Benedetto XVI saluta i “followers”: il cristianesimo è gioia, possiate sperimentarlo
di Paolo Fucili
Qual è il segreto della felicità? Mettere Cristo al centro della propria vita, e niente più. E’ il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato dai suoi poliglotti account twitter in un momento già sovraccarico di suo di parole, sentimenti, emozioni: il decollo del suo elicottero, ieri alle 17.00, dall’eliporto vaticano, direzione Castelgandolfo.
Tre milioni di followers, strabiliante cifra raggiunta di lì a pochi minuti, serberanno come ultimo ‘cinguettio’ papale (a meno che il successore non riattivi gli account) un augurio di gioia sorprendente, all’apparenza, nelle circostanze in cui è stato scritto; spontaneo e genuino, in realtà, perché coerente con tutta la storia compresa tra l’habemus papam del 19 aprile 2005 e la simbolica chiusura, ieri sera, del portone della residenza estiva dei papi.
“Possiate sempre sperimentare la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita”, è l’augurio con cui Joseph Ratzinger si congeda dal mondo sia ‘reale’ che ‘virtuale’. Nel frattempo, non solo i fedeli radunati in piazza san Pietro, o nella piazza di Castelgandolfo, ma persino don Georg, il fido segretario, e l’autista trattenevano a stento la commozione in diretta TV. Ma la fede è gioia in ogni circostanza, anche in questa, ha sempre insegnato il papa tedesco con quella ‘g’ duretta che ha fatto la fortuna di irriverenti giullari da strapazzo. Il cristianesimo di papa Benedetto è gioioso, anzitutto, nella sua disarmante e affascinante semplicità. E non è poco, ripetuto ora in circostanze gravide di pensieri e dubbi irrisolti, da un uomo che ha osato sfidare un secolare e sacrale tabù: l’impossibilità, per il romano Pontefice, di sapere chi ne sarà il successore.
“Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di… avermi fatto cristiano”. Molti dei 200.000 presenti all’ultima udienza del mercoledì son tornati con la memoria alla loro infanzia, quando hanno imparato questa devota e affettuosa preghiera menzionata dal Papa. Chi ringrazia così il Signore, ha spiegato lui, lo fa perché è contento di essere cristiano. E questa gioia, aveva già esortato in passato più volte, è urgente riscoprirla, per l’evangelizzazione vecchia o nuova che sia. Come trasmettere infatti ad altri qualcosa che non siamo felici di possedere?
Il raffinato teologo che la Provvidenza ha voluto fin qui sul soglio di Pietro lascia incompiuto un ciclo di catechesi particolarmente ispirate, iniziato con la prima udienza generale dell’anno della fede, ad ottobre scorso, rileggendo il ‘Credo’. Parole semplici, in cui però trasparivano ogni mercoledì la sapienza e l’esperienza di una lunga vita. Così abbiamo appreso noi tutti che Dio non è assurdità ma mistero, non buio ma sovrabbondanza di luce; che la fede interessa non l’intelligenza soltanto, ma sentimento, volontà, corporeità, relazioni; che credere è uscire da se stessi e dai propri schemi mentali e dalle proprie sicurezze, per conseguire la vera libertà; che non bisogna aver paura di andar controcorrente, in un mondo dove Dio è rimpiazzato da umane illusioni di onnipotenza ed autosufficienza; che è la Tradizione della Chiesa la miglior garanzia della fede autentica.
E molti altri passi si potrebbero citare ancora, di questo parziale eppure straordinario abc della fede cristiana. “Ho potuto sperimentare che uno riceve la vita proprio quando la dona”, ha concluso da ultimo l’anziano Pontefice che ha puntato l’intera vita scommettendo sulla verità di quegli insegnamenti. All’indomani dell’epocale “passo indietro” appena compiuto, tutto lascia intendere che la scommessa sia stata vinta. “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso”, ha spiegato. “Non mi sono mai sentito solo nel portare il peso del ministero petrino”, ha detto per ringraziare tutti i collaboratori della curia romana, anche se i ripetuti applausi della piazza in quel momento si son fermati. Tra giorni di sole e tempeste, come gli apostoli sul lago di Galilea, “ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare”.
Ce n’è abbastanza, insomma, da parte del papa ora “emerito” per parlare di gioia. E sarebbe bello che il successore completasse il ciclo di catechesi interrotto arricchendolo a sua volta. Oppure sarà libero, come è giusto, di disporre altrimenti. Ma se lo Spirito Santo lo sceglierà bene, e la fede non ammette troppi dubbi in merito, farà comunque tesoro della gioiosa eredità di papa Ratzinger.
di Paolo Fucili
Qual è il segreto della felicità? Mettere Cristo al centro della propria vita, e niente più. E’ il messaggio che Benedetto XVI ha lanciato dai suoi poliglotti account twitter in un momento già sovraccarico di suo di parole, sentimenti, emozioni: il decollo del suo elicottero, ieri alle 17.00, dall’eliporto vaticano, direzione Castelgandolfo.
Tre milioni di followers, strabiliante cifra raggiunta di lì a pochi minuti, serberanno come ultimo ‘cinguettio’ papale (a meno che il successore non riattivi gli account) un augurio di gioia sorprendente, all’apparenza, nelle circostanze in cui è stato scritto; spontaneo e genuino, in realtà, perché coerente con tutta la storia compresa tra l’habemus papam del 19 aprile 2005 e la simbolica chiusura, ieri sera, del portone della residenza estiva dei papi.
“Possiate sempre sperimentare la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita”, è l’augurio con cui Joseph Ratzinger si congeda dal mondo sia ‘reale’ che ‘virtuale’. Nel frattempo, non solo i fedeli radunati in piazza san Pietro, o nella piazza di Castelgandolfo, ma persino don Georg, il fido segretario, e l’autista trattenevano a stento la commozione in diretta TV. Ma la fede è gioia in ogni circostanza, anche in questa, ha sempre insegnato il papa tedesco con quella ‘g’ duretta che ha fatto la fortuna di irriverenti giullari da strapazzo. Il cristianesimo di papa Benedetto è gioioso, anzitutto, nella sua disarmante e affascinante semplicità. E non è poco, ripetuto ora in circostanze gravide di pensieri e dubbi irrisolti, da un uomo che ha osato sfidare un secolare e sacrale tabù: l’impossibilità, per il romano Pontefice, di sapere chi ne sarà il successore.
“Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore, ti ringrazio di… avermi fatto cristiano”. Molti dei 200.000 presenti all’ultima udienza del mercoledì son tornati con la memoria alla loro infanzia, quando hanno imparato questa devota e affettuosa preghiera menzionata dal Papa. Chi ringrazia così il Signore, ha spiegato lui, lo fa perché è contento di essere cristiano. E questa gioia, aveva già esortato in passato più volte, è urgente riscoprirla, per l’evangelizzazione vecchia o nuova che sia. Come trasmettere infatti ad altri qualcosa che non siamo felici di possedere?
Il raffinato teologo che la Provvidenza ha voluto fin qui sul soglio di Pietro lascia incompiuto un ciclo di catechesi particolarmente ispirate, iniziato con la prima udienza generale dell’anno della fede, ad ottobre scorso, rileggendo il ‘Credo’. Parole semplici, in cui però trasparivano ogni mercoledì la sapienza e l’esperienza di una lunga vita. Così abbiamo appreso noi tutti che Dio non è assurdità ma mistero, non buio ma sovrabbondanza di luce; che la fede interessa non l’intelligenza soltanto, ma sentimento, volontà, corporeità, relazioni; che credere è uscire da se stessi e dai propri schemi mentali e dalle proprie sicurezze, per conseguire la vera libertà; che non bisogna aver paura di andar controcorrente, in un mondo dove Dio è rimpiazzato da umane illusioni di onnipotenza ed autosufficienza; che è la Tradizione della Chiesa la miglior garanzia della fede autentica.
E molti altri passi si potrebbero citare ancora, di questo parziale eppure straordinario abc della fede cristiana. “Ho potuto sperimentare che uno riceve la vita proprio quando la dona”, ha concluso da ultimo l’anziano Pontefice che ha puntato l’intera vita scommettendo sulla verità di quegli insegnamenti. All’indomani dell’epocale “passo indietro” appena compiuto, tutto lascia intendere che la scommessa sia stata vinta. “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore crocifisso”, ha spiegato. “Non mi sono mai sentito solo nel portare il peso del ministero petrino”, ha detto per ringraziare tutti i collaboratori della curia romana, anche se i ripetuti applausi della piazza in quel momento si son fermati. Tra giorni di sole e tempeste, come gli apostoli sul lago di Galilea, “ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare”.
Ce n’è abbastanza, insomma, da parte del papa ora “emerito” per parlare di gioia. E sarebbe bello che il successore completasse il ciclo di catechesi interrotto arricchendolo a sua volta. Oppure sarà libero, come è giusto, di disporre altrimenti. Ma se lo Spirito Santo lo sceglierà bene, e la fede non ammette troppi dubbi in merito, farà comunque tesoro della gioiosa eredità di papa Ratzinger.
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