Con grande semplicità all’omelia Papa Francesco ha preso spunto dalla figura di san Giuseppe di cui oggi ricorre la solennità ricordando pure che oggi è anche l’onomastico del suo predecessore Benedetto XVI.
di Monica Cardarelli
Soffermandosi sulla missione di Giuseppe che ha seguito la volontà di Dio espressa dal messaggio dell’Angelo, papa Francesco ha ricordato come Giuseppe abbia svolto la sua missione di custode, di Maria, di Gesù e, in quanto pastore della Chiesa universale, si tratta di una custodia che si estende all’intera comunità ecclesiale. Una custodia svolta nel silenzio, nel quotidiano, nella casa di Nazareth, nel laboratorio in cui insegnava a Gesù il suo mestiere, “con discrezione, umiltà, nel silenzio ma con una presenza costante e una fedeltà totale anche quando non comprende” nella “costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio".
Perché: “Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”.
Questo atteggiamento di disponibilità, di ascolto vale anche per tutti noi perché “si risponde con disponibilità, con prontezza.” Dopo aver ricordato che il centro della vocazione cristiana è Cristo, Papa Francesco ha affermato più volte che tutti noi dobbiamo custodire Cristo per custodire gli altri, per custodire il creato.
“La vocazione del custodire, però non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.
Si tratta quindi di una responsabilità che riguarda tutti. “Quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”. Perciò bisogna “vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”.
Custodire dunque, essere custodi dell’altro, dell’ambiente. Quindi, un sentito invito: “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”.
Papa Francesco ha poi sottolineato il modo in cui custodire, richiamando sempre la figura di Giuseppe, con tenerezza. “Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”.
Riferendosi poi alla missione del Papa ha precisato: “Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!”.
Ha concluso infine richiamando la figura di Abramo che ha sperato contro ogni speranza, affermando che “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”.
Custodire noi stessi dunque, gli altri e il creato con tenerezza. Non avere timore di esprimere bontà e tenerezza, diventando in qualche modo espressione della tenerezza di Dio verso ogni creatura.
di Monica Cardarelli
Soffermandosi sulla missione di Giuseppe che ha seguito la volontà di Dio espressa dal messaggio dell’Angelo, papa Francesco ha ricordato come Giuseppe abbia svolto la sua missione di custode, di Maria, di Gesù e, in quanto pastore della Chiesa universale, si tratta di una custodia che si estende all’intera comunità ecclesiale. Una custodia svolta nel silenzio, nel quotidiano, nella casa di Nazareth, nel laboratorio in cui insegnava a Gesù il suo mestiere, “con discrezione, umiltà, nel silenzio ma con una presenza costante e una fedeltà totale anche quando non comprende” nella “costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio".
Perché: “Dio non desidera una casa costruita dall’uomo, ma desidera la fedeltà alla sua Parola, al suo disegno; ed è Dio stesso che costruisce la casa, ma di pietre vive segnate dal suo Spirito. E Giuseppe è “custode”, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancora più sensibile alle persone che gli sono affidate, sa leggere con realismo gli avvenimenti, è attento a ciò che lo circonda, e sa prendere le decisioni più sagge”.
Questo atteggiamento di disponibilità, di ascolto vale anche per tutti noi perché “si risponde con disponibilità, con prontezza.” Dopo aver ricordato che il centro della vocazione cristiana è Cristo, Papa Francesco ha affermato più volte che tutti noi dobbiamo custodire Cristo per custodire gli altri, per custodire il creato.
“La vocazione del custodire, però non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. E’ il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. E’ il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.
Si tratta quindi di una responsabilità che riguarda tutti. “Quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”. Perciò bisogna “vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio!”.
Custodire dunque, essere custodi dell’altro, dell’ambiente. Quindi, un sentito invito: “Vorrei chiedere, per favore, a tutti coloro che occupano ruoli di responsabilità in ambito economico, politico o sociale, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà: siamo “custodi” della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo! Ma per “custodire” dobbiamo anche avere cura di noi stessi! Ricordiamo che l’odio, l’invidia, la superbia sporcano la vita! Custodire vuol dire allora vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è proprio da lì che escono le intenzioni buone e cattive: quelle che costruiscono e quelle che distruggono! Non dobbiamo avere paura della bontà, anzi neanche della tenerezza!”.
Papa Francesco ha poi sottolineato il modo in cui custodire, richiamando sempre la figura di Giuseppe, con tenerezza. “Il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!”.
Riferendosi poi alla missione del Papa ha precisato: “Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio e che anche il Papa per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce; deve guardare al servizio umile, concreto, ricco di fede, di san Giuseppe e come lui aprire le braccia per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, i più deboli, i più piccoli, quelli che Matteo descrive nel giudizio finale sulla carità: chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere (cfr Mt 25,31-46). Solo chi serve con amore sa custodire!”.
Ha concluso infine richiamando la figura di Abramo che ha sperato contro ogni speranza, affermando che “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi la speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l’orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio”.
Custodire noi stessi dunque, gli altri e il creato con tenerezza. Non avere timore di esprimere bontà e tenerezza, diventando in qualche modo espressione della tenerezza di Dio verso ogni creatura.
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