lunedì, marzo 11, 2013
Oggi la difficile vita di liquidatori, sfollati e pescatori  

GreenReport - Il Giappone ricorda il secondo anniversario del terremoto/tsunami che l'11 marzo del 2011 devastò la sua costa nord-orientale e dette il via alla catastrofe nucleare di Fikushima Daiichi, la peggiore della storia insieme a Chernobyl, mentre le piazze si riempiono di gente che chiede l'uscita dal nucleare molti gruppi si riuniscono per piangere le vittime del disastro in tutta la regione devastata. Ma anche i sopravvissuti non se la passano bene: alla fine di febbraio erano ancora 315.000 le persone che vivevano in alloggi temporanei. Ci sono piani per la costruzione di 23.000 unità residenziali pubbliche in 8 prefetture per coloro che sono in grado di ricostruire le loro case, ma sono state completate solo 84 unità.

I lavori per decontaminare gli edifici che sono stati colpiti dal fallout radioattivo sono in forte ritardo e le amministrazioni locali sono riuscite a bonificare solo il 19,7% delle circa 179.000 abitazioni con livelli troppo alti di radioattività, mentre si registra un calo significativo della popolazione nelle aree più colpite delle prefetture di Iwate, Miyagi e Fukushima. I governi centrale e locali promettono di accelerare i lavori di ricostruzione e di aiutare le comunità colpite con iniziative e progetti per il futuro.

Ma la realtà è un'altra, a cominciare dai più di 3.000 liquidatori che lavorano giorno e notte nel cadavere nucleare di Fukushima Daiichi. Come scrive pure Le Monde in un'inchiesta, anche se la situazione è ritenuta "stabile" e se le piscine con il combustibile esaurito ed i reattori sono continuamente raffreddati, «L'inquietudine e gli effetti sulla salute, non sono per questo diminuiti o spariti per questi lavoratori dell'estremo».

Tra I "liquidatori" della Tokyo electic power comany (Tepco) o delle ditte subappaltatrici lo stress da lavoro è la norma, ma ancora più dure sono la paura e la solitudine che questi lavoratori devono affrontare in un ambiente mortale, completamente ricoperti da maschere, guanti e abbigliamento protettivo.

Un liquidatore ha detto alla Reuters: «Ho male al ventre e sono costantemente stressato. Quando torno in Camera mia, tutto quello che posso fare è di preoccuparmi del domani. Dovrebbero darci una medaglia. Chi può accettare di lavorare in queste condizioni?».

I liquidatori di Fukushima Daiichi vivono in una tensione costante mentre sono pressati dalle critiche dell'opinione pubblica per la lentezza delle operazioni di decontaminazione e molti si sono licenziati perché non hanno resistito alla paura ed alla pressione. Ma il problema che sta emergendo è un altro: la mancanza di motivazioni degli attuali "liquidatori" e la difficoltà a sostituirli fa balenare la prospettiva di una mancanza di tecnici ed esperti quando ci sarà da affrontare la tappa davvero critica (ed ancora più pericolosa) della bonifica di Fukushima: il prelievo del combustibile esausto dalle piscine di stoccaggio negli edifici dei reattori.

Jun Shigemura, del dipartimento di psichiatria del National defence medical college, che sta conducendo uno studio su 1.500 liquidatori, spiega su The Guardian che «I lavoratori sono i più esposti alle radiazioni nucleari e partecipano ad un procedimento che durerà decenni. Intanto vengono criticati perché fanno parte della Tepco, non sono né dirigenti dell'impresa né responsabili della catastrofe, ma provano un sentimento di colpa e di responsabilità. Meritano più rispetto, dato che fanno uno dei mestieri più difficili del mondo. Gli operai della Tepco rischiano di seguire la traiettoria dei veterani della guerra del Vietnam, che si sono visti respinti dalla società, sono finiti senzatetto, sono precipitati nell'alcolismo e nelle droghe o si sono suicidati».

Inoltre queste terribili condizioni di lavoro non sono ricompensate con un salario vantaggioso. Secondo un sondaggio condotto a settembre ed ottobre 2012 tra 3.200 lavoratori Tepco, più del 70% guadagna 837 yen (6 euro) all'ora, mentre gli operai regolari che lavorano nei cantieri della prefettura possono arrivare fino a 1.500 yen (12 euro). In metà dei casi. Per metà dei liquidatori non viene rispettata la legge sul lavoro ed un terzo di loro non ha nemmeno un contratto di lavoro.

Dopo due anni si susseguono le denunce sulle condizioni di lavoro illegali nelle operazioni di decontaminazione e di violazione dei regolamenti sulla salute e la sicurezza. Qualche giorno fa il ministero della salute giapponese ha reso noto che 63 lavoratori di Fukushima sono stati esposti a livelli di radiazioni superiori a quelli registrati nei loro dossier personali. Nel dicembre 2012, 146 lavoratori Tepco e 21 delle ditte in subappalto hanno superato il livello massimo di esposizione ammissibile di 100 millisievert in 5 anni.

Sempre a dicembre Tha Asahi Shimbun ha rivelato che la compagnia edile Build-Up ha chiesto ad una decina dei suoi operai di ricoprire di piombo i dosimetri personali in dotazione quando lavoravano nelle zone più radioattive, per dichiarare una minore esposizione dei lavoratori e farli lavorare di più nei siti fortemente irradiati.

L'atro dramma è quello degli sfollati: circa il 60% di quelli della prefettura di Fukushima non potranno tornare a casa nemmeno entro il 2017: anche 6 anni dopo la catastrofe circa 54.000 persone, evacuate durante la crisi nucleare, non potranno tornare dove vivevano.

Dopo l'esplosione di idrogeno nel reattore 1, un'area per un raggio di 20 km intorno alla centrale nucleare venne dichiarata zone vietata e dopo il fallout le aree con livelli di radiazione annuali superiori a 50 millisievert sono state designate come luoghi in cui i residenti non potevano tornare per almeno 5 anni. Una previsione che ora sembra molto ottimistica e solo nelle aree con livelli di radiazione sotto i 20 millisievert sono state indicate come luoghi in cui avviare le operazioni per annullare l'ordinanza di evacuazione. Okuma e Futaba, vicine a Fukushima Daiichi, e Namie e Tomioka sono destinate a restare a lungo città fantasma. Sono circa 26.000 gli sfollati che hanno ricevuto una casa perché non potranno tornare dove vivevano e circa 17.000 di questi sono di Okuma e Futaba. Intanto i municipi delle due città hanno dato ordine di non tornare nemmeno nelle zone non contaminate perché la Tepco tenta di giocare su questo per differenziare i rimborsi tra i cittadini. Anche le città di Namie e Tomioka, pur non avendo così tanti sfollati da aree in cui non è possibile tornare nei prossimi quattro anni, hanno deciso di non far tornare la popolazione perché lo ritengono troppo pericoloso e non si fidano dei dati della Tepco e del governo.

Si sta procedendo alla ridefinizione delle zone pericolose, ma molti sfollati (tra il 30 ed il 50%) hanno deciso che comunque non rimetteranno più piede nelle aree contaminate, la maggior arte sono famiglie con bambini.

A questo si aggiunge un altro dramma: quello dei pescatori di Fukushima che ormai come unico lavoro partecipano al progetto per capire gli effetti del disastro nucleare sulla vita marina.

La pesca commerciale è stata sospesa dopo la catastrofe nucleare del 2011 e i pescatori di Iwaki, una città a 40 Km da Fukushima Daiichi hanno cominciato a pescare in un tratto di mare a poco più di un km a largo dalla centrale nucleare per catturare, pesci, molluschi ed altre specie sulle quali gli scienziati testano la presenza di radiazioni.

La radio-televisione giapponese Nhk racconta la storia di Tatsuo Nitsuma, un pescatore che ha perso la casa ed una figlia nel terremoto/tsunami dell'11 marzo 2011 e che oggi è stato nel luogo dove viveva per depositare dei fiori a terra, poi ha bruciato dell'incenso e delle offerte in una spiaggia vicina in memoria di sua figlia. Niitsuma spiega che «Andare in mare per pescare i pesci è un modo per piangere mia figlia. Continuerò a pescare per i test della radiazione anche se è difficile non sapere quando sarò in grado di riprendere la pesca commerciale».

Umberto Mazzantini


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