venerdì, marzo 01, 2013
Un fatto “inaccettabile per chiunque abbia rispetto della vita umana” e voglia “costruire un paese non violento”: il Consiglio delle Chiese del Sudafrica ha definito in questi termini l’assassinio da parte della polizia di un giovane mozambicano, una vicenda che ha riacceso il dibattito sull’affidabilità delle forze dell’ordine.

Misna - Le organizzazioni religiose hanno unito la loro voce a quella di associazioni laiche, politici, giornalisti e tanti semplici cittadini. La vicenda è venuta alla luce grazie a un video filmato martedì che mostra il giovane legato per le braccia a un furgone della polizia e trascinato per centinaia di metri sulla terra battuta e l’asfalto, di fronte a decine di testimoni. Il ragazzo, un tassista di 27 anni, è morto in carcere il giorno successivo a causa delle ferite. I poliziotti coinvolti nell’assassinio, di stanza in un sobborgo orientale di Johannesburg, sono stati sospesi a partire da oggi.

L’episodio non è il primo del genere a essere imputato alle forze dell’ordine del Sudafrica nate 18 anni fa, dopo la fine del regime di apartheid. Il caso più eclatante risale all’agosto scorso, quando la polizia aveva ucciso 34 minatori che protestavano di fronte al sito di Marikana. Secondo stime rilanciate oggi dai giornali del Sudafrica, nel 2011 le persone decedute in carcere sono state 1276 e in relazione alla loro morte sono stati condannati 30 poliziotti.

Al “brutale assassinio” di Johannesburg Noticias e altri giornali mozambicani dedicano oggi un articolo in prima pagina. Nei giorni scorsi, alcuni osservatori hanno ricordato come dopo la fine dell’apartheid in Sudafrica si fosse deciso di non associare più alla polizia il termine “forza” ma quello di “servizio”. Nonostante il tentativo di cancellare il ricordo dei tanti abusi commessi negli anni del segregazionismo, gli agenti hanno dovuto fare i conti con stipendi inadeguati e tassi di criminalità tra i più alti al mondo.


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