Dopo la minaccia di usare le armi nucleari per rispondere alle nuove sanzioni Onu, la Corea del Nord si dichiara “in assetto da combattimento” contro Stati Uniti e Corea del Sud, accusati di fare le prove per un’invasione con le manovre militari congiunte nella regione.
Radio Vaticana - Washington risponde che Pyongyang non otterrà nulla con le minacce e condanna i propositi ''bellicosi''e gli attacchi alla pace nella penisola. La Cina invita tutti alla moderazione. Per capire come si è determinata questa situazione, Fausta Speranza ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università.
R. – Mentre in passato gli Stati Uniti rispondevano alle provocazioni e ai ricatti della Corea del Nord cercando in qualche modo di predisporre compensazioni per moderare gli attriti e le tensioni, l’amministrazione Obama ha deciso di adottare un atteggiamento del tutto differente per dimostrare che questa politica non paga. Oltretutto, era stata osservata una reiterazione continua del modello di provocazioni. Adesso, evidentemente, la Corea del Nord ha la necessità di rincarare la dose e accentua anche la dimensione regionale delle proprie provocazioni. Questo, ovviamente, per determinare un’ulteriore internazionalizzazione della crisi e anche costringere la Cina ad adottare misure che provochino la concessione di alcuni benefici nei confronti della Corea del Nord che, lo ricordiamo, è un Paese sotto embargo.
D. – Bisogna dire che la Cina da parte sua invita alla moderazione in questo momento…
R. – Evidentemente, i cinesi comprendono – probabilmente al contrario dei nordcoreani – che esistono equilibri di natura globale e credo che Pechino non sia più di tanto disposta a rischiare, per la Corea del Nord la compromissione ulteriore della propria posizione strategica nel mondo. Già adesso i cinesi si rendono conto, ad esempio, che ci sono tensioni crescenti in prossimità delle proprie coste e delle proprie frontiere. Non credo che a Pechino si valuti positivamente che un attore considerato in qualche modo alleato si muova così provocatoriamente senza tenere conto delle esigenze della Repubblica popolare.
D. - Diciamo che Pyongyang ci ha abituato sul piano internazionale a mosse che avevano però un valore soprattutto sul piano interno, cioè di impatto sull’opinione pubblica. In questo caso, che dire?
R. – E’ possibile che qualcosa del genere sia in atto anche adesso. Occorre ricordare che in Corea del Nord è asceso al potere un leader giovane il quale deve rafforzare la propria considerazione nei confronti dell’élite militare che regge il Paese. Non è da escludere che anche queste provocazioni siano una forma di valorizzazione della principale constituency, del principale soggetto che sostiene il regime. Credo sia opportuno ricordare che la Corea del Nord è un Paese di 24 milioni di abitanti, che ha più di un milione e duecentomila persone sotto le armi. Quindi, il grado di militarizzazione, il grado di controllo militare che si sente in quel Paese è veramente straordinario e risulta molto difficile per chiunque consolidare la propria presa politica sul Paese senza avere le Forze armate al proprio fianco.
D. – Rimane un regime molto chiuso, dove la popolazione vive in condizioni di povertà…
R. – Consegue inevitabilmente sia alle sanzioni applicate nei suoi confronti che alla scelta fatta con la stessa adozione del sistema economico-politico comunista di chiudersi nei confronti del resto del mondo. Ed è una cosa che ha ripercussioni non soltanto sulla sfera economica, ma persino in ogni altra dimensione culturale nella Corea del Nord. La presenza degli stranieri è ridotta al minimo: sostanzialmente esistono soltanto i diplomatici delle ambasciate aperte e niente più. E’ uno stato di chiusura completa, che ovviamente rende difficilissimo l’innesco di un processo di sviluppo e compromette la possibilità di raggiungere il benessere.
Radio Vaticana - Washington risponde che Pyongyang non otterrà nulla con le minacce e condanna i propositi ''bellicosi''e gli attacchi alla pace nella penisola. La Cina invita tutti alla moderazione. Per capire come si è determinata questa situazione, Fausta Speranza ha intervistato Germano Dottori, docente di Studi strategici all’Università.
R. – Mentre in passato gli Stati Uniti rispondevano alle provocazioni e ai ricatti della Corea del Nord cercando in qualche modo di predisporre compensazioni per moderare gli attriti e le tensioni, l’amministrazione Obama ha deciso di adottare un atteggiamento del tutto differente per dimostrare che questa politica non paga. Oltretutto, era stata osservata una reiterazione continua del modello di provocazioni. Adesso, evidentemente, la Corea del Nord ha la necessità di rincarare la dose e accentua anche la dimensione regionale delle proprie provocazioni. Questo, ovviamente, per determinare un’ulteriore internazionalizzazione della crisi e anche costringere la Cina ad adottare misure che provochino la concessione di alcuni benefici nei confronti della Corea del Nord che, lo ricordiamo, è un Paese sotto embargo.
D. – Bisogna dire che la Cina da parte sua invita alla moderazione in questo momento…
R. – Evidentemente, i cinesi comprendono – probabilmente al contrario dei nordcoreani – che esistono equilibri di natura globale e credo che Pechino non sia più di tanto disposta a rischiare, per la Corea del Nord la compromissione ulteriore della propria posizione strategica nel mondo. Già adesso i cinesi si rendono conto, ad esempio, che ci sono tensioni crescenti in prossimità delle proprie coste e delle proprie frontiere. Non credo che a Pechino si valuti positivamente che un attore considerato in qualche modo alleato si muova così provocatoriamente senza tenere conto delle esigenze della Repubblica popolare.
D. - Diciamo che Pyongyang ci ha abituato sul piano internazionale a mosse che avevano però un valore soprattutto sul piano interno, cioè di impatto sull’opinione pubblica. In questo caso, che dire?
R. – E’ possibile che qualcosa del genere sia in atto anche adesso. Occorre ricordare che in Corea del Nord è asceso al potere un leader giovane il quale deve rafforzare la propria considerazione nei confronti dell’élite militare che regge il Paese. Non è da escludere che anche queste provocazioni siano una forma di valorizzazione della principale constituency, del principale soggetto che sostiene il regime. Credo sia opportuno ricordare che la Corea del Nord è un Paese di 24 milioni di abitanti, che ha più di un milione e duecentomila persone sotto le armi. Quindi, il grado di militarizzazione, il grado di controllo militare che si sente in quel Paese è veramente straordinario e risulta molto difficile per chiunque consolidare la propria presa politica sul Paese senza avere le Forze armate al proprio fianco.
D. – Rimane un regime molto chiuso, dove la popolazione vive in condizioni di povertà…
R. – Consegue inevitabilmente sia alle sanzioni applicate nei suoi confronti che alla scelta fatta con la stessa adozione del sistema economico-politico comunista di chiudersi nei confronti del resto del mondo. Ed è una cosa che ha ripercussioni non soltanto sulla sfera economica, ma persino in ogni altra dimensione culturale nella Corea del Nord. La presenza degli stranieri è ridotta al minimo: sostanzialmente esistono soltanto i diplomatici delle ambasciate aperte e niente più. E’ uno stato di chiusura completa, che ovviamente rende difficilissimo l’innesco di un processo di sviluppo e compromette la possibilità di raggiungere il benessere.
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