lunedì, marzo 04, 2013
I Toposa, i Koroma e i Murle non sono più “nyemoit”, nemici, ma “lepai”, amici. Accade nel Villaggio della pace della Santa Trinità a Kuron, un esperimento nato otto anni fa su iniziativa di monsignor Paride Taban, il vescovo emerito di Torit.

Misna - La MISNA lo ha raggiunto in partenza per Ginevra, dove oggi ha ritirato un premio dell’Onu per la pace, assegnato dalla Fondazione Sergio Vieira de Mello. Nell’intervista il ricordo della guerra civile, con i suoi drammi e le sue ferite, si intreccia alla speranza in un cammino di sviluppo per il Sud Sudan. Il paese di monsignor Taban, un sostenitore convinto dell’indipendenza da Khartoum, proclamata nel 2011.

Monsignore, quale è stata la sua reazione quando ha saputo del premio?

“Sono rimasto sorpreso. Non me l’aspettavo. Più tardi però ci ho ripensato: del bene in questo mondo ci si accorge sempre”.

Quali sono i principi e gli obiettivi del Villaggio della pace?

“Il principio era creare un’oasi di pace dove persone di diverse tribù, credo religiosi, culture e comunità vivessero insieme in armonia e dignità. L’obiettivo è ottenere la pace e la riconciliazione tra comunità in guerra tra loro, rendendole parte di uno sviluppo sostenibile, nella consapevolezza che sviluppo vuol dire pace. Nel Villaggio la pace si costruisce attraverso l’istruzione, l’assistenza sanitaria, la sicurezza alimentare, la cura spirituale e pastorale e il contributo delle comunità al rispetto della legge e al mantenimento dell’ordine”.

Secondo la Fondazione Sergio Vieira de Mello questa esperienza può essere un modello replicabile in tutto il mondo. Perché?

“Le tribù Toposa, Nyangatom, Kachipo, Jie, Koroma e Murle si combattevano l’un l’altra e nel dialetto locale si chiamavano ‘nyemoit’, che vuol dire nemico. Per otto anni nel Villaggio sono state capaci di vivere insieme e adesso si chiamano ‘lepai’, che vuol dire amico. Questa esperienza coinvolge un’area estesa su circa 200 chilometri quadrati dove non ci sono né polizia né governo che impongano il rispetto della legge e dell’ordine”.

Il Sud Sudan è lo Stato più giovane del mondo. Da alcune sue regioni arrivano però notizie di agguati e di stragi. Crede che le speranze dei sud-sudanesi di vivere in pace e in armonia si realizzeranno?

“Si stanno già realizzando. Le difficoltà attuali sono il risultato di due decenni di guerra durante i quali la cultura della violenza è penetrata a fondo, determinando alcune delle situazioni traumatiche di oggi. Nonostante tutti questi problemi il Sud Sudan è riuscito a superare le tentazioni di una nuova guerra con il Sudan e per risolvere i conflitti si è impegnato a utilizzare solo mezzi pacifici”.

Che consiglio darebbe ai governanti di Juba?

“Il mio consiglio, a chi governa ma non solo a chi governa, è seguire la visione di John Garang de Mabior quando disse: “Portate lo sviluppo delle città nelle campagne invece di far migrare i contadini nei centri urbani”.

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