domenica, marzo 03, 2013
Dopo la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI e l’inizio della Sede vacante, oggi è la prima domenica senza la recita dell’Angelus.

Radio Vaticana - Dal primo Regina Caeli del primo maggio 2005, all’ultimo Angelus dello scorso 24 febbraio, si contano a milioni le persone che ogni domenica, in Piazza San Pietro e qualche volta altrove, hanno atteso Benedetto XVI per ascoltarlo e recitare con lui la preghiera mariana di mezzogiorno. In otto anni, per 455 volte, quel momento è diventato un’occasione privilegiata per il Papa, ora emerito, di accostarsi ai fedeli come maestro di fede solido e comprensibile. Un guida che fin da subito ha chiarito su quali fondamenta avrebbe poggiato il suo magistero. Alessandro De Carolis lo ricorda in questo servizio: ascolta

“La parola che riassume tutta la rivelazione è questa: Dio è amore”.

È domenica 22 maggio 2005 quando Benedetto XVI pronuncia questa frase, nel suo primo Angelus dalla finestra del Palazzo Apostolico vaticano. In realtà, dalla sua elezione, è la quarta volta che ripete quel gesto – definito al suo primo apparire “un’amabile consuetudine” – ma nelle tre volte precedenti si è trattato di un Regina Caeli, la preghiera che nel periodo di Pasqua sostituisce l’Angelus, e in quei casi le sue brevi considerazioni sono state dedicate a temi contingenti, come la Festa del lavoro, la Giornata delle comunicazioni sociali e così via. È soprattutto in quel 22 maggio che comincia invece a prendere forma la funzione e il valore che Benedetto XVI attribuisce a quei 10 minuti di mezzogiorno: offrire una piccola “omelia” sulla liturgia del giorno, la lectio divina in forma breve con cui ogni domenica, nella chiesa a cielo aperto di Piazza San Pietro, il Papa teologo si fa “parroco” per chi si ferma ad ascoltarlo giù tra la folla o davanti alla tv, dalla radio o in streaming via web. In quell’Angelus-“pilota” del 22 maggio 2005, Solennità della Santissima Trinità, il nuovo maestro mette subito in luce il nucleo della fede cristiana e insieme – e lo dimostrerà anche la sua prima Enciclica Deus caritas est – il fulcro della sua stessa spiritualità:

“La parola che riassume tutta la rivelazione è questa: ‘Dio è amore’; e l’amore è sempre un mistero, una realtà che supera la ragione senza contraddirla, anzi, esaltandone le potenzialità”.

“Dio Amore”, fede e ragione a confronto: c’è già in questa affermazione l’essenza del magistero che si svilupperà negli anni a venire. Le parole successive sul mistero trinitario – “Gesù ci ha rivelato il mistero di Dio: Lui, il Figlio, ci ha fatto conoscere il Padre che è nei Cieli, e ci ha donato lo Spirito Santo, l’Amore del Padre e del Figlio” – potrebbero essere ascoltate in un’aula di catechismo. Non la considerazione che segue, che dimostra un’altra dote che i fedeli impareranno ad apprezzare di Benedetto XVI, indiscusso maestro nel saper portare i vertici e gli abissi dello spirito al livello dell’anima più semplice:

“La teologia cristiana sintetizza la verità su Dio con questa espressione: un'unica sostanza in tre Persone. Dio non è solitudine, ma perfetta comunione. Per questo la persona umana, immagine di Dio, si realizza nell’amore, che è dono sincero di sé”.

Altre sei righe e un’altra colonna portante. Dall’altare della sua finestra sul mondo, il Papa maestro cede il passo al Papa custode della fede. Non quell’arcigno guardiano fin lì troppo spesso descritto, in modo prevenuto, da una vulgata mediatica che ama pontificare sul Pontefice senza conoscerlo, ma il difensore gentile che invita con ferma lucidità i cristiani a non farsi contagiare nella pratica religiosa dal relativismo montante:

“Ogni parrocchia è chiamata a riscoprire la bellezza della Domenica, Giorno del Signore, in cui i discepoli di Cristo rinnovano nell’Eucaristia la comunione con Colui che dà senso alle gioie e alle fatiche di ogni giorno. ‘Senza la Domenica non possiamo vivere’: così professavano i primi cristiani, anche a costo della vita, e così siamo chiamati a ripetere noi oggi”.

Per 455 volte, dal 2005 al 2013, Benedetto XVI, maestro umile e custode illuminante, appare da dietro la tenda della sua finestra – o talvolta stando sull’altare alla fine di una Messa solenne, o durante un viaggio apostolico, o circondato dai monti durante il riposo estivo – per spiegare e insegnare la “gioia dell’essere cristiani” e concludere con l’“Angelus nunziavit Mariae”. Nel giorno in cui la finestra resta chiusa e il mezzogiorno rintocca senza sottofondo di applausi, tra le colonne del Bernini – dove alla fine lo avranno ascoltato in più di 10 milioni – resta il riverbero di tanti pensieri profondi, dipanati in modo compiuto già da quel 22 maggio 2005. E resta l’eco dell’ultimo commiato, dell’umile maestro di fede che anche oggi avrà sostenuto la Chiesa con la forza di un Angelus, pregato di nascosto al mondo ma non a Dio:

“Vi ringrazio per l’affetto e per la condivisione, specialmente nella preghiera, di questo momento particolare per la mia persona e per la Chiesa. A tutti auguro una buona domenica e una buona settimana. Grazie! In preghiera siamo sempre vicini. Grazie a voi tutti! Angelus nunziavit Mariae…”


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