domenica, marzo 17, 2013
Un cielo grigio quasi invernale, una parabola unica per la sua bellezza come quella del “figliol prodigo”, una vendita missionaria di limoni e il libro “Dio attende alla frontiera” erano i protagonisti di una domenica originale. Missionaria anzi, in piena quaresima...

di Sara Biscaro

Era domenica 10 marzo, alla parrocchia Sacro Cuore di Treviso, con il tema: “Cammini di riconciliazione con l’altro”. Con chi è differente da noi per cultura, per mentalità, mondo o visione. Cammini in cui siamo spronati ad avanzare con decisione dallo spirito di quaresima e dal mistero pasquale che celebriamo. Cammini indispensabili, profetici, in questi momenti difficili per il nostro Paese: il bisogno di passi di unità e di collaborazione in vista del bene comune è infatti vitale oggi per noi. Ha animato la nostra domenica il missionario scalabriniano Renato Zilio, originario di Dolo, autore del libro-testimonianza “Dio attende alla frontiera”. Veramente non è un libro, ma un invito potente ad andare alla frontiera della nostra fede, delle nostre energie, del nostro “piccolo mondo antico”. Superare, così, la logica degli interessi, per nutrirsi di valori e di un avvenire comune da costruire insieme a più mani.

Sì, Dio attende alla frontiera. “Per un'Italia ormai con il fiato corto si rivela urgente uscire dalle abitudini, dalle chiusure e dalle paure” rifletteva il missionario. Conseguito un master in teologia delle religioni a Parigi, dopo aver vissuto il suo ministero tra comunità di emigranti italiani, portoghesi e latinoamericani in Francia e a Ginevra, egli si è spinto ad incontrare le comunità cristiane del Marocco, per vivere ora a Londra, metropoli-crocevia di emigranti di tutto il mondo, destinatari del carisma dei missionari scalabriniani. Vive nella parrocchia italiana di Brixton Road, che accoglie pure una comunità di filippini e una di portoghesi. Nello stesso spazio, nella stessa “casa comune” si celebrano così liturgie, feste tradizionali e catechesi per tre mondi differenti in italiano, in portoghese e in tagalog, immersi nell’universo inglese. In fondo, non è una parrocchia ma un piccolo “laboratorio di riconciliazione dell’umanità”, spiegava con semplicità P.Renato.

La riconciliazione, la fraternità passano per questi emigranti attraverso gesti semplici, segni di condivisione, di stima e di accoglienza con chi è differente e arricchisce l’altro con una storia, una tradizione, dei valori che provengono da altri orizzonti. A volte anche attraverso iniziative comuni, tutti insieme. Il missionario ricordava anche i cammini spesso faticosi, umilianti, vissuti dai nostri veneti all’estero, la loro ricerca di due realtà vitali per ogni migrante: il pane e la dignità. E fa della loro vita, allo stesso tempo, una lotta e una danza. Qualcosa di duro da vivere, ma anche di grande e di bello: un’apertura al mondo, alla cultura, alla lingua degli altri. “I sistemi si oppongono, le persone si incontrano” ricordava giustamente qualcuno. “Ogni migrante ha un cuore più grande del normale – assicurava il missionario - perché poco a poco comincia ad amare con lo stesso amore la terra di origine e la terra di accoglienza!”.

Significativa l’esperienze di riconciliazione proposta ai giovani, figli di emigranti, da parte di P. Renato ogni quaresima: un pellegrinaggio nel deserto del Sahara. Si ritrovano, così, catapultati in un Paese e una cultura totalmente differenti, segnati dalla fede islamica, nel Sud del Marocco, a Marrakech. Vengono ospitati da piccole comunità cristiane, che vivono in quelle terre e costruiscono faticosamente ogni giorno cammini di condivisione e di fraternità. Come veri discepoli del Signore, nella terra del Profeta. “Non siamo in terra d’Islam per convertire - vi diranno - ma semplicemente per amare”. E suor Monica vi confessa: “Sapete, i nostri vicini di casa hanno una fede che trasporta le montagne!”. Così i giovani imparano ad immergersi in un mondo totalmente diverso, guardandolo senza pregiudizi, capaci di lasciarsi stupire dalla bellezza del volto, della storia e della fede dell’altro. “Un vero viaggio di scoperta non è cercare nuove terre, ma avere nuovi occhi!” rifletteva Proust.

Arrivati al deserto, dopo giorni di cammino, i giovani celebrano l’eucarestia sulla duna più alta in mezzo al silenzio impressionante del Sahara: una messa sul mondo! Come dimenticare, allora, quando al momento del perdono posano l’orecchio su questa sabbia rossastra, per auscultare la terra come il ventre di una donna... E provare a sentire il pianto di milioni di uomini, di donne e bambini, esistenze infelici sulla terra, vite inumane, impossibili, sradicate dagli eventi e forse migranti. E chiedere perdono a Dio di avere un cuore inconsapevole, insensibile alle tragedie del mondo!

Al momento della pace è bello vedere questi giovani affondare le mani e le braccia il più possibile nella sabbia, nel tentativo, in mezzo al deserto, di dare la mano a tutti gli uomini della terra, per esprimere le lunghe solidarietà che vorrebbero far nascere... Con commozione il missionario ricorda questi giovani, che il deserto ha consolidato o trasformato nei loro aspetti più sani e più belli. Alcuni sono ritornati in Africa per un periodo di volontariato, altri, per lo stesso motivo, in Brasile, a Salvador de Bahia, altri ancora… Una lezione magnifica del deserto, che in loro ha saputo fiorire e dare frutto. Sì, di riconciliazione con l’altro.

“Le parole di P. Renato ci hanno veramente impressionato e ci fanno pensare...” affermava alla fine una parrocchiana, uscendo dalla chiesa. Senz’altro, per un cammino di riconciliazione. Qui, in casa nostra.

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