martedì, marzo 12, 2013
Elena Miglioli, responsabile della struttura Comunicazione dell'Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova, ci racconta l'esperienza dell'Hospice interno all'Azienda

D - Come è nata l'idea di creare il reparto Cure Palliative dell'Azienda Ospedaliera Carlo Poma di Mantova?
R - Nel 2008, quando l’attuale direttore generale Luca Stucchi si è insediato, la palazzina che oggi accoglie l’Hospice era ristrutturata, ma il reparto non era ancora stato attivato. Stucchi veniva dall’esperienza di Lecco dove l’Azienda Sanitaria Locale, da 15 anni, portava avanti l’attività di Cure Palliative. Forte della positività di quell’esperienza e conoscendo quel tipo di cultura ha deciso di dare impulso alla struttura del Poma. Si è proceduto quindi con l’accreditamento. L’anno successivo l’Azienda Ospedaliera ha dato vita anche alle Cure Palliative a domicilio.

D - Quanti malati ospita il reparto ogni anno in media?
R - In reparto vengono ricoverati circa 300 pazienti all’anno. A domicilio, invece, nel 2012 sono stati gestiti 567 malati.

D - Qual è l'iter per entrare nel reparto e ricevere assistenza?
R - L’équipe delle Cure Palliative può essere attivata telefonicamente contattando un numero dedicato o inviando, via fax, un modulo con la richiesta di presa in carico scaricabile dal sito internet dell’Azienda Ospedaliera o reperibile negli ambulatori dei medici di medicina generale e nei reparti dell’ospedale. Le visite ambulatoriali vengono richieste telefonicamente. L’iter di cura si avvia anche attraverso un colloquio con i familiari e, se possibile, con il malato.

D - Per quale motivo lei ha scelto di lavorare come responsabile della struttura Comunicazione dell'Azienda Ospedaliera Carlo Poma?
R - Io in realtà nasco come giornalista, dal 2001 al 2007 ho lavorato alle dipendenze del quotidiano ‘La Voce di Cremona’ e ho collaborato e collaboro con varie testate giornalistiche. Nel 2007 il giornale ha chiuso, quindi ho cercato per alcuni mesi un’occupazione seria sempre in ambito giornalistico, ma le opportunità reali in questo mondo, non è una novità, sono sempre meno. Poi ho saputo che l’Azienda Ospedaliera di Mantova aveva bisogno di un giornalista per istituire un ufficio stampa, mi sono candidata e sono rimasta per cinque anni. Qui mi occupo di tutto l’aspetto comunicativo, ma ho valorizzato anche la mia professionalità, creando ad esempio una rivista che prima non c’era e che viene distribuita nei nostri ospedali e sul territorio. Quella mantovana è un’esperienza che mi ha arricchita e mi ha permesso, tra l’altro, di scrivere questo libro.

D - Come vive il personale medico l'esperienza della morte? Stando a contatto con così tanti malati terminali, non c'è il rischio di banalizzare la morte, o peggio, ridurre il malato ad una cartella clinica?
R - Lo sviluppo della tecnologia, la frenesia imposta dai ritmi di lavoro, le urgenze rischiano a volte di spersonalizzare il rapporto medico-paziente. Per questo occorre sempre richiamare l’attenzione sulla necessità di approcciarsi al malato con uno sguardo umano, che tenga conto non solo della malattia ma anche e soprattutto della persona che si ha di fronte. E’ uno sforzo in più che val la pena fare in qualsiasi ambito sanitario, anche se a volte le necessità cliniche di alcuni reparti possono rendere più difficoltosa questa prospettiva. La filosofia che ispira le Cure Palliative contempla proprio la possibilità di dare ai pazienti e ai loro familiari risposte più ‘complete’, che possano coniugare l’aspetto medico con quello spirituale e psicologico. Le testimonianze del personale, dei malati e delle loro famiglie confermano che questo avviene. La morte non è mai banalizzata, ma apre interrogativi e porta a riflettere anche i professionisti chiamati a lenire la sofferenza e a condurre per mano chi deve affrontare questo drammatico passaggio.

D - Il problema della sanità oggi è molto scottante. Continui tagli di personale e di posti letto rischiano di peggiorare la qualità della vita dei malati durante il loro periodo di degenza. Cosa si dovrebbe o potrebbe fare, secondo lei, per far fronte a questo dramma?
R - Si tratta di operare scelte strategiche che puntino all’efficienza. In questi anni ho visto adottare dall’Azienda Ospedaliera una politica che mira a costruire una rete sul territorio in grado di fornire risposte adeguate alla domanda di salute, senza duplicare servizi già esistenti. La grande sfida consiste nel ‘portare l’ospedale nelle case dei cittadini’, in altre parole nel costruire modelli di cura a domicilio, mantenendo all’interno delle strutture ospedaliere i soli casi acuti. Come per le Cure Palliative, si sta attivando in collaborazione con l’Azienda Sanitaria Locale un percorso domiciliare per i malati cronici.

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