giovedì, marzo 21, 2013
Al Colosseo quest’anno, per la Via Crucis del Venerdì Santo, le meditazioni faranno conoscere le ansie e le aspettative dei popoli del Medio Oriente.

Radio Vaticana - Prima ancora di rinunciare al ministero petrino, Benedetto XVI aveva chiesto che fossero i giovani del Libano a dar voce alle stazioni del Calvario di Cristo. Sotto la guida del patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Boutros Raï, un gruppo di ragazzi ha sviluppato le meditazioni spirituali, le riflessioni sulle sofferenze del mondo contemporaneo e le attese di speranza. Tiziana Campisi ha intervistato il cardinale Béchara Raï:

R. – L’importante nella Via Crucis è che ognuno possa ritrovarsi nel volto di Cristo e possa aver la luce e la forza di poter portare la propria croce. Questo è poi il valore delle stazioni: si chiamano “stazioni”, che significa “fermate” di meditazione personale e comune con Cristo, il quale riflette la nostra sofferenza e noi troviamo in Lui le luci di speranza.

D. – Lei ha parlato di sofferenze: quali avete voluto portare alla luce?

R. – La guerra, la violenza, l’attesa dei giovani che trovano chiusi gli orizzonti, la sofferenza della migrazione, la mancanza di sicurezza per il futuro dei giovani e quella dei problemi insolubili: la comunità internazionale non si cura di trovare soluzioni ai problemi della pace mondiale, della giustizia. Noi nel Medio Oriente viviamo la grande tragedia della questione palestinese, la tragedia della guerra in Siria, del vivere in comune con i musulmani, il problema dei fondamentalisti …

 
D. – Ci sono molti spunti tratti dalla liturgia orientale e ci sono anche spunti tratti dall’Esortazione post-sinodale di Benedetto XVI “Ecclesia in Medio Oriente”. Quanto questa Esortazione vi ha ispirati?

R. – E’ ricca. L’Esortazione apostolica, in questa chiamata ad essere “uno”, alla comunione, ad aprirsi agli altri, a costruire ponti con tutti quelli con cui viviamo. Di fatti, nell’Esortazione apostolica la comunione parte dalla comunione interna, a livello della comunità o della Chiesa, ma anche a livello delle altre Chiese - cattoliche, ortodosse, protestanti – dei musulmani, degli ebrei e delle altre religioni con cui viviamo. Questo ha dato molto impulso all’apertura a vivere in comune. E’ testimoniare l’amore di Cristo. Hanno trovato nell’Esortazione una grande miniera di idee per poter esprimere le ansie, le preghiere, insieme alla liturgia orientale: liturgia antiochena, bizantina, siriaca…

D. – Meditazioni sul dolore, meditazioni sulla sofferenza: eppure aprite le porte alla speranza…

R. – Certamente, perché siamo sicuri che le “stazioni” non terminano. Di fatti, in molte delle tradizioni delle nostre Chiese, non terminano con la XIV, ma c’è anche la XV, ovvero, la Resurrezione. Tutto il valore delle meditazioni e delle sofferenze è perché arrivano alla domenica: non si fermano a venerdì, ma arrivano fino alla domenica. Soffriamo, moriamo per resuscitare.

D. – Sinteticamente, qual è il messaggio che i giovani libanesi intendono far giungere all’umanità?

R. – Il valore della pace, il grido contro l’ingiustizia, perché i giovani libanesi vedono con i loro occhi che c’è tanta ingiustizia. Penso che Benedetto XVI profeticamente ha voluto che questi giovani esprimessero a nome dell’umanità il loro grido di dolore, di speranza e di giustizia.


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