mercoledì, marzo 13, 2013
Come stanno gli italiani? La misura del benessere, o della felicità, è un tema altamente complesso da affrontare, e la risposta minimale riassunta nel Pil non basta più.

Greenreport - Un'osservazione quasi banale, ma ancora oggi non è altrettanto semplice trovare un indicatore alternativo adeguato. Ci hanno provato il Cnel e l'Istat, riuniti dal Bes - Benessere equo e sostenibile. Non a caso, per definire un nuovo metro di sviluppo, si è scelto un nome che racchiuda i due elementi assenti dalla nostra idea di crescita (anche quando la crisi era al di là da venire): l'equità e la sostenibilità. Il Rapporto Bes 2013 è il primo mai prodotto, un'avanguardia che racchiude 134 indicatori statistici riuniti in 12 dimensioni del benessere: si tratta di un quadro multicolore del Bel Paese, tanto più accurato del Pil quanto più complesso da analizzare. Il gioco, però, vale lo sforzo. «Giungere a un accordo sulle dimensioni più importanti (i cosiddetti "domini" del benessere) e sugli indicatori - riporta l'Istat - permette anche di individuare possibili priorità per l'azione politica». Il risultato, per stessa ammissione di chi l'ha prodotto, è da migliorare. Questo non sorprende: è stato però compiuto un primo passo, e gli indicatori selezionati «aspirano a divenire una sorta di "Costituzione statistica", cioè un riferimento costante e condiviso dalla società italiana in grado di segnare la direzione del progresso che la medesima società vorrebbe realizzare».

Cambiare indicatore, però, non cambia anche la realtà dei fatti. Il Paese tratteggiato dal Bes, in questo, non si discosta troppo da quello rappresentato dal Pil. «Con il perdurare della crisi - si legge nel Rapporto - nel 2011 la situazione si è deteriorata, lo conferma l'impennata degli indicatori di deprivazione materiale; la grave deprivazione aumenta di 4,2 punti percentuali, passando dal 6,9% all'11,1%», accompagnata da un aumento della disuguaglianza del reddito (il rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero dal 5,2 sale al 5,6)». In generale, «il tasso di occupazione e quello di mancata partecipazione al lavoro, già tra i più critici dell'Unione europea a 27, sono ulteriormente peggiorati negli ultimi anni a causa della crisi economica».

I giovani, in particolare, rappresentano una fascia di popolazione particolarmente debole di fronte al deterioramento della popolazione. Quasi 1 su 4 tra i 15-29enni non studia e non lavora (i cosiddetti Neet nel 2011 erano al 22,7%, una percentuale in crescita), e l'8% di questi è comunque già laureato. D'altronde, «il ritardo rispetto alla media europea e il fortissimo divario territoriale si riscontrano in tutti gli indicatori che rispecchiano istruzione, formazione continua e livelli di competenze» e inoltre «è in netta diminuzione la partecipazione culturale delle persone; dopo un periodo di stagnazione, nel 2012 l'indicatore presenta un decremento molto marcato, passando al 32,8% dal 37,1% del 2011». Per quanto riguarda l'ambiente, giungono segnali contraddittori. Da una parte «il dissesto idrogeologico rappresenta ancora un grave rischio naturale distribuito su tutto il territorio nazionale», e sono stati definiti «57 siti di interesse nazionale da bonificare, per un totale di 545 mila ettari, ossia l'1,8% del territorio nazionale», dall'altra «aumentano i consumi di energia da fonti rinnovabili, dal 15,5% del 2004 al 23,8% del 2011, un livello superiore alla media Ue27 (19,9%)». Soprattutto, inoltre, risulta in diminuzione il consumo di risorse materiali interne.

«Sebbene sia troppo presto per parlare di "dematerializzazione" (soprattutto se si guarda al livello dell'indicatore e non al suo rapporto con il Pil) è interessante - si legge nel Rapporto - l'emergere di una tendenza alla diminuzione del consumo materiale interno, tendenza che sembra accelerata ma non avviata dalla crisi in atto, essendosi manifestata già successivamente al raggiungimento del picco storico di quasi un miliardo di tonnellate nel 1999-2000». Guardando ai flussi di materia, dunque, le novità sembrano positive, ma con alcune grosse zone d'ombra. Il "consumo apparente" di materia del sistema socioeconomico nazionale è dato dall'estrazione interna più i flussi netti dall'estero: una massa di dati alla quale nel nostro Paese è rivolta un'attenzione cronicamente insufficiente, nonostante gli sforzi dell'Istat, e per la quale non è disponibile neanche il dato disaggregato a livello regionale. L'utilizzo efficiente delle risorse è una strada indispensabile per perseguire un benessere sostenibile, e nella "Costituzione statistica" di cui l'Italia ha bisogno deve potersi finalmente guadagnare un ruolo di primo piano.

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