lunedì, marzo 11, 2013
Tra meno di una settimana, il 16 marzo, sarà celebrata a Firenze la 18° Giornata della “memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime di mafia”

di Giacomo Salvini

Per la prima volta seminari, concerti e manifestazioni si terranno a Firenze, in ricordo del 20° anniversario della strage di Via dei Georgofili, che giorno dopo giorno sta assumendo sempre più i connotati di una strage eseguita materialmente dalla mafia ma sotto cui si celano ancora misteri sui famosi “centri occulti di potere” denunciati da Falcone dopo l’attentato fallito dell’Addaura. Speriamo almeno che non ci siano corone di fiori portate da rappresentanti di uno Stato che non c’è ora e che non c’era soprattutto in quel tragico biennio. La memoria è la capacità di conservare le informazioni nel corso del tempo, ma è anche molto di più: memoria significa ricordare per informare, per decidere, per capire chi siamo stati e chi siamo adesso. “Se non ricordiamo non possiamo comprendere” diceva il grande scrittore britannico Edward Morgan Forster. Quando la parola memoria però è collegata alle parole stragi, mafia, giustizia perde spesso tutto il suo valore, e l’abuso che se ne fa va ad intaccare il ricordo di quelle grandi persone (dai magistrati ai “semplici” testimoni di giustizia) che hanno sacrificato la propria vita, la propria famiglia, la propria carriera in nome dello Stato, lottando contro un cancro del nostro paese apparentemente indistruttibile.

“Memoria” non significa assistere alle cerimonie ufficiali delle stragi nelle prime file riservate alle autorità, quando ormai tutti sappiamo che in quel periodo le convergenze tra mafia e istituzioni erano molto forti e hanno portato a tante delle stragi commemorate. Non è memoria cancellare dalla mente degli italiani le sentenze che hanno visto come colpevoli e collusi con la mafia personalità come Giulio Andreotti (sette volte Presidente del Consiglio, colpevole di associazione mafiosa fino al 1980 ma prescritto e non assolto), Bruno Contrada (ex numero 3 del Sisde, condannato a dieci anni), Totò Cuffaro (ex presidente della Regione Sicilia, condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa Nostra) e molti altri. “Memoria” non significa cercare di depistare, espropriare, controllare le indagini nell’ambito della “trattativa Stato-mafia” da parte di un Presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano), del suo ex consigliere (Loris D’Ambrosio), di un ex presidente del Senato (Nicola Mancino) e di un Procuratore Generale della Cassazione (Vitaliano Esposito). “Memoria” non significa muovere azioni disciplinari o conflitti d’attribuzioni contro magistrati e intere procure della Repubblica che giorno dopo giorno combattono in prima linea per arrivare alla verità di quegli anni. Non è “memoria” la mancanza dell’espressione “lotta alla criminalità organizzata” nei programmi dei partiti (non tutti) nella scorsa campagna elettorale. Non è certo “memoria” far mancare strumenti e tutele a pentiti, testimoni di giustizia o a coloro che tutti i giorni si oppongono al pagamento del pizzo e devono convivere con continue minacce. Non è “memoria” pensare che la lotta alla mafia sia dovere solo di pochi,che basta poi applaudire.

Non è facile spazzare via tutti questi aspetti che permettono ancora oggi, dopo centinaia di anni, che la criminalità organizzata sia ben radicata in ogni regione del nostro paese. Ma è anche attraverso giornate come quella di sabato prossimo che ognuno di noi può impegnarsi per rimuovere “quel puzzo di compromesso morale che si contrappone al fresco profumo di libertà” denunciato da Paolo Borsellino nel suo ultimo discorso prima di morire.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

ECCO COS'E' LA MEMORIA !!!!!

LA lettera AL CORRIERE
Mancino: «Salvatore Borsellino
fa sempre una citazione monca»
«Se ci fosse stato l’incontro, perché avrei dovuto nasconderlo?»
ROMA - Egregio Direttore, nell’imminenza dell’anniversario della strage mafiosa di via D’Amelio nella quale caddero il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta, mi trovo, mio malgrado, di nuovo messo sotto accusa da Salvatore Borsellino che, dopo un lungo silenzio di oltre dodici anni dall’accaduto, da qualche tempo crede di avere individuato una mia presunta responsabilità morale nell’attentato, che afferma ma non prova. Questa volta lo strumento usato per quella che non esito a denunciare come una aggressione personale, è una videointervista pubblicata oggi, senza che a me sia stata data l’opportunità di replicare, sul sito «Corriere.it».

Nella videointervista Salvatore Borsellino ripete senza modifiche le sue accuse. La ricostruzione dei fatti si ricava dall’interrogatorio che Gaspare Mutolo rese il 21 febbraio del 1996 nell’aula del processo celebrato a Caltanissetta per la strage di via D’Amelio. Senonchè Salvatore Borsellino cita sempre, e anche nel video riportato oggi dal Corriere.it, una sola parte di quella testimonianza, in cui il magistrato dice al pentito che deve allontanarsi per andare al Viminale. Sono in possesso delle pagine processuali. Sono un po’ lunghe. Cito, perciò, dal volume «L’agenda rossa di Paolo Borsellino», di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, ed. Chiarelettere, pag. 146. «Sai, Gaspare, debbo smettere perché mi ha telefonato il ministro, ma…manco una mezz’oretta e vengo». Salvatore Borsellino cita continuamente questa frase, ma mai ricorda quel che Paolo Borsellino disse allo stesso Mutolo al suo ritorno dal Viminale. Se proseguiamo nella lettura de «L’agenda rossa», nella stessa pagina 146, possiamo leggere il seguito del racconto di Mutolo: «Quindi (Paolo Borsellino) manca qualche ora, quaranta minuti, cioè all’incirca un’ora, e mi ricordo che quando è venuto, è venuto tutto arrabbiato, agitato, preoccupato, ma che addirittura fumava così distrattamente che aveva due sigarette in mano. Io, insomma, non sapendo che cosa (…) Dottore, ma che cosa ha? E lui, molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa del ministro, si è incontrato con il dott. Parisi e il dott. Contrada…»

Dunque, è lo stesso magistrato a non confermare l’incontro con il ministro, ed è la stessa fonte – Gaspare Mutolo – a testimoniarlo. Ma Salvatore Borsellino fa sempre una citazione monca, e dà a me del bugiardo. Se ci fosse stato l’incontro, perché avrei dovuto nasconderlo? Che cosa si sarebbero dovuti dire due persone che non avevano mai avuto rapporti tra di loro il primo giorno dell’insediamento di un ministro al Viminale? Che non si sarebbero dovute tenere trattative con la mafia? E chi le avrebbe tenute? Uno che proprio quel giorno era arrivato al Viminale per assumere la responsabilità di dirigere ordine e sicurezza pubblica? Via! Per ricondurre alla giusta dimensione l’atteggiamento di quel Ministro dell’Interno del governo Amato nei confronti della mafia, si ricostruiscano dalle cronache del tempo impegni, decisioni, azioni di contrasto contro la criminalità organizzata, applicazione dell’art. 41 bis, allestimento delle carceri di massima sicurezza dell’Asinara e di Pianosa, scioglimento di oltre 60 Consigli comunali inquinati dalla mafia e da altre organizzazioni malavitose: tutte iniziative portate avanti con fermezza ed intransigenza dal Ministro Mancino”.

Nicola Mancino
Vice Presidente
del Consiglio Superiore
della Magistratura
17 luglio 2009

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