Un cielo grigio quasi invernale, una parabola unica per la sua bellezza come quella del “figliol prodigo”, una vendita missionaria di limoni e il libro “Dio attende alla frontiera” erano i protagonisti di una domenica originale. Missionaria anzi, in piena quaresima...
Era domenica 10 marzo, alla parrocchia Sacro Cuore di Treviso, con il tema: “Cammini di riconciliazione con l’altro”. Con chi è differente da noi per cultura, per mentalità, mondo o visione. Cammini in cui siamo spronati ad avanzare con decisione dallo spirito di quaresima e dal mistero pasquale che celebriamo. Cammini indispensabili, profetici, in questi momenti difficili per il nostro Paese: il bisogno di passi di unità e di collaborazione in vista del bene comune è infatti vitale oggi per noi. Ha animato la nostra domenica il missionario scalabriniano Renato Zilio, originario di Dolo, autore del libro-testimonianza “Dio attende alla frontiera”. Veramente non è un libro, ma un invito potente ad andare alla frontiera della nostra fede, delle nostre energie, del nostro “piccolo mondo antico”. Superare, così, la logica degli interessi, per nutrirsi di valori e di un avvenire comune da costruire insieme a più mani.
Sì, Dio attende alla frontiera. “Per un'Italia ormai con il fiato corto si rivela urgente uscire dalle abitudini, dalle chiusure e dalle paure” rifletteva il missionario. Conseguito un master in teologia delle religioni a Parigi, dopo aver vissuto il suo ministero tra comunità di emigranti italiani, portoghesi e latinoamericani in Francia e a Ginevra, egli si è spinto ad incontrare le comunità cristiane del Marocco, per vivere ora a Londra, metropoli-crocevia di emigranti di tutto il mondo, destinatari del carisma dei missionari scalabriniani. Vive nella parrocchia italiana di Brixton Road, che accoglie pure una comunità di filippini e una di portoghesi. Nello stesso spazio, nella stessa “casa comune” si celebrano così liturgie, feste tradizionali e catechesi per tre mondi differenti in italiano, in portoghese e in tagalog, immersi nell’universo inglese. In fondo, non è una parrocchia ma un piccolo “laboratorio di riconciliazione dell’umanità”, spiegava con semplicità P.Renato.
La riconciliazione, la fraternità passano per questi emigranti attraverso gesti semplici, segni di condivisione, di stima e di accoglienza con chi è differente e arricchisce l’altro con una storia, una tradizione, dei valori che provengono da altri orizzonti. A volte anche attraverso iniziative comuni, tutti insieme. Il missionario ricordava anche i cammini spesso faticosi, umilianti, vissuti dai nostri veneti all’estero, la loro ricerca di due realtà vitali per ogni migrante: il pane e la dignità. E fa della loro vita, allo stesso tempo, una lotta e una danza. Qualcosa di duro da vivere, ma anche di grande e di bello: un’apertura al mondo, alla cultura, alla lingua degli altri. “I sistemi si oppongono, le persone si incontrano” ricordava giustamente qualcuno. “Ogni migrante ha un cuore più grande del normale – assicurava il missionario - perché poco a poco comincia ad amare con lo stesso amore la terra di origine e la terra di accoglienza!”.
Significativa l’esperienze di riconciliazione proposta ai giovani, figli di emigranti, da parte di P. Renato ogni quaresima: un pellegrinaggio nel deserto del Sahara. Si ritrovano, così, catapultati in un Paese e una cultura totalmente differenti, segnati dalla fede islamica, nel Sud del Marocco, a Marrakech. Vengono ospitati da piccole comunità cristiane, che vivono in quelle terre e costruiscono faticosamente ogni giorno cammini di condivisione e di fraternità. Come veri discepoli del Signore, nella terra del Profeta. “Non siamo in terra d’Islam per convertire - vi diranno - ma semplicemente per amare”. E suor Monica vi confessa: “Sapete, i nostri vicini di casa hanno una fede che trasporta le montagne!”. Così i giovani imparano ad immergersi in un mondo totalmente diverso, guardandolo senza pregiudizi, capaci di lasciarsi stupire dalla bellezza del volto, della storia e della fede dell’altro. “Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi!” rifletteva Proust.
Arrivati al deserto, dopo giorni di cammino, i giovani celebrano l’eucarestia sulla duna più alta in mezzo al silenzio impressionante del Sahara: una messa sul mondo! Come dimenticare, allora, quando al momento del perdono posano l’orecchio su questa sabbia rossastra, per auscultare la terra come il ventre di una donna... E provare a sentire il pianto di milioni di uomini, di donne e bambini, esistenze infelici sulla terra, vite inumane, impossibili, sradicate dagli eventi e forse migranti. E chiedere perdono a Dio di avere un cuore inconsapevole, insensibile alle tragedie del mondo!
Al momento della pace è bello vedere questi giovani affondare le mani e le braccia il più possibile nella sabbia, nel tentativo, in mezzo al deserto, di dare la mano a tutti gli uomini della terra, per esprimere le lunghe solidarietà che vorrebbero far nascere... Con commozione il missionario ricorda questi giovani, che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti più sani e più belli. Alcuni sono ritornati in Africa per un periodo di volontariato, altri, per lo stesso motivo, in Brasile, a Salvador de Bahia, altri ancora… Una lezione magnifica del deserto, che in loro ha saputo fiorire e dare frutto. Sì, di riconciliazione con l’altro.
“Le parole di P. Renato ci hanno veramente impressionato e ci fanno pensare...” affermava alla fine una parrocchiana, uscendo dalla chiesa. Senz’altro, per un cammino di riconciliazione. Qui, in casa nostra.
di Sara Biscaro
Era domenica 10 marzo, alla parrocchia Sacro Cuore di Treviso, con il tema: “Cammini di riconciliazione con l’altro”. Con chi è differente da noi per cultura, per mentalità, mondo o visione. Cammini in cui siamo spronati ad avanzare con decisione dallo spirito di quaresima e dal mistero pasquale che celebriamo. Cammini indispensabili, profetici, in questi momenti difficili per il nostro Paese: il bisogno di passi di unità e di collaborazione in vista del bene comune è infatti vitale oggi per noi. Ha animato la nostra domenica il missionario scalabriniano Renato Zilio, originario di Dolo, autore del libro-testimonianza “Dio attende alla frontiera”. Veramente non è un libro, ma un invito potente ad andare alla frontiera della nostra fede, delle nostre energie, del nostro “piccolo mondo antico”. Superare, così, la logica degli interessi, per nutrirsi di valori e di un avvenire comune da costruire insieme a più mani.
Sì, Dio attende alla frontiera. “Per un'Italia ormai con il fiato corto si rivela urgente uscire dalle abitudini, dalle chiusure e dalle paure” rifletteva il missionario. Conseguito un master in teologia delle religioni a Parigi, dopo aver vissuto il suo ministero tra comunità di emigranti italiani, portoghesi e latinoamericani in Francia e a Ginevra, egli si è spinto ad incontrare le comunità cristiane del Marocco, per vivere ora a Londra, metropoli-crocevia di emigranti di tutto il mondo, destinatari del carisma dei missionari scalabriniani. Vive nella parrocchia italiana di Brixton Road, che accoglie pure una comunità di filippini e una di portoghesi. Nello stesso spazio, nella stessa “casa comune” si celebrano così liturgie, feste tradizionali e catechesi per tre mondi differenti in italiano, in portoghese e in tagalog, immersi nell’universo inglese. In fondo, non è una parrocchia ma un piccolo “laboratorio di riconciliazione dell’umanità”, spiegava con semplicità P.Renato.
La riconciliazione, la fraternità passano per questi emigranti attraverso gesti semplici, segni di condivisione, di stima e di accoglienza con chi è differente e arricchisce l’altro con una storia, una tradizione, dei valori che provengono da altri orizzonti. A volte anche attraverso iniziative comuni, tutti insieme. Il missionario ricordava anche i cammini spesso faticosi, umilianti, vissuti dai nostri veneti all’estero, la loro ricerca di due realtà vitali per ogni migrante: il pane e la dignità. E fa della loro vita, allo stesso tempo, una lotta e una danza. Qualcosa di duro da vivere, ma anche di grande e di bello: un’apertura al mondo, alla cultura, alla lingua degli altri. “I sistemi si oppongono, le persone si incontrano” ricordava giustamente qualcuno. “Ogni migrante ha un cuore più grande del normale – assicurava il missionario - perché poco a poco comincia ad amare con lo stesso amore la terra di origine e la terra di accoglienza!”.
Significativa l’esperienze di riconciliazione proposta ai giovani, figli di emigranti, da parte di P. Renato ogni quaresima: un pellegrinaggio nel deserto del Sahara. Si ritrovano, così, catapultati in un Paese e una cultura totalmente differenti, segnati dalla fede islamica, nel Sud del Marocco, a Marrakech. Vengono ospitati da piccole comunità cristiane, che vivono in quelle terre e costruiscono faticosamente ogni giorno cammini di condivisione e di fraternità. Come veri discepoli del Signore, nella terra del Profeta. “Non siamo in terra d’Islam per convertire - vi diranno - ma semplicemente per amare”. E suor Monica vi confessa: “Sapete, i nostri vicini di casa hanno una fede che trasporta le montagne!”. Così i giovani imparano ad immergersi in un mondo totalmente diverso, guardandolo senza pregiudizi, capaci di lasciarsi stupire dalla bellezza del volto, della storia e della fede dell’altro. “Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi!” rifletteva Proust.
Arrivati al deserto, dopo giorni di cammino, i giovani celebrano l’eucarestia sulla duna più alta in mezzo al silenzio impressionante del Sahara: una messa sul mondo! Come dimenticare, allora, quando al momento del perdono posano l’orecchio su questa sabbia rossastra, per auscultare la terra come il ventre di una donna... E provare a sentire il pianto di milioni di uomini, di donne e bambini, esistenze infelici sulla terra, vite inumane, impossibili, sradicate dagli eventi e forse migranti. E chiedere perdono a Dio di avere un cuore inconsapevole, insensibile alle tragedie del mondo!
Al momento della pace è bello vedere questi giovani affondare le mani e le braccia il più possibile nella sabbia, nel tentativo, in mezzo al deserto, di dare la mano a tutti gli uomini della terra, per esprimere le lunghe solidarietà che vorrebbero far nascere... Con commozione il missionario ricorda questi giovani, che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti più sani e più belli. Alcuni sono ritornati in Africa per un periodo di volontariato, altri, per lo stesso motivo, in Brasile, a Salvador de Bahia, altri ancora… Una lezione magnifica del deserto, che in loro ha saputo fiorire e dare frutto. Sì, di riconciliazione con l’altro.
“Le parole di P. Renato ci hanno veramente impressionato e ci fanno pensare...” affermava alla fine una parrocchiana, uscendo dalla chiesa. Senz’altro, per un cammino di riconciliazione. Qui, in casa nostra.
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