L’omelia della messa di
inizio del ministero petrino
Più che un potente, Francesco sarà un servitore. Se qualcuno oggi, alla messa di inizio del ministero petrino, si aspettava l’annuncio di una sorta di ‘programma di governo’, eccolo accontentato. “Il vero potere è il servizio”, è l’annuncio che è tutto un programma, sintetico ed essenziale come il triplice “pasci i miei agnelli” che Gesù affidò a Pietro, il primo Papa. Citazione quasi obbligata, nella circostanza in cui il Pontefice numero 266 della storia della Chiesa è stato insignito delle due principali insegne della dignità pontificia, così si dice: anello del pescatore e pallio, la stola di lana bianca trapuntata di croci che simboleggia appunto la pecora smarrita di cui il buon pastore si prende cura, caricandosela sulle spalle.
Una liturgia ricca e solenne come si conviene, col rischio che si prolungasse fin troppo. All’atto del darle inizio, Bergoglio si è fatto curiosamente sorprendere dalle telecamere mentre sbirciava l’orologio, prima di pronunciare riga per riga, senza improvvisare nulla per questa volta, la medesima omelia messa in precedenza nero su bianco e consegnata sotto “embargo” alla stampa, pure tradotta in varie lingue. E oltre a notare la buona dimestichezza del Papa con l’italiano, pur con qualche inflessione spagnoleggiante, tutti hanno colto il tono più caldo e personale con cui è stata data lettura di alcuni passaggi.
L’occasione, per intenderci, era la stessa del celeberrimo “non abbiate paura” del pressoché sconosciuto papa polacco Karol Wojtyla, 35 anni fa, esortazione cui fece eco il successore Joseph Ratzinger, 27 anni dopo, con la significativa aggiunta che “Cristo non toglie nulla e dona tutto”. E anche lui, per inciso, esordì premettendo che si riservava di esporre un ‘programma di governo’ un’altra volta. Saranno i tempi lunghi degli storici a decidere quali parole faranno la storia dell’inizio pontificato di papa Bergoglio. Ma c’è una già frase seriamente indiziata, ed è “non dobbiamo aver timore della bontà, della tenerezza”, ripetuta ben due volte con particolare enfasi.
Si parlava di Giuseppe, il santo di oggi 19 marzo, onomastico tra l’altro del predecessore, cui il papa argentino ha rinnovato riconoscenza ed affetto, facendo scattare il primo applauso della folla. I Vangeli, era la spiegazione, rappresentano il falegname di Nazaret come “uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore”.
“Custodire”, è stato il leit motiv della non lunga omelia, la missione affidata da Dio allo sposo di Maria da esercitare “nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio”. Giuseppe, nella visione di papa Bergoglio, “è custode perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancor più sensibile alle persone che gli sono affidate”. Vocazione non solo cristiana, il custodire, ma semplicemente umana. Custodire anzitutto la bellezza del creato, “come ci ha mostrato Francesco d’Assisi”; custodire “la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili”; custodirsi a vicenda tra coniugi, tra genitori e figli, tra amici, per non lasciar campo libero alla distruzione e far inaridire il cuore. “In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli Erode che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”, ammonisce papa Bergoglio.
Tenerezza, quindi, è l’altra parola chiave. Un improvvisato “anteprima” si era avuto quando nel corso del lungo giro iniziale in papamobile, percorrendo in lungo e in largo piazza san Pietro, Francesco aveva intimato alt all’autista dopo che un uomo gravemente disabile, Cesare Cicconi, marchigiano, cinquantenne, aveva attratto la sua attenzione pure tra migliaia di persone urlanti; “ha voluto esser qui a tutti i costi”, riferiranno ai cronisti i suoi accompagnatori.. Tenacia ripagata con un insperabile ed insperato abbraccio del Papa, tra la gioia di familiari ed amici dell’Unitalsi.
“Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo”, così Bergoglio supplica oggi i responsabili dell’economia e della politica, tra cui le autorità delle 132 delegazioni di altrettanti paesi schierate sul lato destro del sagrato, e successivamente salutata una ad una. Si tratta di custodire anche ognuno se stesso, “vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive, quelle che costruiscono e quelle che distruggono”. E non basta appunto solo la bontà. Tenerezza ci vuole, sono state le parole del Papa tra applausi via via sempre più fitti.
Premesso tutto questo, solo verso la fine il testo dell’omelia accenna all’inizio del ministero di Vescovo di Roma, successore di Pietro, con annesso un potere sul quale occorre intendersi bene, stava a cuore a Papa Bergoglio specificare: “il vero potere è il servizio”, e anche lui per esercitarlo “deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”, con fede, umiltà e braccia aperte, come san Giuseppe, “per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, […] chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere”. Del resto già sabato, viene da commentare, “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, aveva esclamato scatenando l’applauso dei 6.000 giornalisti che stava incontrando.
Sobria semplicità della persona e insieme spontaneità che la rende talora insofferente a formalismi e convenzioni, si direbbero in qualche modo anche la ‘tonalità’ caratteristica del Bergoglio predicatore, alla prova delle tre omelie fin qui pronunciate, di cui l’ultima in un’occasione la più solenne e rara che ci sia, ricorrendo per definizione solo una volta per pontificato. Prediche brevi ed asciutte, pervase della passione del pastore di anime quale Francesco nell’intimo si sente rimasto, da vescovo di Buenos Aires a successore dell’apostolo Pietro.
E non di rado, a quel che è dato finora di vedere, sviluppa l’omelia attorno ad un concetto che ne diviene il filo conduttore, come il “custodire” di oggi, quando la conclusione appunto è stata che “custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi”, è stata l’ultima riflessione del Papa. E sarà stato pure un caso, ma è comunque degno di nota: dopo varie giornate di cielo grigio e piovoso su Roma, un bel sole primaverile, finalmente, ha scaldato l’“esordio ufficiale” di papa Bergoglio.
Più che un potente, Francesco sarà un servitore. Se qualcuno oggi, alla messa di inizio del ministero petrino, si aspettava l’annuncio di una sorta di ‘programma di governo’, eccolo accontentato. “Il vero potere è il servizio”, è l’annuncio che è tutto un programma, sintetico ed essenziale come il triplice “pasci i miei agnelli” che Gesù affidò a Pietro, il primo Papa. Citazione quasi obbligata, nella circostanza in cui il Pontefice numero 266 della storia della Chiesa è stato insignito delle due principali insegne della dignità pontificia, così si dice: anello del pescatore e pallio, la stola di lana bianca trapuntata di croci che simboleggia appunto la pecora smarrita di cui il buon pastore si prende cura, caricandosela sulle spalle.
Una liturgia ricca e solenne come si conviene, col rischio che si prolungasse fin troppo. All’atto del darle inizio, Bergoglio si è fatto curiosamente sorprendere dalle telecamere mentre sbirciava l’orologio, prima di pronunciare riga per riga, senza improvvisare nulla per questa volta, la medesima omelia messa in precedenza nero su bianco e consegnata sotto “embargo” alla stampa, pure tradotta in varie lingue. E oltre a notare la buona dimestichezza del Papa con l’italiano, pur con qualche inflessione spagnoleggiante, tutti hanno colto il tono più caldo e personale con cui è stata data lettura di alcuni passaggi.
L’occasione, per intenderci, era la stessa del celeberrimo “non abbiate paura” del pressoché sconosciuto papa polacco Karol Wojtyla, 35 anni fa, esortazione cui fece eco il successore Joseph Ratzinger, 27 anni dopo, con la significativa aggiunta che “Cristo non toglie nulla e dona tutto”. E anche lui, per inciso, esordì premettendo che si riservava di esporre un ‘programma di governo’ un’altra volta. Saranno i tempi lunghi degli storici a decidere quali parole faranno la storia dell’inizio pontificato di papa Bergoglio. Ma c’è una già frase seriamente indiziata, ed è “non dobbiamo aver timore della bontà, della tenerezza”, ripetuta ben due volte con particolare enfasi.
Si parlava di Giuseppe, il santo di oggi 19 marzo, onomastico tra l’altro del predecessore, cui il papa argentino ha rinnovato riconoscenza ed affetto, facendo scattare il primo applauso della folla. I Vangeli, era la spiegazione, rappresentano il falegname di Nazaret come “uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore”.
“Custodire”, è stato il leit motiv della non lunga omelia, la missione affidata da Dio allo sposo di Maria da esercitare “nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al suo progetto, non tanto al proprio”. Giuseppe, nella visione di papa Bergoglio, “è custode perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà, e proprio per questo è ancor più sensibile alle persone che gli sono affidate”. Vocazione non solo cristiana, il custodire, ma semplicemente umana. Custodire anzitutto la bellezza del creato, “come ci ha mostrato Francesco d’Assisi”; custodire “la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili”; custodirsi a vicenda tra coniugi, tra genitori e figli, tra amici, per non lasciar campo libero alla distruzione e far inaridire il cuore. “In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli Erode che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna”, ammonisce papa Bergoglio.
Tenerezza, quindi, è l’altra parola chiave. Un improvvisato “anteprima” si era avuto quando nel corso del lungo giro iniziale in papamobile, percorrendo in lungo e in largo piazza san Pietro, Francesco aveva intimato alt all’autista dopo che un uomo gravemente disabile, Cesare Cicconi, marchigiano, cinquantenne, aveva attratto la sua attenzione pure tra migliaia di persone urlanti; “ha voluto esser qui a tutti i costi”, riferiranno ai cronisti i suoi accompagnatori.. Tenacia ripagata con un insperabile ed insperato abbraccio del Papa, tra la gioia di familiari ed amici dell’Unitalsi.
“Non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo”, così Bergoglio supplica oggi i responsabili dell’economia e della politica, tra cui le autorità delle 132 delegazioni di altrettanti paesi schierate sul lato destro del sagrato, e successivamente salutata una ad una. Si tratta di custodire anche ognuno se stesso, “vigilare sui nostri sentimenti, sul nostro cuore, perché è da lì che escono le intenzioni buone e cattive, quelle che costruiscono e quelle che distruggono”. E non basta appunto solo la bontà. Tenerezza ci vuole, sono state le parole del Papa tra applausi via via sempre più fitti.
Premesso tutto questo, solo verso la fine il testo dell’omelia accenna all’inizio del ministero di Vescovo di Roma, successore di Pietro, con annesso un potere sul quale occorre intendersi bene, stava a cuore a Papa Bergoglio specificare: “il vero potere è il servizio”, e anche lui per esercitarlo “deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”, con fede, umiltà e braccia aperte, come san Giuseppe, “per custodire tutto il Popolo di Dio e accogliere con affetto e tenerezza l’intera umanità, specie i più poveri, […] chi ha fame, sete, chi è straniero, nudo, malato, in carcere”. Del resto già sabato, viene da commentare, “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri”, aveva esclamato scatenando l’applauso dei 6.000 giornalisti che stava incontrando.
Sobria semplicità della persona e insieme spontaneità che la rende talora insofferente a formalismi e convenzioni, si direbbero in qualche modo anche la ‘tonalità’ caratteristica del Bergoglio predicatore, alla prova delle tre omelie fin qui pronunciate, di cui l’ultima in un’occasione la più solenne e rara che ci sia, ricorrendo per definizione solo una volta per pontificato. Prediche brevi ed asciutte, pervase della passione del pastore di anime quale Francesco nell’intimo si sente rimasto, da vescovo di Buenos Aires a successore dell’apostolo Pietro.
E non di rado, a quel che è dato finora di vedere, sviluppa l’omelia attorno ad un concetto che ne diviene il filo conduttore, come il “custodire” di oggi, quando la conclusione appunto è stata che “custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi”, è stata l’ultima riflessione del Papa. E sarà stato pure un caso, ma è comunque degno di nota: dopo varie giornate di cielo grigio e piovoso su Roma, un bel sole primaverile, finalmente, ha scaldato l’“esordio ufficiale” di papa Bergoglio.
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