'immensa area inquinata da bonificare. Quell'area è ancora lì: un deserto post-industriale da restituire a nuova vita. In oltre un quarto di secolo nessuno - né a livello locale, né a livello nazionale - ha saputo farlo.

L'unico a credere concretamente nella ricostruzione di Bagnoli è stato un fisico di origine emiliana, ma ormai integrato in città: Vittorio Silvestrini. Un passato da brillante fisico delle particelle e un presente da pioniere della ricerca sull'energia solare. L'idea di Silvestrini era tanto semplice quanto ambiziosa. Napoli, la terza città industriale d'Italia che sta perdendo rapidamente la sua funzione economica, può riconquistare il suo futuro solo entrando nella società e nell'economia della conoscenza. Solo ricostruendo un nuovo tessuto produttivo fondato sui saperi. In primo luogo sul sapere scientifico.

Partendo da zero, Vittorio Silvestrini e alcuni suoi giovani collaboratori presero in carico alcuni corpi di fabbrica - quelli di un'antica vetreria trasformatasi in industria chimica - e un gruppo di lavoratori e in pochi anni costruirono il più grande museo scientifico di nuova generazione d'Italia. L'unico al mondo dove, accanto al nuovo modo interattivo di comunicazione la scienza e di allenare alla cittadinanza scientifica, si proponeva l'incubazione di nuove imprese, fondate appunto sulla conoscenza.

Nacque così la Città della Scienza, a Bagnoli. Come un progetto concreto e come indicazione di un nuovo modello di sviluppo, ecologicamente e socialmente sostenibile. Un modello, per intenderci, che negli ultimi venti anni ha avuto successo fuori da Napoli, tanto in piccole città (Trieste, per esempio) quanto in grandi aree industriali dismesse, nella Ruhr, per esempio.

L'iniziativa di Silvestrini ha avuto grande successo, come usa dire, di pubblico e di critica. Centinaia di migliaia di visitatori ogni anno, molte aziende incubate, premi e riconoscimenti a livello internazionale (Silvestrini è l'unico italiano ad aver vinto il Premio Descartes per la divulgazione della scienza assegnato dall'Unione Europea).

Ma - a differenza che a Trieste o nella Ruhr - non ha avuto e non ha vita facile. In particolare da anni vanta una montagna di crediti dallo stato e dalla regione. E ha una collina di debiti verso le banche. La montagna non si muove. E la collina è sul punto di divorare la città. Insomma, inutile negarlo, l'incendio arriva in un momento di grave difficoltà per la Città della Scienza. Da mesi i dipendenti sono senza stipendio. Da anni Bagnoli resta un deserto post-industriale, fortemente inquinato. La distanza di Napoli dalla Ruhr o anche da Trieste è diventata siderale.

Ora anche l'unico fiore è appassito.

Non sarà facile ricostruire. La speranza è che almeno il seme sia sopravvissuto all'incendio e a decenni di incapacità di Napoli e dell'Italia intera di fare i conti con la modernità.

di Pietro Greco


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