Come sempre l’Europa non risolve ma chiede il conto. Ma l’appello del Papa a custodire “l’altro”?
di Patrizio Ricci
Durante la messa d’inizio pontificato Papa Francesco aveva chiesto a “tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale” di svolgere il proprio incarico come “custodi dell’altro” e di concepire il potere come servizio. Ma al di là del generale compiacimento verso il nuovo Pontefice, già l’indomani la circostanza della crisi cipriota ha fatto emergere quale sia la mentalità prevalente di chi tira le sorti europee: la troika europea ha lasciato prima incancrenire la situazione dell'isola e poi è passata a batter cassa, riversando come sempre sul popolo tutte le responsabilità, anche le proprie.
Di conseguenza il dibattito dei giorni seguenti è stato egoistico, teso come sempre a infondere paura per far passare poi con più facilità gli interventi ‘emergenziali’ imposti. Anche i media nazionali si sono concentrati solo sul rischio “contagio” sul resto di Europa, senza fare lo sforzo di una comprensione più approfondita della realtà concreta dell’isola, intrecciata strettamente con la storia greca. Sarebbe bene invece che si rispolverasse un po’ di storia recente: se si parla di Cipro, necessariamente non si può dimenticare che si tratta di un paese in stato di occupazione militare permanente da più di 40 anni. Quando nel 1974 Cipro è stata occupata militarmente dalla Turchia, il suo territorio è stato letteralmente depredato dei suoi patrimoni artistici e religiosi e da allora ha perso la sovranità di metà del suo territorio; la popolazione che abitava a nord dell’isola è stata cacciata di casa e deportata a sud, perdendo così ogni avere.
L’economia ha risentito tantissimo della perdita del 56% delle coste, della maggior parte delle infrastrutture alberghiere e naturalmente dei proventi delle attività commerciali ed agricole. Si tratta di un’occupazione illegale, tant’è che la nuova entità a nord (la Repubblica turca di Cipro) è riconosciuta solo dalla Turchia. Non c’è da stupirsi allora della situazione attuale, amplificata dall’ingresso nell’euro. Da allora il governo di Nicosia è in una situazione di perenne tensione con il governo di Ankara. Aveva sperato che con l’entrata in Europa si aprisse uno spiraglio, che ci fosse una mediazione, ma nulla è stato fatto di concreto finora.
Per assegnare le giuste responsabilità alle parti e dare un giudizio corretto, bisogna essere a conoscenza di un’ulteriore vicenda: 10 mesi orsono Cipro ha chiesto alla BCE un prestito di 4 miliardi di euro che non è stato concesso. Successivamente il ‘problema’ è degenerato e la richiesta è diventata di 17 miliardi di euro: se l’intervento fosse stato attuato prima, non ci si troverebbe nella situazione attuale. Inusitatamente Bruxelles ha posto come condizione alla concessione del credito la copertura immediata e autonoma del debito per ben 10 miliardi di euro. Il sistema? La confisca forzosa del 6-7% sui conti correnti anche per i depositi sotto la soglia dei 100.000 euro. La richiesta è doppiamente insolita: in primo luogo perché la BCE ha sempre garantito i depositi e in secondo luogo perché il 40% di questi depositi (pari a 20-25 miliardi di euro) è di proprietà di magnati russi, che il governo di Nicosia è riuscito ad attrarre grazie ad un sistema di blandi controlli fiscali e di forti agevolazioni bancarie.
La Russia è un altro attore la cui valenza nella vicenda non è del tutto chiara, ma è palese che ci sia anche un problema politico: i diritti di estrazione dei giacimenti di gas trovati in prossimità delle coste cipriote sono contesi da società europee e russe. E’ innegabile che ci siano interessi contrastanti. E’ certo che allontanare gli interessi russi da Cipro per poi svendere le attività energetiche dell’isola a prezzi stracciati farebbe comodo agli speculatori.
E’ indiscutibile che la vicenda avrà come conseguenza la fuga di ingenti capitali dall’isola e forse il default, ma c’è da scommettere che prima succederà qualcosa e che ciò a cui stiamo assistendo è solo una prova di forza: Bruxelles sapeva che il topolino sarebbe tornato sui suoi passi. Infatti, dopo un primo rifiuto, il 21 marzo il presidente di Cipro Nicos Anastasiades ha presentato in Parlamento un piano che prevede l’intervento dei fondi pensione e della previdenza sociale. In alternativa si ricorrerà a una più equa tassazione sui depositi bancari, articolata su tre differenti scaglioni impositivi e su un’imposta ‘una tantum’. Tradotto, i ciprioti se la dovranno vedere da soli. La Bce, e in primis la Germania, a corto di fiducia politica dai propri lettori (di cui 700.000 cittadini turchi), sono irremovibili: i prestiti non saranno concessi se non ci sarà un voto positivo del Parlamento entro lunedì prossimo.
E’ una questione intricata, ma è evidente che sullo sfondo il problema è politico e non economico: è certo che all’Europa nuocerà più la sua linea intransigente che la concessione totale del prestito; l’intero Pil cipriota rappresenta solo lo 0,2% di quello dell’intera eurozona. Un atteggiamento più amichevole non avrebbe certo fatto danni ai paesi europei. Altrove si è assunto ben altro atteggiamento: la BCE ha prestato finora agli istituti di credito europei (privati) centinaia di miliardi di euro e continua a farlo per cifre ben più alte. La considerazione che possiamo trarre da questa vicenda è quasi ovvia: è mai possibile che per le banche si trovi sempre una soluzione mentre per il bene e la dignità dell’“altro”, della gente, non la si trovi mai? E’ mai possibile che si accetti di mandare la gente comune in rovina, fino a ridurla dall’oggi al domani a non avere più il necessario per vivere, solo per meccanismi decisionali che non funzionano?
di Patrizio Ricci
Durante la messa d’inizio pontificato Papa Francesco aveva chiesto a “tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale” di svolgere il proprio incarico come “custodi dell’altro” e di concepire il potere come servizio. Ma al di là del generale compiacimento verso il nuovo Pontefice, già l’indomani la circostanza della crisi cipriota ha fatto emergere quale sia la mentalità prevalente di chi tira le sorti europee: la troika europea ha lasciato prima incancrenire la situazione dell'isola e poi è passata a batter cassa, riversando come sempre sul popolo tutte le responsabilità, anche le proprie.
Di conseguenza il dibattito dei giorni seguenti è stato egoistico, teso come sempre a infondere paura per far passare poi con più facilità gli interventi ‘emergenziali’ imposti. Anche i media nazionali si sono concentrati solo sul rischio “contagio” sul resto di Europa, senza fare lo sforzo di una comprensione più approfondita della realtà concreta dell’isola, intrecciata strettamente con la storia greca. Sarebbe bene invece che si rispolverasse un po’ di storia recente: se si parla di Cipro, necessariamente non si può dimenticare che si tratta di un paese in stato di occupazione militare permanente da più di 40 anni. Quando nel 1974 Cipro è stata occupata militarmente dalla Turchia, il suo territorio è stato letteralmente depredato dei suoi patrimoni artistici e religiosi e da allora ha perso la sovranità di metà del suo territorio; la popolazione che abitava a nord dell’isola è stata cacciata di casa e deportata a sud, perdendo così ogni avere.
L’economia ha risentito tantissimo della perdita del 56% delle coste, della maggior parte delle infrastrutture alberghiere e naturalmente dei proventi delle attività commerciali ed agricole. Si tratta di un’occupazione illegale, tant’è che la nuova entità a nord (la Repubblica turca di Cipro) è riconosciuta solo dalla Turchia. Non c’è da stupirsi allora della situazione attuale, amplificata dall’ingresso nell’euro. Da allora il governo di Nicosia è in una situazione di perenne tensione con il governo di Ankara. Aveva sperato che con l’entrata in Europa si aprisse uno spiraglio, che ci fosse una mediazione, ma nulla è stato fatto di concreto finora.
Per assegnare le giuste responsabilità alle parti e dare un giudizio corretto, bisogna essere a conoscenza di un’ulteriore vicenda: 10 mesi orsono Cipro ha chiesto alla BCE un prestito di 4 miliardi di euro che non è stato concesso. Successivamente il ‘problema’ è degenerato e la richiesta è diventata di 17 miliardi di euro: se l’intervento fosse stato attuato prima, non ci si troverebbe nella situazione attuale. Inusitatamente Bruxelles ha posto come condizione alla concessione del credito la copertura immediata e autonoma del debito per ben 10 miliardi di euro. Il sistema? La confisca forzosa del 6-7% sui conti correnti anche per i depositi sotto la soglia dei 100.000 euro. La richiesta è doppiamente insolita: in primo luogo perché la BCE ha sempre garantito i depositi e in secondo luogo perché il 40% di questi depositi (pari a 20-25 miliardi di euro) è di proprietà di magnati russi, che il governo di Nicosia è riuscito ad attrarre grazie ad un sistema di blandi controlli fiscali e di forti agevolazioni bancarie.
La Russia è un altro attore la cui valenza nella vicenda non è del tutto chiara, ma è palese che ci sia anche un problema politico: i diritti di estrazione dei giacimenti di gas trovati in prossimità delle coste cipriote sono contesi da società europee e russe. E’ innegabile che ci siano interessi contrastanti. E’ certo che allontanare gli interessi russi da Cipro per poi svendere le attività energetiche dell’isola a prezzi stracciati farebbe comodo agli speculatori.
E’ indiscutibile che la vicenda avrà come conseguenza la fuga di ingenti capitali dall’isola e forse il default, ma c’è da scommettere che prima succederà qualcosa e che ciò a cui stiamo assistendo è solo una prova di forza: Bruxelles sapeva che il topolino sarebbe tornato sui suoi passi. Infatti, dopo un primo rifiuto, il 21 marzo il presidente di Cipro Nicos Anastasiades ha presentato in Parlamento un piano che prevede l’intervento dei fondi pensione e della previdenza sociale. In alternativa si ricorrerà a una più equa tassazione sui depositi bancari, articolata su tre differenti scaglioni impositivi e su un’imposta ‘una tantum’. Tradotto, i ciprioti se la dovranno vedere da soli. La Bce, e in primis la Germania, a corto di fiducia politica dai propri lettori (di cui 700.000 cittadini turchi), sono irremovibili: i prestiti non saranno concessi se non ci sarà un voto positivo del Parlamento entro lunedì prossimo.
E’ una questione intricata, ma è evidente che sullo sfondo il problema è politico e non economico: è certo che all’Europa nuocerà più la sua linea intransigente che la concessione totale del prestito; l’intero Pil cipriota rappresenta solo lo 0,2% di quello dell’intera eurozona. Un atteggiamento più amichevole non avrebbe certo fatto danni ai paesi europei. Altrove si è assunto ben altro atteggiamento: la BCE ha prestato finora agli istituti di credito europei (privati) centinaia di miliardi di euro e continua a farlo per cifre ben più alte. La considerazione che possiamo trarre da questa vicenda è quasi ovvia: è mai possibile che per le banche si trovi sempre una soluzione mentre per il bene e la dignità dell’“altro”, della gente, non la si trovi mai? E’ mai possibile che si accetti di mandare la gente comune in rovina, fino a ridurla dall’oggi al domani a non avere più il necessario per vivere, solo per meccanismi decisionali che non funzionano?
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