domenica, marzo 24, 2013
Lo vedevo arrivare di buon mattino e a passo spedito, con la sua borsa imbottita di fogli e appunti scritti rigorosamente a mano... Ricordo di mons. Giovanni Nervo, “fondatore” della Caritas Italiana, voce dell’indignazione dei poveri

Città Nuova - “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”; “il vero potere è il servizio, soprattutto dei più deboli e dei più poveri”; “A tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo custodi della creazione, dell'ambiente, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell'altro. Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo”. Tra le dichiarazioni, gli appelli e le esortazioni di Papa Francesco, che in questi giorni hanno occupato le prime pagine di tutti i mezzi di informazione e comunicazione del mondo, spero e mi auguro che queste citazioni abbiano fatto gioire ed esultare mons. Giovanni Nervo, morto a Padova, nella notte tra il 21 e il 22 marzo scorso, all’età di 94 anni, dopo aver vissuto ed essere stato, in nome di tutta una vita, voce dei poveri, a fianco dei poveri e per i poveri.

Ma chi è mons. Nervo? Personalmente - avendo avuto la possibilità e il dono, negli anni ’80/90, di poter stare al suo fianco e gomito a gomito con mons. Giuseppe Pasini in Caritas Italiana -, lo ricordo come un maestro lungimirante e un quotidiano testimone, in tempi non sospetti, di quello che è stato il motto e la stella polare di tutta la sua vita di sacerdote, di uomo e cittadino del mondo: la scelta, la tutela il camminare a fianco dei poveri e dei deboli, degli emarginati e degli oppressi.

Lo vedevo arrivare, nella sede di Caritas Italiana, di buon mattino e a passo spedito, con la sua borsa, sempre la stessa, per anni, imbottita di fogli e appunti scritti rigorosamente a mano… Lo sguardo penetrante, l’attenzione e la delicatezza che sprizzavano da tutti i pori, nei confronti dei suoi più diretti superiori o collaboratori (vescovi, preti, suore, laici) e soprattutto verso le persone che gli passavano accanto: non importa se rifugiati politici dell’America Latina, profughi del sud-est asiatico o fuggiaschi dell’ex socialismo reale, immigrati provenienti dal Centro o dal Nord Africa, zingari, famiglie sfrattate.

In nome di tutta una vita, la sua vita, don Giovanni, come lo chiamavamo tutti, per me e per quanti hanno avuto la possibilità di conoscerlo, è stato e resterà sempre la voce ferma, l’interprete e il difensore di chi non ha voce, della solitudine e del dolore impotente, della collera e della indignazione dei “dimenticati della terra”, quasi sempre inascoltata o repressa dai molti ben pensanti o dai potenti di turno delle periferie spirituali, umane e sociali dell’opulento occidente e dei Paesi più isolati del mondo.

Per quanti non hanno sentito parlare di lui o non hanno avuto l’opportunità di conoscerlo, don Giovanni nasce il 13 dicembre 1918 a Vittadone, frazione di Casalpusterlengo (Milano), da una famiglia profuga di guerra. Nel 1919 la famiglia ritorna a Solagna. A 13 anni Giovanni entra in seminario e il 6 luglio 1941 viene ordinato prete.

Assistente al Collegio Barbarigo di Padova, entra in contatto con gli ambienti della Resistenza. Come racconta egli stesso, «facevo da ufficio assistenza e stampa del gruppo resistenti: si trattava di nascondere quelli che entravano in clandestinità ed erano ricercati, di procurare cibo per le famiglie, o per le mamme che avevano il marito arrestato».

Nel 1945 fu nominato assistente provinciale delle Acli e contemporaneamente insegnante di religione all’istituto tecnico commerciale Calvi di Padova. Dal 1950 al 1963, è cappellano di fabbrica in numerose aziende del Padovano e organizza vari corsi per la formazione morale e sociale degli operai: in poche parole, un prete operaio.

Nel 1951 istituisce la Scuola Superiore di Servizio Sociale e ben presto avrà il compito di coordinare tutte le scuole di servizio sociale Onarmo (Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale degli Operai) esistenti in Italia. Nel 1964 fonda il Centro di studi, ricerche e formazione nel settore dei servizi sociali e sanitari, divenuto poi Fondazione Emanuela Zancan, di cui don Giovanni è presidente: “effettivo” fino al 1997e “onorario” fino all’ultimo giorno della sua vita terrena.

Tra i 1971 e il 1972 nasce la Caritas Italiana, voluta dalla Conferenza episcopale italiana. Don Giovanni viene chiamato a presiederla, sebbene nel 1976 a causa di una modifica dello statuto - da lui stesso sollecitata - che designava la presidenza a un vescovo, Nervo diviene vicepresidente: carica che ricoprirà fino al 1986. Pastoralmente e culturalmente, il vero “ideatore” della Caritas è stato Papa Paolo VI, con il suo discorso al primo convegno delle Caritas diocesane, nel settembre 1972.

In quegli anni la Caritas si rivela e viene universalmente riconosciuta come la punta di diamante della Chiesa Italiana, in riferimento a temi, problemi ed eventi socio-culturali di portata nazionale ed internazionale: come il terremoto del Friuli del 1976, l’arrivo di migliaia di profughi dal Sud-est asiatico e dei rifugiati politici provenienti dall’America Latina, l’emergere del volontariato sociale e dell’obiezione di coscienza al servizio militare, le prese di posizione e le denunce di una politica e di una economia che spingevano ad una sempre più massiccia emarginazione dei deboli e dei meno tutelati.

Al termine del suo mandato di direzione della Caritas, in un felice passaggio di testimone della carità,gli subentra mons. Giuseppe Pasini che, senza non poche difficoltà, anche in ambito ecclesiastico, porta avanti e persegue la linea e la scelta di fondo di mons. Nervo. Dal 1986 al 1991 mons. Nervo rimane a Roma a curare i rapporti fra la Cei e le istituzioni. Ritornato definitivamente a Padova, a dispetto delle ingiurie degli anni, don Giovanni ha proseguito con costanza nella sua attività di promozione della pedagogia della carità, partecipando a incontri, dibattiti, scuole di formazione all’impegno sociale e politico.

Scelta e imperterrito sentiero di vita che possiamo riassumere nel detto di don Milani: “Fare strada ai poveri senza farsi strada”. E ciò, camminando sulle orme di quanto auspicato, proprio in questi giorni, da Papa Francesco; e a presente e futuro monito di uomini di Chiesa e politici, imprenditori, finanzieri e rappresentanti istituzionali, democraticamente eletti per esercitare responsabilmente il ruolo di promotori del bene comune e tutori dei più deboli e dei poveri.

Scelta e linea pastorale, culturale e sociale che don Giovanni ha sempre testimoniato e ribadito fino all’altra notte, quando è ritornato alla casa del Padre. Notte in cui, io mio auguro, abbia potuto ascoltare Papa Francesco che, in faccia al mondo intero ha detto: “Vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”; “Il vero potere è il servizio, soprattutto dei più deboli e dei più poveri”.

Grazie don Giovanni: a nome dei poveri del mondo, a nome di noi tuttie di tutte le donne e gli uomini di buona volontà che, anche se non credenti o agnostici, si battono per la giustizia e la solidarietà il dialogo e la pace, fra persone, popoli e religioni.

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