Dal summit Ue via libera all'embrione della golden rule, ma ancora non basta
Greenreport - «La chiave della crescita economica ha necessariamente un baricentro: la compatibilità ambientale». Parole che più chiare non si può, quelle del segretario Pd - Pierluigi Bersani - intervistato su Youdem.tv (vedi video in fondo pagina): una presa di posizione netta, anticipata dalla volontà di istituire un ministero per lo Sviluppo sostenibile all'interno di un governo che però fatica anche solo a trovare corpo. Incrociando la green economy con iltema delle politiche industriali e quello dell'innovazione, Bersani snocciola un programma d'intenti che spazia dalle energie rinnovabili alle bonifiche, dalla cultura alla bioeconomie, alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti e alla manifattura del riciclo. L'economia verde, nel programma della coalizione guidata da Bersani, si trova così proietattao al terzo posto tra le 8 priorità individuate per un «governo di cambiamento».
In particolare, «tra le proposte in tema di sviluppo sostenibile elaborate dal Pd - si legge su l'Unità - quelle che riguardano il ciclo dei rifiuti si pongono l'obiettivo di ridurre il più possibile il ricorso alla discarica (aumentando la tassazione) e agli inceneritori [...]favorendo il recupero di materia attraverso un sostegno ai comuni e al sistema produttivo. Per quanto riguarda lo sviluppo di un mercato dei materiali/prodotti riciclati lo strumento più efficace rimane il Green Public Procurement (gli acquisti verdi della pubblica amministrazione). Materie e prodotti riciclati a parità di qualità prestazionali consentono infatti un significativo «risparmio di sistema», considerando anche i mancati costi di smaltimento».
Le potenzialità dell'economia verde sono ormai note, ma concretamente - purtroppo - ancora da esplorare. L'Ilo, l'Organizzazione internazionale del lavoro, si è già espressa quantificando come il passaggio «verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni e aiuterebbe decine di milioni di lavoratori ad uscire dalla povertà». Da parte sua, l'università Bocconi - in uno studio dei ricercatori Federico Pontoni e Niccolò Cusumano - riscrive una simile prospettiva declinandola all'interno della realtà italiana, ma le conclusioni non cambiano: la green economy rimane un punto fermo per il rilancio dell'occupazione. Tanto che, nei prossimi 7 anni, i green jobs in Italia potrebbero crescere «di quasi 600 mila unità. Pertanto, al 2020, il contributo della forza lavoro generato dall'economia sostenibile sarebbe pari al 7,5%» della forza lavoro.
Le proposte (ri)lanciate dal centrosinistra rappresentano dunque una boccata d'ossigeno per quanti credono - confortati dai numeri - che la green economy possa e debba essere la strada da perseguire anche dall'Italia, ma lasciano anche l'amaro in bocca: se le stesse posizioni fossero state portate avanti con più convinzione dalla coalizione Italia Bene Comune già durante la campagna elettorale, forse il risultato delle urne avrebbe potuto garantire al Paese quella stabilità che ora ancora non sembra non si riesca a trovare tra le aule parlamentari. D'altronde, per stessa ammissione di Bersani, «l'economia verde può segnare uno di quei punti di cambiamento che la gente ci chiede, sul piano anche culturale, di mentalità, delle esigenze delle nuove generazioni, degli interessi dei nuovi protagonisti della politica». Una riflessione che deve riuscire a guadagnarsi ulteriore spazio anche in ambito europeo: per l'Eurozona il 2012 è stato un anno nero per l'occupazione, tornata sotto i livelli raggiunti nel 2006 - certifica oggi l'Eurostat - ed il summit dei leader Ue appena concluso non ottiene ancora abbastanza per rilanciare un cambiamento nel modello di sviluppo.
Come riporta l'Ansa, almeno un importante spiraglio si è aperto nell'indirizzo fortemente voluto dall'Italia del governo Monti: il Consiglio Ue accetta «una 'flessibilita'' o 'golden rule' che consenta di poter ricominciare a spendere denaro pubblico quando ci si trova nella forbice tra il pareggio e il 3% di deficit». Le posizioni dei paesi del nord Europa, Germania in testa, continuano però ad avvinghiarsi attorno al filo rosso dell'austerità, nonostante i ripetuti allarmi provenienti anche dal Fondo monetario internazionale verso questo modus operandi. Siamo ancora lontani dall'ottenere un vero «punto di cambiamento». Le esigenze di sviluppo, la sensibilità dei cittadini europei e la tutela dell'ecosistema trovano però un loro naturale minimo comune multiplo nella green economy: ripartire da qui per costruire sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica un nuovo timone a dirigere la rotta europea è l'unica speranza concreta alla quale rimane ragionevolmente lecito aggrapparsi.
Greenreport - «La chiave della crescita economica ha necessariamente un baricentro: la compatibilità ambientale». Parole che più chiare non si può, quelle del segretario Pd - Pierluigi Bersani - intervistato su Youdem.tv (vedi video in fondo pagina): una presa di posizione netta, anticipata dalla volontà di istituire un ministero per lo Sviluppo sostenibile all'interno di un governo che però fatica anche solo a trovare corpo. Incrociando la green economy con iltema delle politiche industriali e quello dell'innovazione, Bersani snocciola un programma d'intenti che spazia dalle energie rinnovabili alle bonifiche, dalla cultura alla bioeconomie, alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti e alla manifattura del riciclo. L'economia verde, nel programma della coalizione guidata da Bersani, si trova così proietattao al terzo posto tra le 8 priorità individuate per un «governo di cambiamento».
In particolare, «tra le proposte in tema di sviluppo sostenibile elaborate dal Pd - si legge su l'Unità - quelle che riguardano il ciclo dei rifiuti si pongono l'obiettivo di ridurre il più possibile il ricorso alla discarica (aumentando la tassazione) e agli inceneritori [...]favorendo il recupero di materia attraverso un sostegno ai comuni e al sistema produttivo. Per quanto riguarda lo sviluppo di un mercato dei materiali/prodotti riciclati lo strumento più efficace rimane il Green Public Procurement (gli acquisti verdi della pubblica amministrazione). Materie e prodotti riciclati a parità di qualità prestazionali consentono infatti un significativo «risparmio di sistema», considerando anche i mancati costi di smaltimento».
Le potenzialità dell'economia verde sono ormai note, ma concretamente - purtroppo - ancora da esplorare. L'Ilo, l'Organizzazione internazionale del lavoro, si è già espressa quantificando come il passaggio «verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni e aiuterebbe decine di milioni di lavoratori ad uscire dalla povertà». Da parte sua, l'università Bocconi - in uno studio dei ricercatori Federico Pontoni e Niccolò Cusumano - riscrive una simile prospettiva declinandola all'interno della realtà italiana, ma le conclusioni non cambiano: la green economy rimane un punto fermo per il rilancio dell'occupazione. Tanto che, nei prossimi 7 anni, i green jobs in Italia potrebbero crescere «di quasi 600 mila unità. Pertanto, al 2020, il contributo della forza lavoro generato dall'economia sostenibile sarebbe pari al 7,5%» della forza lavoro.
Le proposte (ri)lanciate dal centrosinistra rappresentano dunque una boccata d'ossigeno per quanti credono - confortati dai numeri - che la green economy possa e debba essere la strada da perseguire anche dall'Italia, ma lasciano anche l'amaro in bocca: se le stesse posizioni fossero state portate avanti con più convinzione dalla coalizione Italia Bene Comune già durante la campagna elettorale, forse il risultato delle urne avrebbe potuto garantire al Paese quella stabilità che ora ancora non sembra non si riesca a trovare tra le aule parlamentari. D'altronde, per stessa ammissione di Bersani, «l'economia verde può segnare uno di quei punti di cambiamento che la gente ci chiede, sul piano anche culturale, di mentalità, delle esigenze delle nuove generazioni, degli interessi dei nuovi protagonisti della politica». Una riflessione che deve riuscire a guadagnarsi ulteriore spazio anche in ambito europeo: per l'Eurozona il 2012 è stato un anno nero per l'occupazione, tornata sotto i livelli raggiunti nel 2006 - certifica oggi l'Eurostat - ed il summit dei leader Ue appena concluso non ottiene ancora abbastanza per rilanciare un cambiamento nel modello di sviluppo.
Come riporta l'Ansa, almeno un importante spiraglio si è aperto nell'indirizzo fortemente voluto dall'Italia del governo Monti: il Consiglio Ue accetta «una 'flessibilita'' o 'golden rule' che consenta di poter ricominciare a spendere denaro pubblico quando ci si trova nella forbice tra il pareggio e il 3% di deficit». Le posizioni dei paesi del nord Europa, Germania in testa, continuano però ad avvinghiarsi attorno al filo rosso dell'austerità, nonostante i ripetuti allarmi provenienti anche dal Fondo monetario internazionale verso questo modus operandi. Siamo ancora lontani dall'ottenere un vero «punto di cambiamento». Le esigenze di sviluppo, la sensibilità dei cittadini europei e la tutela dell'ecosistema trovano però un loro naturale minimo comune multiplo nella green economy: ripartire da qui per costruire sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica un nuovo timone a dirigere la rotta europea è l'unica speranza concreta alla quale rimane ragionevolmente lecito aggrapparsi.
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